Donne e scienza: un percorso a ostacoli

Donne e scienza: un percorso a ostacoli. Sara Sesti*

Le donne e la scienza sembrano procedere su cammini distanti di cui per lungo tempo la storia ha ritardato l’incontro. Due dati sono sufficienti a dar conto di questa difficoltà: i premi Nobel assegnati a scienziate nel corso di novantasei anni sono solo undici, nonostante la popolazione femminile con titolo di studio superiore abbia toccato nel nostro secolo percentuali sempre più alte; il numero di donne cui vengono affidati ruoli di rilievo nella ricerca e nelle istituzioni è ancora molto esiguo, malgrado da anni gli istituti scientifici delle università siano frequentati soprattutto da ragazze.

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Per analizzare e approfondire le questioni relative al rapporto delle donne con la scienza, un gruppo di docenti delle scuole medie superiori, che – in differenti ambiti disciplinari e lavorando in ambienti diversi – hanno sviluppato una sensibilità particolare per questi temi, ha avviato nel settembre 1996 presso il Centro ELEUSI-PRISTEM dell’Università Bocconi una ricerca che ha già prodotto due risultati: la mostra Scienziate d’occidente. Due secoli di storia frutto del lavoro collettivo e il libro Donne di Scienza. 55 biografie dall’antichità al 2000, che ho realizzato insieme alla storica Liliana Moro. Un obiettivo della nostra ricerca è stato quello di dare visibilità alle scienziate, proprio nel senso letterale, di mostrarne i visi e l’aspetto fisico per strapparle dall’ anonimato anche visivo. Un altro scopo è stato di capire i motivi della scarsa presenza femminile nella storia della scienza, gli steccati che le ragazze incontrano nelle discipline “eccellenti” e le defezioni che si verificano alla fine della loro carriera scolastica. Le donne non amano la scienza? La scienza non si adatta alle donne? Le vite delle scienziate sembrano dimostrare, fin dall’antichità che è vero il contrario e che probabilmente sarebbe più corretto chiedersi perché la conoscenza e la pratica scientifica abbiano così a lungo e apertamente escluso il pensiero femminile. Sono soprattutto le vicende delle scienziate vissute fino all’ ‘800, quando alle donne era negata un?istruzione adeguata, quelle che rivelano alcune costanti rispetto al ruolo che la società ha avuto nei loro confronti. Nelle biografie delle donne che comunque si sono affermate si nota la presenza di una figura maschile molto importante, un marito, un tutore, un padre o un fratello accanto ad una fanciulla particolarmente dotata (pensiamo alle coppie formate da Ipazia e dal padre Teone, dall’astronoma Caroline Herchel e dal fratello William o dai coniugi Lavoisier, fondatori della chimica moderna). Un’altra costante è l’attenzione molto viva per le poche donne che si imponevano in virtù delle proprie capacità e quella altrettanto sollecita ad impedire che il fenomeno si estendesse, escludendole per esempio dalle università e dalle istituzioni scientifiche. Si osserva infine la caduta a picco della memoria storica riguardo alle donne di scienza e al loro operato, un fenomeno favorito dal fatto che quasi sempre, per essere prese in considerazione, dovevano pubblicare col nome dei mariti o con uno pseudonimo maschile e perciò, spesso le loro opere venivano attribuite ai maestri. E’ stata l’apertura delle università alle donne, avvenuta per la prima volta nel 1860 in Svizzera e in seguito negli altri paesi europei, a segnare una svolta, indicando il momento in cui il contributo femminile alla ricerca scientifica ha potuto estendersi in tutte le direzioni. Spesso però questo è avvenuto troppo tardi perché le scienziate potessero intervenire nell?elaborazione dei fondamenti teorici delle discipline e qualche volta, nonostante le porte dell?accademia fossero ufficialmente aperte, le donne non venivano accolte nella comunità scientifica, ritrovandosi di fatto escluse da quei momenti di scambio informale che costituiscono una parte essenziale nel lavoro del ricercatorre presenti da pioniere. Dalle storie delle scienziate non emergono invece costanti importanti riguardo