L’onnipervadenza delle tecnologie digitali influenza la modalità di esperire e praticare il quotidiano

 

Un’analisi focalizzata sul cambio dei consumi dettati dalla diffusione di nuovi strumenti tecnologici e l’impatto che tutto ciò ha sugli atteggiamenti e i comportamenti del pubblico fruitore-produttore dei media.

 

Durante i secoli l’individuo è riuscito a colonizzare lo spazio-tempo fisico; con la modernità è riuscito a invadere e vivere anche lo spazio-tempo digitale, avvalendosi di processi come la transmedialità, la partecipazione e la convergenza dei consumi mediali. Tale cambiamento ha trasformato la regolarità, la replicabilità e la linearità del testo stampato con la dominante dimensione associativa, intuitiva ed emozionale dell’immagine. È proprio l’immediatezza emozionale emergente dall’informazione e dalla comunicazione mediatica che trasforma in maniera paradossale la freddezza e la razionalità tecnologica in uno sfondo in cui l’esibizione, il desiderio, l’illusione
si impongono come bisogni primari del soggetto. Tutto ciò contribuisce a destabilizzare la profondità/intimità dell’animo umano e le relazioni, tramutandole in complesse. Infatti, i ragazzi sono sempre più alla ricerca di esperienze travolgenti, emozionali, adrenaliniche, ambiscono ad ispezionare realtà ignote, supportati dai possibili percorsi che la rete prospetta. I nuovi media e le tecnologie della comunicazione e dell’informazione sono sicuramente gli strumenti che dominano il tempo libero e gli svariati momenti della giornata dei giovani di oggi. La familiarità che quest’ultimi hanno con i media, sia essi di vecchia che di nuova generazione, è elevato. Infatti, il rapporto interconnesso tra loro è in pari misura esteso e intenso. Si ha, quindi, una schiacciante imposizione della dimensione socio-antropologica autoreferenziale a discapito della funzione critica della cultura, determinata dal consumo primario della tecnologia. Quest’ultima, anche se consente il recupero degli infiniti spazi della conoscenza, talvolta disorienta il soggetto che ne usufruisce. Inoltre, le tecnologie digitali, imponendosi con la loro onnipervadenza, condizionano le modalità di assimilazione, metabolizzazione e interpretazione della conoscenza da parte del soggetto, incidendo sulla modalità di esperire e praticare il quotidiano. In tal modo vengono condizionale le modalità di creazione, memorizzazione, diffusione e condivisione delle informazioni, generando un’alterazione delle esperienze umane, a favore di rapporti tecnologizzati, i quali svincolandosi dai tempi e dai luoghi socialmente condivisibili e oggettivabili, sono capaci di attivare relazioni basate sulla percezione, acquisizione e condivisione di conoscenze. Si va instaurando, così, un’inferenza tra i mezzi di comunicazione, le informazioni veicolate e la consistenza delle relazioni spazio-temporali. In questo modo «la tecnologia è migrata dentro le vite dei giovani, è “reale” anche quando dispone di spazi di interazione mediata»[1]. I processi comunicativi e quelli educativi sono mediati, ovvero strutturati dal contenuto e dall’espressione. Il contenuto tratteggia la dimensione profonda, intellegibile e interpretativa; mentre l’espressione rappresenta il livello superficiale, quindi, tangibile e leggibile dell’informazione. Queste due dimensioni intersecandosi continuamente tra loro svelano il confine tra il medium che veicola il messaggio e il messaggio stesso, fornendo gli strumenti per conoscere la realtà, ma non per interpretarla. Il soggetto prendendo forma dentro le tecnologie, trasforma l’hic et nunc postmoderno, con il semper et ubique. Le nuove tecnologie, invadendo l’ambito antropologico, generano processi capaci di costruire-decostruire la realtà, modificando la fenomenologia dell’accadere stesso. Inoltre, esse, imponendosi come autoreferenziali definiscono un “mondo parallelo” che si caratterizza