Un nuovo padre. La relazione padre-figlio

Questa volta gli adolescenti, a convegno, c’erano davvero! Nel senso che, insieme ai molti addetti ai lavori, nelle sale del castello Visconteo di Pavia c’erano qualche centinaio di studenti della locale scuola per Geometri e del Liceo pedagogico: hanno partecipato all’organizzazione dell’iniziativa, sono intervenuti, hanno fatto domande.

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Pedagogika.it pubblicherà gli atti nei prossimi mesi, in tempo utile perchè siano pronti per la prossima iniziativa pubblica organizzata dall’amministrazione comunale di Pavia, ai primi di maggio. Intanto, di seguito, oltre ad un’intervista all’assessore alla cultura, Eligio Gatti, anticipiamo qualche stralcio, dagli Atti del Convegno di Pavia su “L’età incerta: riflessioni sull’adolescenza”, di prossima pubblicazione con i contributi di Gustavo Pietropolli Charmet e Silvia Vegetti Finzi. (….) Una ventina di anni fa mi capitò di lavorare con parametri teorici, sia per tipo che per sostanza, in un contesto adolescenziale.(…) Ripetendo e studiando il percorso di crescita di questi ragazzi, mi parve che uno degli aspetti comuni fosse la loro condizione familiare e che le loro storie fossero caratterizzate da una straordinaria assenza di figura paterna. Sembrava che il loro contesto di vita complessivo fosse povero di valori paterni, che la loro relazione con il sociale fosse caratterizzata da estrema povertà del senso delle regole, di interazione con gli stati del mondo e noi adulti. Si percepiva la mancanza di quello che, per la nostra cultura, rappresenta, per il giovane che cresce, la vicinanza di una figura adulta, maschile, paterna, che indica la strada della separazione, della nascita sociale, dell’assunzione di responsabilità non perchè la madre non faccia questo, ma perchè arriva il momento in cui il bambino non è più suo figlio, ma un soggetto sociale che, di fatto, entra nell’adolescenza. Siamo soliti pensare che, in qualche modo, ad un certo punto, intervenga una funzione paterna, una garanzia tutelare, sociale, familiare, sì da legittimare l’uscita dall’appartenenza a casa, alla vita familiare, creando le premesse per la nascita sociale del bambino. Studiando la vita di questi ragazzi, il loro modo di vivere, ma anche la costellazione delle istituzioni, sembrava che la loro relazione con la società dei consumi, la loro relazione con il mondo, le loro mode, i loro libri, documentassero una straordinaria assenza di competenza, di valori, di aspettative di tipo paterno.
Tentammo di capire come, e se, questo poteva essere considerato fattore di rischio, nelle infanzie, nelle preadolescenze, nelle adolescenze trascorse senza padre o, ancora, in situazioni caratterizzate da un padre remotissimo, quasi assente, che comparisse saltuariamente sulla scena in modo violento o impulsivo, assolutamente incompetente. Si trattava di capire se questo potesse essere considerato un fattore di rischio, se possa venire a crearsi una sorta di tragica confusione nei bambini mai nati socialmente, non divenuti realmente grandi, mai in grado di separarsi dall’area del sogno, dall’area dell’appartenenza. Se questo poteva essere considerato un fattore di rischio, come fare ad iniettare valori paterni, in un contesto di crescita che sembra caratterizzato da assenza di valori? All’inizio, ci sembrava che la crisi dell’autorità paterna, riconosciuta da tutti, medici, psicologi, storici, ma anche dal buon senso comune, dipendesse dal fatto che il padre è autoritario, anche dispotico, comunque molto autorevole nel passaggio della propria traccia.
Nell’organizzazione familiare attuale, invece, compare una nuova interpretazione della paternità. Allora, mettendoci a studiare, cercando di capire che cosa poteva voler dire organizzare dei dispositivi positivi che avessero come finalità quella di rinforzare la presenza paterna come metafora, come atteggiamento dell’istituzione scuola, della società e della famiglia, abbiamo verificato che molti di questi ragazzi vivono in un contesto frammentario, hanno relazioni solo con la madre, quindi la madre svolge una funzione, in qualche modo, anche più importante del ruolo paterno. Cos’é, allora, la funzione paterna in adolescenza? Ma, al di là dell’adolescenza, certamente tra padre e figlio succede qualcosa di straordinariamente importante, purché il padre ci sia, purché la funzione paterna vi sia rappresentata.
L’esperienza di questi ultimi anni ci permette di dare una risposta a ciò che per gli adolescenti dovrebbe rappresentare tale funzione. Un gruppo di psicologi di formazione psicanalitica, esperti in problemi adolescenziali, ha aperto dei centri di azione per adolescenti in crisi, utilizzandoli non come centri terapeutici, ma come centri di ascolto, ponendosi come obbiettivo quello di rispondere tempestivamente alle richieste dei giovani che vi si recano con i loro problemi, conflitti e sofferenze autentiche che la crescita comporta, chiedendo di trovarvi un adulto competente, una sorta di nuovo papà che gli indichi la strada e gli strumenti per uscire dal labirinto della fretta, che li aiuti a separarsi e a riconoscersi socialmente.
Non ci saremmo mai aspettati che gli adolescenti, in modo spontaneo ed imprevedibile, decidessero di nominare la scuola come luogo di estensione degli affetti e dei conflitti dell’area intima dei loro pensieri e sentimenti, trasformando la scuola delle regole, della conoscenza, delle relazioni, al punto da portare in classe il sogno, i desideri, l’appartenenza, trasformandola in spazio privilegiato d’ascolto, in cui recarsi per poter meglio utilizzare le competenze virtuali e fare un breve viaggio nella loro mente. Questo viaggio si può fare solo se c’è una relazione forte che consente di pensare in tempi utili. Ci sono momenti in cui sono velocemente alla ricerca, a caccia, di adulti competenti e, quando ne trovano uno, non lo mollano più, perchè hanno bisogno di essere ascoltati e, se hanno ottenuto soddisfazione, se sono riusciti ad ottenere ascolto, se hanno vissuto l’esperienza del rispecchiamento, se si sono potuti rispecchiare nelle parole, nelle immagini, nella conversazione con un adulto competente, sale in loro il desiderio di riutilizzare un’esperienza di questo genere per avere sempre più nitide rappresentazioni di sé, anche se queste fossero impressionanti perchè parlano di parti di sé anchilosate, mutilate, bisognose di sostegno.