alle loro capacità personali o al loro modo di essere. Non si ritrova uno stereotipo di scienziata, tantomeno quello tramandato dalla letteratura romantica di una donna poco femminile, troppo di testa e quindi poco di cuore, a volte stravagante e magari un po’ ridicola. Le caratteristiche comuni sembrano di altra natura: da sempre le donne si sono riservate il campo della divulgazione e più recentemente tale vocazione si esprime affiancando all?attività di ricerca quella didattica. Altre costanti sono state la pazienza e la tenacia nel condurre a termine ricerche che, soprattutto prima dell?invenzione del calcolatore, richiedevano lunghissimi tempi in calcoli precisi e laboriosi, oppure in tecniche estenuanti e faticose. Un’altra costante ancora è stata la straordinaria sapienza nell’operatività pratica, che spesso si è tradotta nella vera e propria invenzione e costruzione di nuovi strumenti. Basta osservare la ricerca astronomica, un campo che raccoglie sia importanti contributi di singole scienziate che altrettanto importanti contributi collettivi, come ad esempio i lavori delle équipes di sole donne che infaticabilmente e per decenni hanno lavorato ai due più importanti cataloghi stellari dell?800: il catalogo fotografico La Carte du Ciel e quello Fotometrico di Harvard. Le prerogative citate sopra: “pazienza, tenacia, operatività pratica”, hanno una valenza ambigua e sembrano riduttive in quanto richiamano qualità domestiche da sempre attribuite al femminile. Però fanno risaltare, per contrasto, la genialità e il ruolo eminente che alcune scienziate hanno ricoperto in diversi settori. Basti ricordare Emmy Noether fondatrice dell’Algebra moderna, Sonja Kovalevskaja prima donna docente in una università, Rosalind Franklin che ha trovato le prove sperimentali della struttura a doppia elica del DNA, Lise Meitner che per prima ha interpretato correttamente il fenomeno della fissione nucleare o la Nobel Barbara McClintock che con le sue ricerche ha rivoluzionato la genetica classica lavorando con un metodo, definito da Evelyn Fox-Keller “sintonia con l’organismo”, che risulta molto diverso dal classico paradigma dell’oggettività scientifica. Le donne di scienza sono state spesso presenti da pioniere in settori nuovi o di frontiera della ricerca: la fondatrice dell’ecologia è stata Ellen Swallow, nel 1870, ma il settore fu classificato allora come “economia domestica”; la matematica Ada Byron, figlia del poeta, nell’Ottocento ha anticipato i principi organizzativi del calcolo automatico moderno, le basi dell?informatica. Quando però il nuovo campo si consolida, arrivano le istituzioni, il potere e i soldi, il numero delle ricercatrici diminuisce vertiginosamente. Quali sono i motivi di questa esclusione? I risultatii delle ultime ricerche sembrano far piazza pulita dei luoghi comuni che la attribuivano al fatto che le donne stesse si auto-emarginano o per una scarsa attitudine alla competizione o perchè non accettano i modi del
lavoro maschile, oppure perché ancora penalizzate dal diverso carico nella divisione del lavoro familiare e mettono in evidenza come le ricercatrici vengano deliberatamente scoraggiate dal dedicarsi alla scienza, attraverso precariati più lunghi, paghe più misere e giudizi più sprezzanti sul loro lavoro. Alcune questioni sul rapporto donne e scienza sono tuttora aperte: domande per cui manca una risposta univoca o soddisfacente. La prima questione è se si possa parlare di un “genere” della scienza, se esista cioè un modo specifico delle donne di accostarsi al sapere scientifico. Chi risponde in modo negativo ritiene che la scienza sia solo un modello matematico della realtà e come tale non abbia senso attribuirle un sesso, poiché si tratterebbe di un pensiero che ha in sé i parametri della propria validità ed è quindi indipendente da chi lo formula. Affermare invece che esiste un approccio “femminile” alla scienza è rischioso. Il rischio consiste nel dire banalità o nell’arrivare a sostenere posizioni decisamente discutibili, come hanno fatto alcuni movimenti femministi statunitensi o del mondo anglosassone, quando hanno sostenuto