Therabot, “chabot psicanalitico”, esce bene dal suo 1° trial, ma c’è un però…
Stando solo nell’alveo delle proprie conoscenze, è comune rilevare un aumento delle persone che soffrono di disturbi psicologici. Ansia, depressione, paranoie, dipendenze, personalità borderline: tutto ciò (tra giovani e meno giovani) è sempre più frequente e i dati statistici lo confermano. Ecco i più recenti (grazie ad Angelini Pharma in partnership con The European House-Ambrosetti)[1]: solo in Europa e in Italia, i disturbi mentali colpiscono 1 persona su 6; con una prevalenza più alta nelle persone in età lavorativa (dai 20 ai 54 anni).
Si tratta di numeri da non sottovalutare, come non lo è il trend degli ultimi anni[2]. Anche la tecnologia, facendo passi da gigante, se ne sta occupando. Ne è un esempio il chatbot Therabot. Secondo uno studio condotto dagli esperti del Dartmouth College ad Hanover – iniziato nel 2019 e pubblicato il 27 marzo 2025 sul New England Journal of Medicine (nell’apposita sezione AI) – Therabot potrebbe rappresentare un valido aiuto per coloro che non hanno accesso immediato a un professionista psicanalitico.
Lo studio ha coinvolto 210 persone provenienti dagli Stati Uniti, tutte con diagnosi di depressione maggiore, dai sintomi d’ansia ai disturbi alimentari. Per 4 settimane sono state monitorate, con le stesse diagnosi e, per il 75%, senza un trattamento farmacologico o terapeutico in atto: 106 persone con accesso illimitato a Therabot e 104 senza accesso. Interagendo con un’app per smartphone, i 106 hanno potuto – ogni volta che ne sentivano il bisogno – esprimere il proprio stato d’animo, fare domande e ricevere consigli mirati. I ricercatori hanno sviluppato un addestramento tale sui prompt di Therabot, che se quest’ultimo avesse rilevato in un utente contenuti ad alto rischio suicidario, un pulsante sullo schermo avrebbe consentito di chiamare immediatamente i numeri di emergenza.
Dopo 8 settimane dall’inizio della sperimentazione, ecco i risultati: il 51% ha ammesso una riduzione dei sintomi. Per chi soffriva di ansia generalizzata, i sintomi sono diminuiti in media del 31%; per chi era affetto da disturbi alimentari, del 19%.
Sono dati che fanno pensare: Therabot potrebbe diventare un sostituto della terapia psicologica tradizionale? I vantaggi di tale strumento sono evidenti: è disponibile 24 ore su 24, fornendo quindi supporto immediato; non ha costi, dunque è inclusivo verso coloro che non possono permettersi un percorso terapeutico tradizionale; permette agli utenti di esprimersi liberamente senza il timore che la propria identità sia svelata; infine, può supportare il lavoro di un terapista, aiutando i pazienti tra una sessione e l’altra.
Ma, appunto, c’è un però: sebbene non sia in grado di essere empatico, Therabot potrebbe disincentivare i pazienti al confronto con un terapeuta umano, insostituibile innanzitutto per capacità diagnostica; per non parlare delle rigidissime misure di sicurezza necessarie a proteggere la privacy degli utenti, con tutti i problemi etici correlati alla sensibilità di certe informazioni.
Nicholas Jacobson – autore senior dello studio e professore associato di scienza dei dati biomedici e psichiatria alla Geisel School of Medicine di Dartmouth – sintetizza così: «Non c’è sostituto per la cura in presenza, ma non ci sono abbastanza professionisti per tutti… Per ogni professionista disponibile negli Stati Uniti, ci sono in media 1.600 pazienti con depressione o ansia»[3].
Vale a dire: la tecnologia è un incredibile supporto, ma non riuscirà mai a sostituire l’unicità umana, quell’attitudine straordinaria a descrivere i pazienti partendo dai loro volti, prima che dai loro sintomi. Vengono in mente, tra tutte, le parole del grande Eugenio Borgna (psichiatra di fama internazionale scomparso il 4 dicembre 2024): «Come è difficile decifrare le tracce di un volto: quando il dolore abbia a graffiarlo e a segnarlo; ma cercare di leggere un volto nel suo silenzio e nel suo mistero è possibile solo se, nell’altro, si riesca per un attimo a creare una comunità di destino»[4].