Al contrario, se non riescono a vedere chiaro dentro, il loro complesso di rappresentazione del sé viene straordinariamente deformato, diventa angoscia e tale angoscia diventa intollerabile fino a doversi mutare in gesto, attacco al corpo o alle leggi. Se questa è la mossa di apertura, andare verso una mossa di apertura significa andare verso una relazione con l’adulto competente che consente di fare viaggi nella propria mente alla ricerca di sé, per poter rinascere e venir fuori pronunciando il proprio nome. Allora, pensando a questi adulti che si vanno a collocare dall’altra parte, mi sembra che, al di là della loro professionalità e competenza, l’importante è che accettino la sfida di essere liberi da impegni e mandati istituzionali delle loro istituzioni; che, insomma, usino le loro competenze ed accettino la sfida di dover fare ricerca, di dover inventare una metodologia nuova e porsi obiettivi nuovi perchè, se sono psicologi, non possono, non dovrebbero, avere finalità cliniche, obiettivi terapeutici ma, in qualche modo, dovrebbero utilizzare obiettivi educativi. Il problema
non è quello della sofferenza, della patologia, il problema è quello della crescita bloccata, dello sviluppo di doti, di capacità, di strumenti che, in quel momento, non sono utilizzati.
L’obiettivo deve essere considerato di tipo educativo anche se gli strumenti, sono di tipo psicologico. Oggi sono gli insegnanti che sviluppano competenze educative sofisticate, sostenute da un contesto istituzionale. Si vedrà in futuro come l’istituzione scuola cercherà di gestire questo spazio. Allora, vediamo queste caratteristiche, queste posizioni mentali nelle quali si dovrebbe trovare l’adulto. Io penso che la prima posizione è avere capacità di ascolto.
Questa funzione fa prettamente parte del repertorio psicologico, ma fa anche parte del repertorio educativo; in questo spazio specifico, gli adulti ci si possono mettere uscendo dal ruolo che viene loro affibbiato dalla classe che tiene bassissimo il profilo del loro pensiero e della loro capacità critica. Vittime di un’inerzia simbolica e di una paura impressionante della conoscenza, i ragazzi sono animali di gruppo e, quando varia la soglia delle relazioni individuali, è come se avessero uno straordinario impegno etico, non tanto nei confronti dell’altro, quanto nei confronti di sé. Questi valori ideali, come la crescita, la socialità, la lealtà, coloro i quali lavorano nella scuola come consulenti negli spazi di ascolto, li descrivono come esperienze felici, sia per i ragazzi che per loro stessi, come se da questo lavoro ricevessero ristoro e nutrimento.
I ragazzi si impegnano in modo straordinario come se, mettendo in gioco il sé di studente, entrassero in una sorta di gioco della realtà, senza pietà nei loro confronti e questo regala all’interlocutore un’impressione che la capacità di ascolto si misuri in funzione della capacità che ha l’adulto competente di mantenere la mente libera. Non ha qualcosa da dire, ma molto da ascoltare. Non deve trasmettere, non deve addestrare, non deve illudere, ma il suo compito è di far nascere, di tirar fuori ed in questo senso mettersi dalla parte dei ragazzi, provando a guardare gli oggetti, le relazioni, le situazioni nelle quali si trova, con occhi diversi, attraverso un processo di identificazione che è semplice. E’ realmente semplice identificarsi con questa figura di adolescente seria, che si mette alla ricerca della verità: “Cos’è, cosa vuole, cosa gli impedisce di crescere, di realizzare la sua vera vocazione, il suo vero progetto?”. Non è difficile diventare veramente ragazzi, fare questo viaggio identificatorio, empatico e diventare l’altro che guarda tutto quello che c’è da guardare, ciò che lo circonda, ciò che rimane della sua sfida, delle sue relazioni sociali, della sua famiglia. Di fronte ad un adolescente così prodigo dei propri pensieri, che ha abrogato per un momento lo spazio della riservatezza, del segreto che generalmente tiene nei confronti dell’adulto, questa capacità di venir fuori, non può non convocare, non chiedere da parte dell’altro, dell’adulto, una capacità, dopo essersi identificato, di restituire, di dare senso, di dare sempre, di iniettare sempre, di rendere pensabili le cose, più o meno caotiche, di questo generoso e determinato adolescente. Questo rendere pensabili i pensieri, questo collegare ciò che i ragazzi non riescono a collegare, questo riuscire a descrivere ciò che succede in famiglia, nel gruppo, in classe, è una funzione dell’adulto competente che deve restituire senso, collegare i rapporti fra le varie aree della vita, in una reazione molto fervida di tensione verso la comprensione. Vorrei ricordarvi di provare a mettervi dalla parte del ragazzo che cresce e che ha una visione gravemente distorta del sé corporeo, delle figure genitoriali, della femminilità se è maschio e viceversa e comprendere l’importanza che assume il ruolo della figura adulta, che deve aiutare l’adolescente ad ascoltarsi e verificarsi. Questo potrebbe essere considerato un punto di partenza positivo del padre, visto in una prospettiva attiva ed educativa, indipendentemente da fatto che voglia o no legami, indipendentemente da come vanno i suoi affari coniugali e professionali. Quando un padre è in relazione di contiguità con il figlio o la figlia adolescente, quando un padre é presente vive la percezione del proprio e vero sé é, quindi, portatore di un progetto, come se questa relazione, che ha potere stabilizzante sì da poterla studiare come un intervento educativo, rendesse possibile il parto del genitore che nasce durante l’infanzia e, poi, di un padre particolarmente impegnato nell’adolescenza.
La Conferenza Europea sulla Partecipazione Giovanile afferma:

