Rubrica a cura di GOFFREDO VILLA
Angelina Mango – Poké Melodrama (31/05/2024)
Composto anch’esso da tanti e diversi ingredienti come il nome della pietanza cui allude, Poké Melodrama si configura quale vero e proprio album di esordio di Angelina Mango, dopo gli EP Monolocale (2020) e Voglia di vivere (2023). La vittoria al talent show “Amici” nel 2023 e quella al Festival di Sanremo di quest’anno (e la conseguente ammissione all’Eurovision Song Contest) hanno contribuito a calamitare tutte le attenzioni dei media e della critica sulla cantante lucana e sulla sua opera. Lo status di figlia d’arte potrebbe aver pesato, o magari no, sulle vittorie di competizioni artistiche che però sono di fatto dei programmi televisivi con delle dinamiche ben precise, delineate da ciò che il pubblico vuole e chiede. A dimostrazione di ciò, oltre al conseguimento del miglior piazzamento al Festival, non è passata inosservata la sua toccante cover di La Rondine, famoso brano del padre cantautore morto nel 2014. Questa versione non è stata inclusa tra le tracce componenti la nuova raccolta, probabilmente, e forse anche giustamente, per conferire un tocco più personale al primo importante passo della propria carriera discografica. La opener Gioielli di Famiglia dimostra versatilità (dall’apertura con voce e chitarra alla chiusura orchestrale, passando per la strofa rap) e anche molta intensità emotiva nelle note e nelle parole: per quest’ultima ragione appare quantomeno curiosa la scelta di rivestire questo pezzo del ruolo di apripista. Vocalizzi melodici si alternano a sezioni parlate strascicate in Melodrama, manifesto della voglia di vivere senza regole ma anche senza più tragedie: «Voglio una vita melodrama / Una vita da gitana / Dopo sbaglia, prima impara / Melodrama, meno drama». La Noia, che ha ottenuto il primo posto alla kermesse sanremese, presenta forti tinte latine, dagli arpeggi avvolgenti della chitarra alle trombe festose; Uguale a Me sembra un vinile di una ballata romantica graffiato ogni tanto da incursioni elettroniche che interferiscono maldestramente anche con le voci della cantante e dell’ospite Marco Mengoni, le quali alla fine si manifestano comunque nella loro purezza intrecciandosi tra loro senza la base. Segreti innamoramenti vengono rivelati tra le sinuosità arabeggianti di Crush, mentre l’ostinata attitudine a sorridere nonostante le difficoltà prende corpo in Smile. L’acustica Diamoci una Tregua, con l’apporto del rapper Bresh, descrive l’estenuante e costante ricerca di serenità in una unione sentimentale instabile, fatta di alti e bassi, di conflitto e passione. Il rapporto tra Angelina, con voce quasi rotta dall’emozione, e suo fratello Filippo, a suonare un commovente pianoforte, si rispecchia nei protagonisti della canzone più significativa e toccante: «Edmund e Lucy chiusi nell’armadio / Scappiamo via dai lupi / Nei boschi del Mediterraneo / Semplicemente umani, semplicemente veri / Ma non è semplice essere sinceri / E crescere così vicini». Le scosse funk-pop di Cup of Tea vengono animate dal disinteresse verso le maligne sentenze altrui; Una Bella Canzone brilla di una timida ed eterea luce da serenata pop. «Sì, lo so, sì, lo so che il sangue è sangue / Ma ci sono vampiri / E ci sono famiglie che perdono sangue / E famiglie felici / Alberi che crescono senza radici»: in Fila Indiana riaffiora il tema della perdita del genitore con una malcelata insofferenza verso le persone che, nel momento del bisogno, hanno prestato alla sua famiglia solo curiosità e non aiuto. Dani Faiv e una struttura molto ritmata accompagnano Invece Sì, presa di consapevolezza dei propri pregi e difetti, dal contenuto poco significativo e abbastanza banale. Sembra una pazzia, ma è la vita mia – singolo che ha introdotto la presentazione dell’album, Che t’o Dico a Fa’ – sembra il classico e spaventoso mix tra dance e reggaeton che si sentirà fino alla nausea sulle spiagge questa estate. Il giro si chiude senza troppa enfasi con Another World, spento e opaco duetto trap con VillaBanks. Per il completamento di Poké Melodrama è stata necessaria la cooperazione di addirittura 30 autori e 11 produttori: numeri simili lasciano intuire l’esperienza non ancora maturata da parte dell’artista “capo”, ma anche la difficile convergenza verso un’unica identità compositiva e musicale all’interno delle diverse tracce. Forse l’intento di Mango era quello di evitare errori assoldando quanti più collaboratori possibili e cercando quindi di innalzare il livello tecnico, rischiando così di allontanarsi dalla propria visione personale. Anche i temi, seppure questi invece siano pochi, vengono mischiati troppo e mancano di coerenza: tra l’irriverenza ironica e sensuale tipica del pop latineggiante (ed ereditata poi dalla trap italiana) e la fragilità emotiva per la perdita del padre esiste un ventaglio di sfumature eccessivamente ampio che non trova (e non può trovare) posto all’interno della stessa raccolta. Per dei lavori più impegnati e significativi si dovrà probabilmente attendere con pazienza qualche altro anno. Intanto gli ingredienti del poké andrebbero selezionati e abbinati con maggiore cura e miglior gusto.