per la sua perduranza, proliferazione e metamorfizzazione. L’astrazione dello spazio e l’annullamento del tempo, mutando la percezione dei fenomeni e quindi delle relazioni, vanno a delineare quello che viene definito da Marc Augé “non-luogo”[2], ovvero quel luogo che, pur svincolandosi dal tempo, traccia uno “spazio a-tipico” indispensabile per vivere, agire e comunicare. Il presente si manifesta, quindi, come sdrucciolevole, dilatato e velato, il tempo accelerato e lo spazio ridotto, quindi un non-luogo, in cui i soggetti, pur entrando in contatto tra loro, non si incontrano mai realmente. La società, infatti, è dominata da un eccesso di tre elementi: tempo, spazio ed ego, ai quali è difficile attribuire una forma dotata di senso, originando il neologismo surmodernità[3]. Tale eccesso confina l’io in uno spazio in cui fatica ad attribuire un senso e una forma alla dinamica progressione di informazioni e costruiti. L’immediatezza temporale e l’ubiquità diffusa, promossi dalle nuove tecnologie, si impongono come elementi fondamentali, tanto da definirsi come valori in sé. Le nuove tecnologie, quindi, sono capaci di fornire un’alternativa ad un tempo e ad un luogo annullabili e annullati, mettendo a disposizione una connessione anywhere and anytime, mediante la quale si genera un’interdipendenza contemporanea tra passato e futuro, vicino e lontano, e, nel contempo, anche una con-fusione. Abitare la rete consente di esplorare una pluralità di luoghi, condividere significati e stabilire relazioni individuali prescindendo dalla collocazione fisica e ponendosi in una prospettiva assolutamente esperienziale. Lo scenario di consumo che si sta imponendo è caratterizzato sempre più dalla diversificazione e dalla personalizzazione degli strumenti, determinando, come afferma Pier Cesare Rivoltella «l?emancipazione dal luogo (delocalizzazione) con l?allontanamento del consumo da casa; la perdita del “controllo” da parte dell?adulto (soprattutto del genitore); lo sviluppo di nuove forme di spazialità (rilocalizzazione)»[4]. Il nuovo utente che popola, in maniera smisurata, la società multischermo con insaziabilità, cerca e consuma informazioni, notizie, opinioni, e tutto ciò che afferisce alla curiositas del soggetto, determinando la dilatazione tra la rumorosità del quotidiano e avvicinandosi sempre di più all’incanto mediatico. Il consumo mediale incide sui processi di soddisfacimento, gratificazione, desiderio e piacere, attraverso l’invito, sempre più smisurato all’acquisto, alla sperimentazione e alla dissipazione del tutto in maniera immediata. Infatti, il soggetto fruisce di tutto ciò che gli offre gratificazione, divertimento, piacere, e ciò che risponde al proprio immaginario, suscitando, in tal modo, un percorso rappresentato da scelte individuali e coerenti con l’immaginario collettivo. Nel suddetto scenario il compito delle agenzie educative è quello di intersecarsi all’interno delle dinamiche, al fine di imporre un equilibrio solido tra tempo del consumo e tempo dell’acquisto, mediante la correlazione delle logiche dell’intrattenimento con quelle del sistema educativo-formativo. Dal canto suo la scuola, quindi, deve fornire al discente gli adeguati strumenti che gli consentano di orientarsi all’interno della nebulosa comunicativa, affrontando attraverso un approccio critico, creativo e metacognitivo la dieta mediale. La crescita esponenziale delle informazioni a disposizione del soggetto, la disponibilità di accessi multipli alla conoscenza[5], il decentramento dei punti di riferimento, richiedono il coinvolgimento della pluralità delle intelligenze, e la messa in atto di tutti gli stili cognitivi. In tal modo si eviterà una persistente dislocazione della conoscenza, pregiudicandone la coerenza e la coesione. Come asserisce Pier Cesare. Rivoltella «la reperibilità fisica dell?informazione (la sua disponibilità sugli schermi) non