Facciamo un po’ d’ordine… (intervista a Silvia Negri)
Silvia Negri è attualmente presidente dell’APP (Associazione Professioni Pedagogiche). Socia fondatrice di Periplo – studio di consulenza, progettazione e ricerca educativa di Milano, ha un’ampia esperienza sui temi dell’inclusione e dei Bisogni Educativi Speciali nei servizi per l’infanzia e nelle scuole di ogni ordine e grado. Lungo la sua carriera ha progettato, erogato e valutato corsi di formazione in area educativo-didattica e ha partecipato a numerosi progetti e realtà che l’hanno impegnata nel ruolo di pedagogista.
Da anni collabora con il Dipartimento di Scienze Umane per la formazione “Riccardo Massa” e con lo Spazio B.Inclusion[1] dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.
Le figure dell’educatore e del pedagogista si scontrano da sempre con etichette che hanno tentato di delineare i confini di azione di due professioni complesse e dibattute. Perché questa confusione?
I motivi sono certamente molti, ma credo che la ragione principale sia la scarsa conoscenza dei ruoli educativi da parte delle persone estranee alla professione. Spesso, infatti, non si ha ben chiaro chi sia il pedagogista e quali effettivamente siano le differenze con la professione dell’educatore. Eppure, i commi della legge 205/2017[2] tracciano con chiarezza l’identità e gli ambiti di intervento di entrambe le professioni, evidenziando il pedagogista come ruolo apicale che, in contesti multiprofessionali, dovrebbe sostenere e orientare l’azione degli educatori attraverso funzioni di supervisione, consulenza e coordinamento.
Nonostante ciò, nella pratica, si assiste ancora a una sovrapposizione di ruoli e livelli di responsabilità che finisce per rendere ancora più opaca e misconosciuta la figura del pedagogista. È importante invece ribadire che si tratta di due professioni distinte, con percorsi formativi diversi e competenze specifiche, a partire dalla formazione universitaria (laurea triennale per l’educatore, laurea magistrale per il pedagogista).
Alla luce di questa persistente ambiguità, la legge 55/2024 – che istituisce l’Ordine delle professioni pedagogiche ed educative – contribuisce a definire ulteriormente e con maggiore precisione identità e funzioni di entrambe le figure, rappresentando, a mio avviso, un passo importante.
In quanto esperta pedagogista e presidente dell’APP, sta seguendo molto da vicino la vicenda della definizione dell’Ordine e degli albi degli educatori professionali socio-pedagogici e dei pedagogisti. Quali sono le tutele che offrono a coloro che si iscriveranno?
La legge 55/2024 nasce per la regolamentazione delle professioni pedagogiche ed educative attraverso un Ordine dei pedagogisti e degli educatori professionali socio-pedagogici. Si tratta di un ente pubblico che nasce per tutelare primariamente la cittadinanza, garantendo la qualità e la professionalità delle prestazioni. Persegue questi obiettivi offrendo agli iscritti e alle iscritte una formazione continua che sostenga e alimenti la loro professionalità e stabilendo un codice deontologico che costituirà un punto di riferimento ineludibile per le condotte e il rispetto dell’etica nell’esercizio delle professioni: in questo modo l’Ordine rafforza i profili professionali del pedagogista e dell’educatore, andando di fatto a tutelarli e a sostenere il riconoscimento sociale e culturale che meritano, ponendo fine all’idea, purtroppo ancora diffusa, che chiunque possa improvvisarsi educatore o pedagogista. Per fare un esempio concreto, i gestori dei servizi che prevedono l’impiego di pedagogisti e/o di educatori professionali socio-pedagogici si troveranno nella posizione di dover assumere solo professionisti iscritti, diminuendo così le probabilità di una “concorrenza sleale” da parte di altre professioni. Infine, a differenza di quanto accadeva prima con le associazioni professionali, l’adesione alle quali era facoltativa da parte dei professionisti, l’Ordine prevede l’iscrizione obbligatoria per tutti e tutte coloro che esercitano una delle (o entrambe) le professioni, contribuendo a creare una comunità professionale più consapevole, forte e coesa.
Un altro elemento centrale sarà l’obbligo di formazione continua, aspetto che va a contrastare alcune pratiche di disinvestimento sulla formazione professionale in servizio a cui, ancora troppo spesso, si assiste all’interno di alcuni tipi di servizi. È ancora presto per descrivere le specificità di questa formazione: sappiamo solo che la definizione dell’offerta formativa spetterà agli organi di governo dell’Ordine che ancora devono essere eletti. Tuttavia, possiamo essere ragionevolmente certi del fatto che ogni professione sarà rappresentata negli organi di governo dell’Ordine e porterà quindi le proprie rispettive istanze. Ogni professionista potrà poi continuare a formarsi anche tramite enti esterni con cui l’Ordine potrà stringere delle convenzioni. Mi auguro anche che l’Ordine sceglierà di offrire formazione gratuita per permettere a tutti di adempiere agli obblighi previsti senza un ulteriore aggravio economico, oltre ad altri servizi in convenzione, come per l’esempio l’assicurazione professionale. Concludo con una questione che ha sollevato molta preoccupazione fra colleghi e colleghe, cioè la quota di iscrizione: saranno gli organi di governo dell’Ordine a stabilirla quindi qualsiasi ipotesi in questo momento è prematura.
