AI e lavoro creativo: e se ci stancassimo? (Intervista a Pablo Trincia)

A cura di Rebecca Conti


Pablo Trincia
è giornalista, scrittore, autore televisivo e podcaster. La sua lunga carriera inizia con il lavoro da cronista freelance in America latina, Africa e Asia e prosegue poi con collaborazioni con alcune delle più famose testate italiane e internazionali. Dopo diverse esperienze televisive tra cui “Le Iene” e “Chi l’ha visto?”, Trincia si è imposto al grande pubblico attraverso il podcast Veleno, seguito da altri progetti di successo, tra cui Il dito di Dio, Dove nessuno guarda e E poi il silenzio. Il suo ultimo podcast e docuserie si intitola Il Cono d’Ombra: la storia di Denis Bergamini, e racconta il mistero dietro la morte del giovane calciatore del Cosenza. Pablo Trincia è da poco approdato anche al mondo del teatro, portando il suo primo spettacolo – L’Uomo sbagliato. Un’inchiesta dal vivo – nei maggiori teatri italiani.

Ho chiesto a Chat GPT di dirmi chi è Pablo Trincia in tre righe e questo è il risultato: “Pablo Trincia è noto per il suo stile narrativo d’inchiesta. Ha lavorato per “Le Iene” e “Chi l’ha visto?”, e ha creato podcast di grande successo come Veleno, che racconta un noto caso giudiziario italiano. È apprezzato per il suo approccio rigoroso e coinvolgente al racconto della realtà”.
Si rivede in questa definizione o l’avrebbe scritta diversamente?

In generale ti direi di si. Sicuramente ha detto cose vere e si avvicina se non proprio a quello che sono, almeno a quello che faccio. Posso dire che (Chat GPT) è stato abbastanza bravo anche se ha scritto solo di un pezzettino generico di una storia che – come quella di tutti – è più complessa.
Non ho dubbi sul fatto che ChatGPT – o chi per esso – possa essere uno strumento utile per assemblare informazioni, offrire una panoramica verosimile su un dato tema e in definitiva risparmiare anche tempo prezioso. Se qualcuno volesse scoprire di più, ad esempio, sul mio conto, dovrebbe impiegare giorni per leggere libri e fare approfondimenti: in questo senso è estremamente comodo che esista un modo per aggregare le informazioni e arrivare subito al punto.

È possibile secondo lei un podcast di qualità scritto interamente dall’AI?
La risposta più sincera che mi sento di dare è che non credo possa esistere. Non posso sicuramente offrire certezze perché è un’opzione che andrebbe testata nella pratica, ma penso che un podcast scritto solo dall’AI privo di una mano umana, e quindi anche di un cuore pulsante, sarebbe manchevole di qualcosa. O forse la mia risposta rischia di essere dettata un po’ dal romanticismo…
In ogni caso credo che l’intervento umano sia qualcosa di imprescindibile, così come lo è il suo sguardo che si posa sulle cose. L’AI potrebbe essere un valido aiuto per gettare una base per una sceneggiatura, ma poi è la componente dell’autore “reale” ad umanizzare davvero il racconto.

 

Nelle sue interviste ha più volte fatto riferimento allo “sforzo emotivo” che accompagna l’ascolto dei protagonisti dei suoi podcast prima, e il vero e proprio lavoro di scrittura poi.
Nell’era della desensibilizzazione ai contenuti dolorosi, cosa ci fa ancora emozionare
?
Ci fanno emozionare le storie ben raccontate, in cui si accompagna chi ascolta ad un livello più profondo di quello a cui siamo abituati. Quelle storie dove chi fruisce del contenuto si ritaglia il tempo materiale per stare davvero con un personaggio e conoscerlo. Tutto questo è molto diverso dal vedere un video veloce sullo smartphone. Il racconto lento e lo storytelling puro ci porta a tutti gli effetti sullo stesso piano dei personaggi, avvicinandoci a loro e spingendoci verso una sintonia reale. Ci troviamo così ad empatizzare con i protagonisti delle storie che ascoltiamo: da esseri umani lo facciamo naturalmente e continuamente, in questo modo accade che le emozioni di cui siamo spettatori risuonano anche in noi. Ascoltare veramente qualcuno e prendersi il tempo per farlo sarà sempre un’esperienza che ci farà emozionare.

La mala-informazione a cui i chatbot possono esporci, è un rischio su cui vigilare. In quanto giornalista e storyteller: ci si può educare a un’informazione di qualità?
Credo che sia possibile – e anche doveroso – educare le persone alla buona e alla corretta informazione. Non si tratta di un compito semplice, soprattutto per l’utente nonché fruitore delle informazioni: sono richieste competenze complesse, come la capacità di distinguere tra notizie vere e parzialmente vere, riconoscere le fake news e saper individuare quali dettagli siano attendibili e quali no.
Sicuramente oggigiorno diversi articoli sulla politica, sulla storia o sulla cronaca presentano moltissimi errori, imprecisioni e sfumature di significato che non sono immediati da cogliere quando si è dalla parte del lettore. Quello che possiamo fare però, è educare le persone a sviluppare uno spirito critico nei confronti di fatti e notizie, imparando a prenderli sempre con il beneficio dell’inventario: una capacità, tra l’altro, che l’intelligenza artificiale non possiede.

A proposito di spirito critico…lei come sceglie cosa raccontare?
Prima di tutto credo che l’ingrediente più importante sia l’istinto…. Una storia deve catturare la mia attenzione, piacermi, interessarmi e farmi appassionare.  Poi ovviamente, devono essere storie la cui narrazione sia fattibile e realizzabile. Ce ne sono alcune che non riuscirei a raccontare perché degli elementi sono mancanti: testimoni, persone, protagonisti, sono tutti personaggi essenziali senza i quali è impossibile comporre il quadro. Personalmente, poi, ho sempre bisogno delle persone reali per costruire un vero racconto. Non riesco a raccontare una storia senza che siano le voci reali a portare una loro porzione diretta di realtà.

E questo l’intelligenza artificiale potrebbe farlo?
No, l’intelligenza artificiale non può proprio farlo, credo che sulle storie vere non abbia assolutamente potere. Penso che per certi aspetti l’AI rappresenti un po’ la novità del momento, soprattutto per le enormi innovazioni che sta portando in tutto l’universo visual, cioè nel campo delle immagini, dei video e delle foto. Quel che mi viene da pensare è che però, prima o poi, ci si stuferà di questo stile: quella roba saprà di “fake” e le persone ritorneranno a volere e ricercare l’umanità, l’arte nel vero senso della parola e il tocco umano. La creatività ritornerà di moda perché l’AI non ci basterà più. Parliamo spesso di futuri dominati dagli strumenti di intelligenza artificiale, in cui i creativi rischieranno di perdere il lavoro e l’autenticità. Ma forse dovremmo iniziare a considerare anche un’altra possibilità: che la gente, a un certo punto, si stanchi di tutto questo. E che torni invece a cercare la mano dell’uomo e a dargli più valore.


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