La maturità… di seguire la propria stella
Quando iniziano gli esami di maturità, i giovani sembrano improvvisamente al centro dei nostri pensieri. Da 29 anni, da quando cioè la nostra rivista è nata, noi continuiamo a parlare dei giovani e per i giovani: raccontare il loro sguardo ci fa sentire fortunati, perché ci preserva da quell’inerzia che, nell’età “adulta”, sta in effetti sempre dietro l’angolo.
Cosa significa diventare maturi? Lo chiediamo innanzitutto ad Eleonora, maturanda al liceo classico: «Diventare matura per me significa diventare sicura di quello che voglio, senza paura della fatica, degli insuccessi o dei fallimenti». Stefano, che alla fine del liceo scientifico non sa ancora cosa vuole fare l’anno prossimo, risponde provocatoriamente con un’ulteriore domanda: «Cosa significa piuttosto essere immaturi? Seppur non abbia mai capito cosa voglio fare da grande, io non mi sono mai sentito immaturo, perché ho sempre avuto chiaro che tocca a me e a me soltanto costruirmi il futuro». Questo senso di responsabilità è sottolineato da Kevin, che ripensa ai cinque anni in cui ha studiato meccatronica: «Non vedo l’ora di iniziare l’università, per dimostrare a tutti coloro che disistimano gli istituti tecnici, che a fare la differenza è come si studia, non cosa si studia. Io mi sono sempre impegnato a scuola perché ho visto cosa è successo a tanti miei amici che hanno mollato… si sono accontentati di un lavoro solo imposto dalle necessità economiche».
Kevin ha proprio ragione e i suoi occhi nerissimi sembrano addirittura schiarirsi, tanto si infervorano insieme alle parole. Ci racconta di aver fatto il tema sul mondo social e tiene subito a precisare: «Mica penserete che l’indignazione di cui si parlava nella traccia d’esame sia il motore solo dei social? Basta parlare tra amici per rendersi conto di quanto tempo dedichiamo a sparlare degli altri…!».
Le voci di Eleonora, Stefano e Kevin incoraggiano Dafne Guida, Direttrice Generale di Stripes Coop, in una riflessione: «nel 2025, essere giovani significa affrontare un mondo instabile e incerto, dove le regole cambiano continuamente e dove percorsi lineari e “sicuri” non ci sono più. La precarietà è la norma, e adattarsi in fretta diventa una necessità. Molti adulti però pensano che i giovani siano fragili, non solo minimizzando la complessità del presente che – tra guerre, crisi geopolitiche e violenza sociale – inibisce la speranza; ma anche guardandoli un po’ dall’alto al basso, con un’aria pomposa che tende a distanziare… Come possono i giovani non essere fragili, quando sulla quotidianità incombono la guerra in Ucraina, il conflitto incessante tra Israele e Palestina, e la recentissima escalation tra Israele e Iran? Queste non sono solo notizie: sono la costante e opprimente colonna sonora della loro crescita, che rende la loro presunta fragilità un riflesso diretto di un mondo che è intrinsecamente fragile. La maturità, in questo contesto, si manifesta nella capacità di elaborare l’incertezza. Se questo non è visto come un segno di evoluzione, forse il problema non risiede nella presunta immaturità dei giovani e delle giovani di oggi, ma nell’incapacità altrui di cogliere la complessità della loro condizione».
È il mondo ad essere fragile quindi, non i giovani. E noi adulti…? Forse dovremmo anche noi ripassare le parole di Brunetto Latini, che nel canto XV dell’Inferno una cosa soprattutto raccomandava a Dante: «Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto». Le stelle sono i grandi esempi, i grandi testimoni. Grandi, cioè all’altezza dei nostri desideri.