NODI DA SBROGLIARE E DA STRINGERE – IL LAVORO EDUCATIVO TRA SFIDE E CONNESSIONI

A cura di Gianluca Salvati coordinatore psicopedagogico e formatore; Simona Faucitano – mediatrice familiare e formatrice e Silvia Pinciroli – pedagogista clinica e formatrice

La Giornata dell’educatore è il nome con cui Stripes presenta un momento di formazione dedicato agli educatori e alle educatrici della nostra Cooperativa. Quello del 4 ottobre è stato il secondo appuntamento. Due occasioni pensate per creare dialogo e riflessione tra chi educa e per imparare, come suggerisce il titolo di quest’anno, a “so-stare” nel proprio luogo di lavoro. L’edizione 2025, intitolata “Rileghiamoci. La professione educativa tra intrecci e connessioni”, ci ha invitati fin da subito a interrogarci su come poter offrire un contenuto di valore al personale che ogni giorno è protagonista dei nostri servizi. Quasi all’unisono, abbiamo pensato a una metafora – e anche a un concetto squisitamente fisico -: il nodo.

 

Che cos’è, in fondo, un nodo? Esiste un’accezione positiva in ciò che, a prima vista, può sembrare una matassa confusa? Se il mondo dell’educazione è, a ben vedere, una rete fitta di persone, relazioni e attori che interagiscono tra loro, non è forse proprio il nodo a dare forma e sostanza a queste connessioni quotidiane? E, ancora, come possiamo pensare il nodo – con tutti i suoi molteplici significati – non come intreccio da sciogliere, ma come connessione vitale tra i diversi elementi di un sistema?
Durante la giornata, abbiamo provato a esplorare questa immagine da più prospettive. Il nodo, infatti, è una figura ambivalente: può essere vincolo o sostegno, ricordo o limite, promessa oppure ostacolo. Pensiamo al nodo matrimoniale come simbolo di unione; al “nodo alla gola” come espressione di un’emozione che blocca; al nodo gordiano come sfida da risolvere; o ancora, al nodo dionisiaco, che nessun legame riesce davvero a trattenere.
Ogni significato ci rimanda a una dimensione del lavoro educativo, dove le relazioni sono, al tempo stesso, ciò che ci sostiene e ciò che richiede attenzione costante per non diventare costrizione.
Insomma, il nodo si presta a tantissime interpretazioni…esiste perfino una “Novena alla madonna che scioglie i nodi” dove questi ultimi sono appiattiti ad una dimensione soffocante, quasi a nodi scorsoi che ci stritolano e ci soffocano. Al contrario, invece, nel mondo dell’educazione molti di noi pensano ai nodi come ad occasioni, veri e propri gradini su cui fare leva per raggiungere traguardi lontani e inaspettati. Ecco, se di nodi ce n’è pieno il mondo, noi possiamo scegliere che significato attribuirgli e da che verso ricamare le storie di vita che incontriamo lungo la strada.
Essere educatori ed educatrici oggi significa muoversi in reti complesse, in cui convivono mondi diversi: scuola, famiglia, servizi sociali, Uonpia, ATS, enti privati e realtà territoriali. In questa trama in cui i nodi sono le relazioni che costruiamo, è la qualità di ciascun nodo a determinare la stabilità dell’intera rete. Spesso, il primo contatto con un referente, un genitore o un collega rappresenta già un primo nodo, un punto di incontro che, se curato, può generare ulteriori connessioni. Ma creare legami non basta: occorre saperli mantenere, riconoscendo quando è tempo di stringere e quando, invece, di lasciare andare. Di fronte a tutto ciò: su quali argini, i professionisti dell’educazione, possono contare? Cosa ci aiuta ad orientarci in questa rete intricata?
La consapevolezza del ruolo di chi, con noi, affronta la stessa situazione da un’altra prospettiva – la conoscenza quindi delle diverse figure che compongono la rete – una relazione costante con il coordinamento, il continuo lavoro di équipe. E ancora, le supervisioni, il confronto continuo tra colleghi e colleghe e la formazione continua. Tutti questi elementi, se intrecciati tra loro, permettono di costruire un tessuto professionale generativo di lavori educativi “ben riusciti”.
Ma quali qualità devono possedere gli educatori e le educatrici per so-stare in un contesto così complesso? Proprio partendo da questo interrogativo, abbiamo richiamato il pensiero di Carl Rogers e la sua idea di accettazione positiva incondizionata. L’accettazione incondizionata si configura, nel lavoro educativo, non come abilità da possedere sempre, ma come orizzonte regolativo, una direzione verso cui tendere. Non stiamo quindi parlando di performance impeccabili: la tensione verso l’accettazione incondizionata di chi ci è davanti è terapeuticamente trasformativa quando è produttiva di senso e di valore, e possiamo dire che questo basta. Non possiamo essere perfetti, né sempre comprensivi, ma possiamo provare a riconoscere e accogliere i limiti – nostri e altrui – come parte integrante del lavoro educativo. Liberarsi dalla fantasia dell’“educatore sempre buono” è, in fondo, un atto di cura verso sé stessi che ci libera da giudizi morali schiaccianti e ci apre la strada verso una relazione più autentica.
Essere consapevoli del proprio nodo può voler dire anche riconoscere un limite sano all’onnipotenza. Accettare che non possiamo tenere insieme tutto – o che non possiamo farlo sempre – è un gesto di consapevolezza che restituisce libertà, a noi e agli altri. La stessa cosa fa il lavoro di rete: ci mette di fronte ai limiti e alle potenzialità del contesto in cui operiamo. Nella rete comprendiamo che il nostro punto di vista non è l’unico, che possiamo relativizzare il nostro modo di pensare l’utente, leggere in modo nuovo la relazione con lui, trovare appoggi, scoprire progetti da attivare. Soprattutto, impariamo a riconoscerci come una delle parti del sistema, non necessariamente quella centrale. Solo dopo aver elaborato il “lutto” della nostra non indispensabilità possiamo davvero permettere che emergano i lati migliori dell’altro e restituire a ciascun attore della rete il proprio ruolo e le proprie responsabilità.
In definitiva, possiamo dire che educare somiglia al lavoro paziente che fa un artigiano: occuparsi dei propri fili, intrecciarli con cura, tenendo insieme compiti diversi tra le mani.
Un mestiere che richiede misura e sensibilità, la capacità di annodare senza stringere troppo, intrecciare senza imprigionare, legare sapendo che ogni relazione può – ogni giorno – trasformarsi.

 

 

 

 

 


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