1 Tutti i giovani devono essere attivamente responsabilizzati a prendere le decisioni.
2 Tutti i giovani hanno il diritto di partecipare; i singoli Paesi europei dovrebbero sostenerli nel mettere in pratica questo loro diritto.
3 Deve essere preso in considerazione ogni metodo democratico che promuova la partecipazione giovanile.
4 La Comunità Europea deve creare occasioni che consentano ai giovani di scambiarsi le loro esperienze di partecipazione.
5 La partecipazione giovanile è un processo in continua evoluzione, esso richiede ascolto flessibile e sostegno da parte degli organi di governo.

Per questo la Conferenza Europea sulla Partecipazione Giovanile
chiede di organizzare un Vertice Europeo per incoraggiare:

1 politiche sviluppate insieme ai giovani, al fine di costruire un futuro migliore per tutti all’interno di una società democratica;
2 uguale diritto di partecipazione per tutte le categorie di giovani, con particolare attenzione per gruppi specifici, là dove fosse necessario,
3 una combinazione dei differenti modelli di partecipazione giovanile; le piccole iniziative non dovrebbero essere scoraggiate o trascurate;
4 lo scambio di esperienze e di modelli di sviluppo in tutta Europa;
5 promozione delle iniziative che incrementino la comprensione e la condivisione dei programmi sulla partecipazione giovanile.

Rotterdam, 5-8 giugno 1997