A livello procedurale, la data ultima in cui eseguire l’iscrizione al nuovo albo era stata fissata al 6 agosto 2024 ed è stata poi prorogata fino al 31 marzo 2025. Perché questi tempi così lunghi?
Le attese così lunghe sono dovute principalmente al fatto che il testo della legge 55 si presentava come molto lacunoso. Così, quando è stato il momento di elaborare i decreti attuativi da parte del Ministero della Giustizia, tutte queste criticità sono venute a galla e hanno dato l’avvio a un processo di elaborazione di soluzioni da parte delle Istituzioni e delle Associazioni professionali. La proroga inserita nel decreto cosiddetto Milleproroghe del 25/2/2025 ha aperto un’ulteriore finestra per iscriversi e quindi poter partecipare alle elezioni degli organi dell’Ordine, ma ha permesso anche di garantire ai pedagogisti, agli educatori professionali socio-pedagogici e agli educatori dei servizi per l’infanzia che si sono iscritti di continuare a esercitare la professione fino all’adozione del decreto ministeriale.
Coloro che invece non hanno effettuato la domanda entro la fine marzo, ma possiedono titoli validi secondo gli art. 2 e 4 della legge 55/2024[3], potranno continuare a lavorare fino a che non saranno pubblicati i decreti attuativi e accedere in qualsiasi momento.
La sua esperienza in educazione spazia dall’ambito formativo, scolastico a quello accademico. Cosa l’ha spinta nella sua carriera ad interessarsi alla questione (dell’albo)?
Credo che tutto nasca dall’avvicinamento che ho avuto col mondo delle Associazioni professionali, incontro che è avvenuto relativamente tardi nella mia carriera: nel 2017, in concomitanza al dibattito acceso attorno ai commi della legge di bilancio 205/2017, che hanno poi riconosciuto per la prima volta ufficialmente le figure dell’educatore e del pedagogista. In quell’anno, ho cominciato a incontrare l’importante battage sui social a favore dell’approvazione di quel riconoscimento, e tra le prime associazioni, ho conosciuto APP, di cui sono attualmente presidente.
In APP ho incontrato colleghi e colleghe straordinariamente competenti e validi con cui ho potuto confrontarmi su molte delle sfide e delle potenzialità della nostra professione. Da lì è nato l’invito a candidarmi: prima come consigliera nazionale, poi, in seguito, come presidente. Dopo un primo mandato, sono stata riconfermata nel marzo 2024.
Credo che la motivazione che guida il mio lavoro nasca da una profonda convinzione: le professioni educative sono centrali per il presente e il futuro della nostra società, eppure sono ancora troppo sottovalutate e svalutate – sul piano culturale, sociale, contrattuale ed economico. Nonostante l’associazionismo non sia alla pari di un sindacato, può e deve lottare per un riconoscimento professionale più solido e strutturato. Collaborare con i sindacati, in questo senso, è essenziale: l’obiettivo comune è promuovere una consapevolezza più diffusa e profonda del valore del lavoro educativo. Così, quando sono venuta a conoscenza della possibilità di istituzione dell’Ordine, ho avuto a cuore la questione e ho deciso di impegnarmi per sostenerla.
So che i punti di vista sono molti e anche contrastanti, ed è fondamentale accogliere il confronto ed essere rispettosi di ogni opinione. Tuttavia, credo che nel contesto attuale, dove tutte le professioni affini – dagli assistenti sociali agli psicologi – possiedono un loro Ordine, la strada iniziata sia l’unica percorribile per poter contare anche nei tavoli istituzionali.
Di fronte a noi si apre quindi una porta che potrebbe rappresentare un’occasione concreta di riconoscimento, tutela e riscatto: perché non provare a sfruttarla al meglio?
NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1] B.Inclusion è un servizio specifico dell’Ateneo destinato a studenti e studentesse con disabilità e con disturbi specifici dell’apprendimento.
[2] Citata spesso come “Legge lori”, in onore del nome dell’autrice dei commi 594-601, che hanno disciplinato la figura del pedagogista e dell’educatore professionale socio-pedagogico, definendone anche gli ambiti di intervento.
[3]https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2024-04-23&atto.codiceRedazionale=24G00072&elenco30giorni=true