Come, dove e quando? La lunga strada verso la riforma

Il 1997 doveva essere il grande anno della scuola. Ma a due mesi dalla fine, i cambiamenti annunciati sono tutt’ora in discussione e gli iter legislativi sono ancora in corso. Una partenza lenta di una riforma annunciata, ma non ancora arrivata alla destinazione di un viaggio che sembra farsi sempre più lungo e tortuoso.

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Si può dire che ciascuno di quei numerosi ministri della Pubblica Istruzione che si sono avvicendati in tre decenni di storia italiana si è occupato di riforma della scuola. Ma, mai prima del ministro Berlinguer, il cambiamento era arrivato così vicino a realizzarsi e, soprattutto, mai nessun intento di riforma si era spinto così avanti come quello dell’attuale governo, prospettando una riprogettazione generale dell’intero mondo della scuola, dalle materne all’università. Al di là di ogni giudizio sul merito dei contenuti della cosiddetta “riforma Berlinguer”, i dubbi, le perplessità e le proteste sono ovvie reazioni di fronte a un progetto di portata tale, che non poteva non essere visto anche come sconvolgente e forse di eccessivo impatto. Una gran parte del mondo della scuola è sfiduciato, non si sente pronto. Il disegno di legge per la parità tra pubblico e privato ha scontentato tutti, generando anche forti timori all’interno di quegli istituti che temono di perdere la loro indipendenza o, peggio, di sparire. Sicuramente il contesto nel quale si sta muovendo la riforma è molto diverso rispetto al clima di non molti anni fa. Un progetto per la scuola non poteva non tenere conto dei fattori economici attuali. La contrazione occupazionale, che non è solo causata da una crisi, ma anche dallo stravolgimento mondiale delle regole, delle necessità, delle modalità e degli strumenti di lavoro, ha imposto che venisse assegnato un ruolo di primo piano all’esigenza della formazione degli studenti, ma anche dei
docenti stessi. Formazione permanente, per preparare alle scelte e al compimento degli stessi percorsi educativi, che tuttavia non si esaurisca nell’ambito scolastico, per correre, invece, di pari passo ai mutamenti del vasto panorama della produzione e dei servizi. Oltre alla necessità di stabilire un sistema educativo più “adatto” e più efficiente, anche il contenimento dei costi, un’organizzazione più efficace della gestione, le istanze del sistema privato sono alcuni dei grossi temi con i quali il progetto di riforma ha dovuto fare i conti. Nella realtà, però, nulla finora è cambiato. La recente crisi di governo ha mostrato come niente sia definitivo nel momento politico presente. Per giudicare se quello che attualmente è un progetto avrà dato origine a una buona o cattiva scuola dovremo ancora attendere. Attendere la riforma! La riforma dei cicli scolastici, la riforma dell’esame di maturità, la parificazione tra scuola pubblica e privata sono i grandi temi dell’azione legislativa che il ministro Berlinguer e il Governo stanno portando avanti. E’ possibile prevedere quanto tempo, realisticamente, si dovrà attendere prima che si compiano tutti gli iter, e i disegni e i progetti si trasformino in leggi? L’obiettivo è concludere tutti gli iter prima della fine di questo anno scolastico. L’applicazione delle nuove normative della riforma potrebbe avviarsi, con la necessaria gradualità, già a partire dall’anno scolastico 1998/99. Per ciò che riguarda la maturità, manca solo il voto. Cosa è emerso a settembre dagli incontri con gli studenti che manifestavano in merito alla nuova formula dell’esame di maturità? Tra gli studenti vi sono opinioni diverse, ma i dati del sentimento comune sono la dequalificazione e l’inadeguatezza dell’esame attuale. I timori che sono stati espressi riguardano i tempi e le modalità dell’applicazione del nuovo sistema, per il quale vi sarebbero stati malumori, se fosse entrato in vigore a partire da quest’anno. Altro punto delicato è il calcolo dei crediti formativi, che occorrerà introdurre con gradualità. E’ sembrato che accanto alla protesta degli studenti fosse forte la preoccupazione degli insegnanti. Questo è innegabile, ma ritengo sia normale una certa dose di preoccupazione alle soglie di novità così importanti come quelle che si prefigurano all’interno del sistema scolastico italiano. Da parte del corpo docente vi è il desiderio di maggiore qualità della scuola: stiamo cercando di rispondere attraverso le riforme. Se sentimenti di preoccupazione e una certa dose di confusione sono inevitabili di fronte a grandi cambiamenti, bisogna, però, evitare che la fretta o l’approssimazione facciano fallire sul nascere cambiamenti in sé positivi e proposte che pure riscuotono consensi nelle loro linee generali. Quello che verrà proposto si configurerà come un sistema chiuso o aperto? Il nuovo sistema scolastico sarà cioè modificabile al presentarsi di nuove esigenze, o ci sarà ancora il pericolo di rigide sperimentazioni più o meno definitive, come è successo nell’ultimo trentennio? Due sono gli elementi che fanno sì che il sistema scolastico che si sta per delineare sia strutturalmente aperto. Da un lato, l’autonomia delle scuole, che è già legge, permette che una parte dei programmi sia decisa all’interno dei singoli istituti, evitando lunghi passaggi burocratici. Dall’altro, il sistema legislativo della riforma prevede già al proprio interno che per gli aggiustamenti che saranno necessari si potrà intervenire attraverso regolamento. Alla legge, insomma, sono lasciate le linee