che la scienza è contraria alla natura delle donne, che urta la loro sensibilità e le ferisce, perchè le donne sono dalla parte della Natura e una cultura di dominio non può essere per loro. Le biografie delle scienziate sembrano indicare invece che si possa parlare di un approccio femminile al sapere scientifico almeno nel senso che le donne danno più importanza al linguaggio cioè alla parola, al modo di esprimere le cose e danno anche più importanza alla tecnica, sia intesa come tecnologia che come pratica, metodo, calcolo. Queste capacità, che non sono da ascrivere al DNA, ma che sono legate alle condizioni in cui storicamente le donne hanno operato, diventano adesso sempre più importanti dato che la tecnologia sembra correre più avanti della comprensione di ciò che avviene nella ricerca. La seconda riguarda la ?creatività? femminile in questo campo. Perché nessuna scienziata è mai intervenuta nell’elaborazione dei fondamenti teorici delle discipline, per esempio formulando leggi generali? Perché neppure le “grandi” hanno trovato il coraggio di rischiare? Potremmo rispondere a questa domanda dicendo semplicemente che è troppo poco tempo che le donne sono presenti a pieno titolo nella scienza per poter esprimere contenuti nuovi, ma per approfondire il problema andrebbero interrogate a fondo le biografie di alcune grandi scienziate come Marie Curie, Rosalind Franklin o Marie Goeppert-Meyer per capire anche le insicurezze che le hanno portate per esempio a tenere nel cassetto per anni lavori meritevoli del Nobel. Infine, la presenza sempre maggiore delle donne in ambito scientifico è di per sè in grado di incidere sulle scelte basilari e sugli obiettivi della ricerca? La risposta è molto dubitativa: troppe scienziate sposano degli stereotipi maschili. Nel passato, per esempio, le ricercatrici che hanno partecipato al Progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica non hanno avanzato riserve sulle sue finalità distruttive e anche oggi si osserva che sulle biotecnologie fatica a delinearsi una posizione che tenga conto di uno specifico vissuto femminile rispetto alla riproduzione. Dopo Cernobyl, invece, il movimento delle donne è stato capace di mettere in discussione i modi e l?uso della scienza, dimostrando che si può e si deve uscire dalla dipendenza degli esperti. Nella “nuova scienza”, la velocità dei processi di cambiamento è così rapida, che non riesce ad essere accompagnata da una riflessione adeguata sulle direzioni della ricerca. Per questo motivo la capacità delle donne di interrogarsi di più sul tipo di lavoro che stanno facendo e di preoccuparsi della comunicazione di quello che stanno studiando ci sembra diventare ancora più importante: riuscire a porre domande, a guadagnare tempi per la riflessione e parole per la comunicazione implica assunzione di responsabilità nell?elaborare le forme del nostro futuro e rappresenta certamente un valore aggiunto nella ricerca. Pur consapevoli delle lacune presenti nella nostra indagine e del fatto che essa documenta solo parzialmente la ricchezza del contributo femminile alla scienza degli ultimi due secoli, abbiamo ritenuto importante contribuire a rompere il silenzio attorno al lavoro di tante donne appassionate di ricerca scientifica, nella convinzione che, se la Storia è importante nel sedimentare nelle persone un’ immagine di loro stesse, allora per le donne è molto diverso credere di avere dietro di sè il vuoto nella storia della scienza, rispetto al sapere che c’è un passato, che ci sono delle antenate, che coloro che si occupano ora di scienza non si affacciano su un mondo totalmente maschile.

Il Catalogo della mostra e il libro “Donne di scienza” possono essere richiesti al Centro Pristem dell?Università Bocconi di Milano, telefono 02.58365618, fax 02.58365617, e-mail pristem@uni-bocconi.it. Un dossier su ?donne e scienza? nel sito della Libera Università delle donne di Milano http://www.linda.it nelle pagine Rubriche/ Scienza e nuove tecnologie.

*Insegnante di Matematica Collabora con il Centro ELEUSI ? Pristem ? Università Bocconi e con la Libera Università delle Donne di Milano