Educare a navigare le rappresentazioni sociali online

Di Francesca Praticò
Psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale

Con l’avvento dei social media e della digitalizzazione, creazione, diffusione e modifica delle rappresentazioni sociali sono diventate più rapide e virali. Questi strumenti democratizzano la partecipazione, permettendo a chiunque di contribuire al discorso pubblico, ma aumentano anche il rischio di “bolle informative” e di rafforzare stereotipi e rappresentazioni distorte. La ripetizione e la copertura capillare di certi temi possono consolidare opinioni e immagini di gruppi sociali, etnici, di genere, talvolta perpetuando pregiudizi e discriminazioni, ma anche favorendo la coesione sociale e un cambiamento positivo.

Le rappresentazioni sociali sono uno strumento fondamentale per comprendere come gli individui percepiscono ed interpretano la realtà sociale che li circonda: sono immagini, idee, concetti o modelli che si formano nella nostra mente e che riflettono la percezione, la memoria e il pensiero nei processi di comprensione, interpretazione ed interazione con il contesto-mondo. Le rappresentazioni sociali possono essere definite dei sistemi cognitivi, dotati di una loro logica e di un loro linguaggio, che agevolano gli individui nella costruzione della realtà sociale. Si tratta di una conoscenza elaborata socialmente, che gioca un ruolo cruciale nell’orientare le interazioni sociali e materiali, in una costante combinazione e trasformazione, per dare origine a nuove interpretazioni e ad un senso comune della realtà. Si tratta di costrutti mentali che non solo influenzano il modo in cui vediamo noi stessi e gli altri, ma giocano un ruolo cruciale anche nella formazione delle identità culturali, sociali e di gruppo; è per questo che comprendere come funzionano può aiutare a spiegare fenomeni complessi come il linguaggio, la creatività e la capacità di risoluzione dei problemi.

Esistono diversi generi di rappresentazioni mentali: immagini mentali, “film” interni che riproduciamo nella nostra mente come quando ad esempio,  immaginiamo un luogo che abbiamo visitato o ci capita di visualizzare un oggetto; concetti o rappresentazioni mentali di categorie o gruppi di oggetti, come il concetto di “cane”, che comprende le caratteristiche comuni che associamo a tutti i cani; proposizioni che esprimono relazioni tra concetti, per esempio la frase “il cane è sotto il tavolo” rappresenta una relazione spaziale; schemi e script che rappresentano conoscenze organizzate su oggetti o eventi tipici, oppure sequenze di eventi previste, come andare al ristorante.

Moscovici (1925-2014)[1], intorno agli anni Sessanta definì le rappresentazioni sociali come forme di conoscenza comune e condivisa: una complessa rete di concetti, affermazioni ed interpretazioni che emergono nel tessuto quotidiano delle comunicazioni interpersonali e che ci permettono di dare senso alla realtà. Condivise da un gruppo, le rappresentazioni sociali riflettono le esperienze ed i valori collettivi adattandosi rapidamente ai cambiamenti sociali e culturali, a differenza di quanto accade con le conoscenze scientifiche o le credenze individuali, che tendono ad essere più stabili, verificabili e soprattutto sono sviluppate attraverso metodi rigorosi e formalizzati di ricerca. Myers sottolineò l’importanza delle funzioni delle rappresentazioni sociali[2], che avrebbero lo scopo di rendere familiare ciò che è estraneo, permettendo di assegnare persone, oggetti ed eventi a categorie specifiche, condivise da tutti, ma anche di favorire gli scambi interpersonali e sociali – contribuendo a creare un contesto sociale condiviso e una cultura comune – e di determinare l’appartenenza e l’identità sociale degli individui, attraverso la categorizzazione e l’associazione ai gruppi sociali.

Nel processo di formazione delle rappresentazioni sociali, può accadere che gli esseri umani commettano degli errori influenzati da una serie di fattori, tra cui le proprie esperienze personali, le influenze culturali e sociali e le informazioni disponibili. I media tradizionali – come la televisione, i giornali, la radio e il cinema – hanno un ruolo fondamentale nella creazione e diffusione delle rappresentazioni sociali, poiché non solo riflettono i valori e le credenze esistenti, ma contribuiscono attivamente a modellare la nostra comprensione del mondo: è per questo che possono contribuire alla formazione e alla perpetuazione di stereotipi, rafforzando immagini semplificate e spesso distorte. La teoria dell’agenda-setting[3] suggerisce che i media non ci dicono cosa pensare, ma come pensare: concentrando l’attenzione su certi temi e tralasciandone altri, influenzando le priorità e l’importanza che la società attribuisce a diversi argomenti. Questo potere di selezione può plasmare le rappresentazioni sociali su ciò che è importante e degno di attenzione, condizionando ciò che è desiderabile o accettabile.

L’avvento dei social media e della digitalizzazione ha trasformato profondamente il modo in cui le rappresentazioni sociali vengono create, diffuse e modificate, poiché la trasmissione quasi istantanea delle informazioni e delle opinioni fa sì che le rappresentazioni sociali possano diventare virali in poche ore, influenzando rapidamente la percezione collettiva. Quella dei social è una dimensione che, da una parte, democratizza la creazione delle rappresentazioni sociali, permettendo ad individui e gruppi diversi di contribuire al discorso pubblico; dall’altra, aumenta il rischio di creare “bolle informative”[4], dove gli utenti tendono a vedere solo contenuti che confermano le loro opinioni preesistenti. Tale fenomeno può rafforzare stereotipi e rappresentazioni sociali distorte, isolando i fruitori dell’informazione da prospettive alternative.