necessariamente coincide con la sua reperibilità cognitiva: anzi, proprio la crescita esponenziale delle informazioni circolanti rende difficilissimo recuperare quella parte di esse che è pertinente alle esigenze che ne hanno attivato le ricerche»[6]. Inoltre, la ridondanza informativa, se da un lato facilita la semplificazione dei processi di comprensione, dall’altro canto rischia di innalzare il livello di entropia. Il compito dell’educazione è quello di controbattere le sfide poste della contemporaneità mediante la divulgazione di una sensibilizzazione culturale rispetto ai media, che induca alla riflessione sul ruolo che assolvono in riferimento all’apprendimento formale, prevedendo un modello di insegnamento-apprendimento orizzontale e partecipativo, avvalendosi di opportunità formative tramutabili nell’agire didattico. È necessario ridefinire l’etica del consumo in riferimento alle nuove logiche di scambio e condivisione dei contenuti, far si che il soggetto sviluppi criteri e competenze di selezione, ridurre il knowledge gap tra i ragazzi e gli adulti, ricostituendo il ruolo modellizzante dell’adulto. Infine, alle agenzie educative spetta il compito di porsi come mediatore attivo e curioso, capace di dischiudere mondi diversi e di attribuire un valore aggiuntivo alle radici del passato e alle prospettive future, ponendo il presente solo come legame tra di essi. In tal modo, il soggetto non resterà ancorato solo a contesti informali piacevoli e gratificanti, atti a essere condivisi e personalizzati, ma si avvarrà dell’ubiquità postmoderna e di nuove prospettive che lo indirizzeranno a percorrere “sentieri” divergenti. Le emergenze educative che sono insorte nell’ultimo decennio e che, di conseguenza, la ricerca educativa e chiamata a risolvere, sono costituite da tre questioni fondamentali, quali la percezione dello spazio e del tempo; l’incertezza della relazione e il desiderio del rischio e della trasgressione. È fondamentale che si sviluppi una coscienza critica in modo che la realtà si presenti al soggetto senza mediazioni e svincolata da ogni pregiudizio. Il fine educativo, dunque, deve essere quello di innovare la dialettica tra attività ludiche e processi conoscitivi, al fine di alimentare lo spirito creativo, la coscienza delle regole e il loro possibile sovvertimento[7]. La conoscenza deve essere posta come base per la sopravvivenza umana, in
quanto consente di svincolarsi dall’ignoranza e dall’ontologica solitudine dell’incomprensione. È necessario far si che gli internauti possano compartecipare alla costruzione critica, creativa, dialogica e consapevolmente lo spazio che abitano, sia esso fisico che virtuale, attraverso un continuo confronto con l’altro e l’utilizzo delle nuove tecnologie valutate come risorsa preziosa, capaci di diffondere il fenomeno culturale e ampliare il raggio di azione-cognizione del singolo. Il bagaglio cognitivo, del soggetto, in tal modo, sarà costituito non solo dalle svariate nozioni apprese, ma dall’acquisizione di vari stili cognitivi, dall’ottenimento di strategie apprenditive flessibili, e dalla compresenza di abilità, competenze, capacità di problem solving e disegni creativi.

 

[1] Rivoltella P.C., Consumi mediali e competenze di cittadinanza, in REM, Ricerche su Educazione e Media, vol. 2, n. 1, Erickson, Trento 2010, p. 6.

[2] Cfr. Augé M. (1992), Nonluoghi, trad. it., Eleuthera, Milano 1993.

[3] Ibidem.

[4] Rivoltella P.C., Consumi mediali e competenze di cittadinanza, op. cit., p. 6.

[5] Cfr. Gardner H. (1999), Sapere per comprendere. Discipline di studio e disciplina della mente, trad. it., Feltrinelli, Milano 1999.

[6] Rivoltella P.C., Screen Generation. Gli adolescenti e le prospettive dell?educazione nell?età dei media digitali, Vita e Pensiero, Milano 2006, p. 221.

[7] Cfr. Goleman D., Ray M., Kaufman P. (1999), Lo spirito creativo, trad. it., Bur, Milano 1999.