essenziali, mentre i correttivi e gli adattamenti potranno essere introdotti attraverso lo strumento del regolamento. Quali sono i motivi per cui, ogni volta che si incomincia a mettere mano alla scuola, si crea uno scenario di conflitto nel quale emergono forti resistenze, non solo politiche, ma anche da parte degli operatori stessi e degli utenti? Parlando del sistema educativo del nostro Paese, il punto dolente è sicuramente la scuola superiore, alla quale non fa certo bene il paragone con l’estero, perché vengono drammaticamente alla luce i punti di debolezza. La scuola dell’infanzia e le elementari, che hanno già avuto la loro riforma, sono invece in una posizione avanzata rispetto agli altri esempi europei di scuola primaria. Anche nell’utilizzo del termine “utente” c’è qualche cosa che non va: la scuola deve essere fatta di protagonisti. L’atteggiamento di resistenza fa parte di quella fase, tipica dei grandi cambiamenti, in cui prevale il disagio. Al Governo spetta di sostenere lo sforzo collettivo che deve essere fatto, andando oltre il contrasto tra la richiesta di cambiamento che giunge dall’interno della scuola stessa e il timore generato dalla confusione. Occorre tenere presente, poi, che la scuola italiana è un mondo di cui fanno parte ben 8 milioni di persone, tra docenti e alunni. Le critiche fin qui mosse ai vari disegni e progetti di legge partono spesso dalla considerazione che la riforma all’orizzonte (parzialmente già in atto) si presenta come uno stravolgimento radicale del sistema scolastico, per il quale la scuola stessa non si sente pronta. Tantomeno si sentono pronti gli insegnanti, che spesso esprimono la difficoltà della mancanza di strumenti e linee guida. Che cosa ci risponde? Direi che gli insegnanti sono molto più pronti di quanto non temano. Se la scuola ha retto fin qui, nonostante non vi sia stata alcuna riforma, è perché gli insegnanti hanno sperimentato nuove tecniche e hanno rinnovato se stessi. Sono piuttosto la sfiducia e la stanchezza, invece della mancanza di preparazione, che giocano a sfavore. Per ciò che riguarda le linee guida, ci stiamo sforzando di darle, ma la scuola deve anche capire che, nell’ottica dell’autonomia, ad essa stessa spetta una buona parte di responsabilità di scelta. La legge di riordino dei cicli è una novità storica. Non vi è, infatti, il precedente di un progetto legislativo che sia stato sottoposto dal governo alla discussione nelle scuole, come è accaduto questa volta. Il ministero ha scelto di adottare come linea di condotta la consultazione preventiva degli insegnanti, degli studenti e dei genitori: è stato dato il via ad un modo nuovo di procedere. Federalismo ed unità europea: due concetti base della futura evoluzione istituzionale, economica e culturale. Quanto e come hanno influito nell’ottica della riforma? I principi del federalismo risultano coerenti all’autonomia scolastica, che prevede che le decisioni siano assegnate al luogo più vicino a quello in cui queste si devono tradurre in realizzazioni. Nei provvedimenti attuativi dell’autonomia si apre un ruolo nuovo agli enti locali e alle regioni. Il concetto di unità europea è pure strettamente interconnesso alla riforma scolastica italiana. Esso è una precondizione, in quanto si è attinto all’esperienza europea. Ci si è ispirati al sistema di autonomia della Svezia, all’integrazione tra istruzione e apprendistato che vige in Germania, al diritto alla formazione che è insito nella legislazione francese. In questa pluralità di riferimenti l’Europa è anche un obiettivo. Non si entra in Europa solo attraverso la riduzione del debito pubblico, ma anche con un sistema formativo che sia all’altezza della sfida dell’Unità. Noi possiamo a ragione porci come riferimento per il nostro sistema scolastico primario, ma dobbiamo imparare per ciò che riguarda la scuola superiore. Ci vorrebbe indicare le motivazioni per le quali insegnanti, studenti e famiglie possono guardare con fiducia e positiva attesa la cosiddetta “riforma Berlinguer”? La prima motivazione è il fatto che questa non è la “riforma di Berlinguer”, ma è il risultato di una grande discussione condotta con i protagonisti stessi della scuola, al suo interno. Il sistema prospettato dà risposte alle questioni di fondo, aumenta il numero di anni di permanenza a scuola, dà l’avvio alla formazione permanente, fornisce una formazione critica di base flessibile, nella quale l’acquisizione della formazione teorica è parallela a quella della formazione pratica. Infine, è stata aperta la via per uscire dalla massificazione del sistema scolastico attuale attraverso la creazione di un sistema che tiene conto dei bisogni, delle capacità e delle difficoltà individuali. Il metodo scelto, la consultazione con i protagonisti, sta portando alla ridefinizione di alcuni ruoli e alla maggiore definizione degli attori della scuola stessa. E’ stato istituito un tavolo con le associazioni degli insegnanti, ma anche è in via di definizione lo statuto degli studenti, accanto alle consulte provinciali e al sistema dei rappresentanti degli studenti, che sono il fine e la ragione stessa della scuola. Spesso questa banale verità viene dimenticata, con il risultato che si alternano situazioni in cui la scuola nega agli studenti il riconoscimento del loro ruolo e casi in cui si verificano forme di partecipazione distruttiva, le quali, a loro volta, dequalificano la figura e il ruolo degli studenti. Insegnanti e studenti dovranno affrontare il percorso verso il cambiamento insieme. A.G.