Quando mangiavo ciliegie sotto spirito con Hitler (Manja Prakels)

Manja Pr?kels
Quando mangiavo ciliegie sotto spirito con Hitler
Voland, Roma 2022, p. 248, € 18,00

Quando, il 9 novembre 1989, il mondo assisteva incredulo alla caduta del muro di Berlino tutti abbiamo creduto che l’apertura di quell’ignominioso confine fosse, per gli abitanti della DDR, l’inizio di un futuro di libertà e benessere, dopo quasi trent’anni di esclusione e isolamento.

Ma non tutto fu così semplice e immediato. In questo suo romanzo d’esordio, in parte autobiografico, Manja Pr?kels ci racconta la dura realtà di quegli anni, catapultandoci, con una prosa potente ed evocativa venata di ironia e disincanto, nel cuore di un paese che oggi non c’è più e che vive solo nei ricordi di chi ne faceva parte, come lei.

I primi capitoli si aprono su quel mondo ancora chiuso, in una cittadina della DDR sul fiume Havel non lontano da Berlino. Nonostante le palazzine grigie ed anonime in stile sovietico, Mimì, la protagonista, alter ego dell’autrice, ci trasmette, attraverso i suoi occhi di bimba, l’immagine di un mondo povero, semplice, ma sereno, fondato su una consolidata solidarietà collettiva. Mimì vive con la madre, un’insegnante, convinta comunista, il padre, spesso malato e ubriaco, il fratellino Aldolar e l’amata nonna Frieda, sua confidente ed amica. Tra i suoi compagni di giochi c’è Oliver, figlio dei vicini, un ragazzo un po’ più grande di lei, schivo e di poche parole, con il quale si apparta, durante le tavolate degli adulti per mangiare di nascosto le ciliegie sotto spirito. Sono gli anni della scuola, dei campi estivi in Russia o in Polonia, delle parate celebrative, dello sport, della disciplina, gli anni delle vittorie alle Olimpiadi, che riempiono i cuori di orgoglio patriottico. Mimì si sente fieramente parte di quel mondo che la fa sentire protetta e al sicuro.

Crescendo però, al suo sguardo attento e curioso non sfuggono i primi segni di un disagio strisciante, un malcontento represso che cova negli animi di giovani e adulti e induce qualcuno a “scappare dall’altra parte”.

Mimì fatica a capire… «avrei capito solo anni dopo che facevamo tutti parte di un mondo che stava morendo» e quando ciò accade Mimì ha quindici anni. Non più bambina, ma non ancora adulta, vede crollare intorno a sé il suo mondo e, con esso, un intero sistema di valori.

La riunificazione porta con sé cambiamenti radicali in tutte le strutture sociali e nella riorganizzazione economica molti restano disoccupati, altri devono riqualificarsi per adeguarsi ai nuovi standard e, mentre i cartelloni pubblicitari invadono le città, i poveri vengono spinti ai margini, i giovani, chiusi i centri di aggregazione, si trovano per strada.

All’iniziale euforia subentra la disillusione, il disorientamento, il senso di solitudine e di impotenza di una nazione che si sente privata della propria identità e fatica ad adattarsi al cambiamento.

In questo clima, c’è chi guarda al passato per riconoscersi in un nuovo ideale. Compaiono le teste rasate, gli anfibi, i giubbotti mimetici, le spranghe. Sono i “gorilla”, squadre di giovani neonazisti, facinorosi e violenti, il cui capo è proprio Oliver, nome di battaglia “Hitler”. Sono loro i predatori che, seminando terrore e devastazione, spacciano droga, controllano i locali, dettano le regole, e danno la caccia a punk, africani, senza tetto e alle “zecche comuniste” tra cui anche Mimì e i suoi amici. Costretta a fuggire e a nascondersi Mimì si muove tra spazi fatiscenti e ostili alla ricerca costante di un proprio posto in una realtà devastata dalla paura e dall’incertezza, cercando di mantenere i legami con la famiglia e gli amici in un rapporto di solidarietà e reciproco aiuto.

L’amicizia diventa il perno per la ricerca della salvezza e la ricostruzione di un’identità perduta, attraverso la quale alla fine Mimì riuscirà a riconciliarsi con l’idea che “Hitler” fosse comunque il ragazzo che le salvò la vita.

Manja Pr?kels riesce ad appassionarci e commuoverci restituendoci il quadro vivo e palpitante di un momento storico che forse in Occidente non è stato compreso nella sua profonda complessità e ci fornisce uno strumento prezioso per riflettere sugli eventi odierni in un’Europa in cui gli spettri del passato sembrano riaffacciarsi con preoccupante prepotenza.

Carla Franciosi


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