I media trasmettono dati che diventano parte della conoscenza comune e, attraverso la ripetizione e la copertura estesa di certi temi, possono influenzare le opinioni pubbliche e consolidare rappresentazioni sociali perpetuando stereotipi e immagini di gruppi sociali, etnici, di genere. Possono perpetuare pregiudizi e discriminazioni, ma possono anche essere utilizzate per promuovere la coesione sociale e il cambiamento positivo. In un mondo sempre più globale e interconnesso, è essenziale riconoscere e contestare le rappresentazioni sociali riduttive e negative, favorendo invece narrazioni più inclusive e diverse. Grazie alla rete, chiunque può diventare creatore di contenuti e partecipare alla costruzione delle rappresentazioni sociali: piattaforme come YouTube, TikTok, Twitter e Instagram permettono infatti agli utenti di condividere le loro storie, opinioni e creatività con un pubblico globale, senza la necessità di intermediari tradizionali come editori o emittenti televisive. Quando si tratta di rappresentazioni sociali, una voce autorevole proviene anche dal campo delle neuroscienze, che offrono spunti su come il cervello elabori e memorizzi le informazioni sociali esplorando l’influenza delle emozioni sui processi decisionali e sulle percezioni sociali[5]. La neuroplasticità, la capacità del cervello di riorganizzarsi, suggerisce infatti che le rappresentazioni sociali non siano fisse e possano cambiare con nuove esperienze e informazioni: un dato, quest’ultimo, che può aiutarci a comprendere come le politiche e le iniziative educative possano influenzare le rappresentazioni sociali e l’utilità di scoprire quali strategie usare per promuovere una maggiore comprensione e tolleranza sociale.

Educare gli studenti a navigare le rappresentazioni sociali online, è un passo educativo fondamentale a sviluppare una cittadinanza digitale consapevole e responsabile. Tale educazione richiede un approccio multidisciplinare che contempli aspetti di educazione civica, di alfabetizzazione digitale e di sviluppo del pensiero critico: attraverso attività pratiche, strumenti digitali, ricorso a piattaforme, strumenti di verifica delle fonti e di fact-checking. Indagare l’impatto delle rappresentazioni sociali sulla percezione pubblica di temi come il genere, l’etnia, la religione, può rappresentare una sfida educativa. È compito anche della scuola promuovere programmi di alfabetizzazione mediatica: per aiutare gli studenti a decodificare i messaggi, riconoscere manipolazioni e sviluppare la propria consapevolezza, contrastando così rappresentazioni stereotipate o discriminatorie.

FOTO: © iStock.com/SvetaZi

BIBLIOGRAFIA
– Amber Williams, Reducing Bias in the Classroom, 2023 – https://www.instructure.com/resources/blog/reducing-bias-classroom
– Angelica Mucchi Faina, Maria Giuseppina Pacilli, Stefano Pagliaro, L’influenza sociale, Ed. Il Mulino, 2012.
– Palmonari, N. Cavazza (a cura di), Ricerche e protagonisti della psicologia sociale, Collana Itinerari, 2012.
– Boccia Artieri G., Realtà sociali e rappresentazioni collettive, Milano FrancoAngeli, 2010.
– Catello A., Identità personale e identità sociale: il concetto del Sé nella Rete. Psicologia del lavoro https://www.psicologiadellavoro.org/identita-personale-e-identita-sociale-il-concetto-del-se-nella-rete/
– David G. Myers (Autore), E. Marta (a cura di), M. Lanz (a cura di), Psicologia sociale, Ed. McGraw-Hill Education, 2013.
– Di Guest, Le rappresentazioni sociali: immagini, rappresentazioni, stereotipi e pregiudizi, in https://www.stateofmind.it/2016/09/rappresentazioni-sociali-stereotipi-pregiudizi/
– Iusve Team Identità e appartenenza nelle piattaforme digitali: il ruolo dei social media nella formazione della nostra identità online. In Ricerca, 2023: https://www.culturedigitali.org/identita_e_appartenenza_nelle_piattaforme_digitali/
– Sztompka P., La società come immagine. Rappresentazioni sociali e cultura, Bologna Il Mulino, 2008.
– Serge Moscovici, Social Representations. Explorations, in Social Psychology, 2002. https://www.researchgate.net/publication/263464587_Social_Representations_Explorations_in_Social_Psychology
– Vitania Caramia, Rappresentazione Sociale: Cos’è, Caratteristiche, Funzione e Ricerca, in https://www.psicocultura.it/rappresentazione-sociale/

NOTE
[1] Psicologo e sociologo, considerato una delle figure più rilevanti nel campo della psicologia sociale europea.
[2] Psicologo statunitense, noto a livello internazionale per i suoi manuali di psicologia, in particolare nel campo della psicologia sociale.
[3] L’agenda setting è una teoria della comunicazione che descrive la capacità dei media di influenzare l’importanza percepita dei temi nell’opinione pubblica
[4] Echo chambers e bolle informative, dove gli utenti sono esposti principalmente a contenuti che confermano le loro opinioni preesistenti
[5] Ad esempio l’amigdala, una parte del cervello coinvolta nelle risposte emotive, gioca un ruolo cruciale nella formazione e nel mantenimento dei pregiudizi.