Violenza giovanile e fallimento delle nostre responsabilità

Di Dafne Guida

La notizia di un gruppo di ragazzi che ha preso in ostaggio e torturato per una notte intera un coetaneo definito “fragile”, ha lasciato senza fiato l’opinione pubblica. È accaduto a Torino, nella notte dello scorso 31 ottobre, mentre si festeggiava Halloween. La mia mente è andata subito a quel ragazzo, alla sua famiglia, ai suoi amici. Ma poi ho pensato a noi, a noi adulti, a noi società. Qual è la vera fragilità qui?
La vera fragilità non è quella di chi subisce, è quella di una società che sceglie di chiudere gli occhi e di non ascoltare il rumore del disagio. Non possiamo più aspettare. È ora che ci prendiamo le nostre responsabilità e affrontiamo il problema con serietà e determinazione. La prevenzione della violenza e l’educazione affettiva sono temi che non possono più essere ignorati. Queste due dimensioni sono intrecciate e si nutrono a vicenda. Ammettiamolo.
I dati sul disagio giovanile sono allarmanti. Secondo recenti studi, molti giovani soffrono di ansia e depressione, e la mancanza di empatia e la difficoltà a sentire emozioni sono diventate una vera e propria emergenza. L’amicizia, un tempo considerata un pilastro fondamentale delle relazioni sociali, sembra essere in via di estinzione. I giovani passano sempre più tempo davanti agli schermi, interagendo con versioni digitali e dematerializzate degli “altri”, piuttosto che con esseri umani reali.

La frase «L’inferno sono gli altri» è una celebre citazione di Jean-Paul Sartre, tratta dalla sua pièce teatrale Huis Clos(Porta chiusa). Essa esprime una riflessione esistenzialista sul rapporto con l’alterità: l’inferno non è tanto un luogo fisico di tormento, quanto la condizione inevitabile di essere costantemente sotto lo sguardo e il giudizio dell’altro, da cui non si può sfuggire. Sartre intende mostrare come la nostra identità sia definita e vincolata dall’esistenza degli altri, tanto che l’assenza dell’altro sarebbe impossibile per il proprio essere.

E invece gli altri oggi sono rappresentanti dai simulacri digitali che per loro natura non hanno corpo, non hanno odore.
Questo fenomeno è particolarmente preoccupante se consideriamo che l’empatia e la capacità di relazionarsi con gli altri sono abilità fondamentali per la costruzione di relazioni sane e positive. La scomparsa dell’amicizia e la difficoltà a sentire emozioni sono solo alcuni degli effetti collaterali di una società che sembra aver dimenticato l’importanza del contatto umano.
Quanto è difficile, infatti, stare nello stesso luogo e nello stesso tempo con corpi vicini, senza la mediazione di uno schermo o di un dispositivo elettronico?

Pensiamo al telefono sul tavolo brandito a cena come una posata alla destra o alla sinistra del piatto. Quanto è difficile affrontare l’inquietudine del corpo e la vulnerabilità che deriva dall’essere umano? La nostra società sembra aver trovato un modo per aggirare queste difficoltà, affidandosi a versioni digitali della nostra identità per affrontare l’ansia e la solitudine.
Ma questo non è un modo sano di vivere. La vera connessione umana richiede presenza, empatia e vulnerabilità. Richiede di essere disposti a correre il rischio di essere feriti, ma anche di essere ricompensati con relazioni profonde e significative.
Per cambiare le cose, è fondamentale portare nelle scuole percorsi di educazione guidati da esperti competenti (sì gli insegnati, gli educatori e i pedagogisti sono tra questi). Ciò potrebbe aiutare i giovani a comprendere meglio se stessi e gli altri, a gestire le proprie emozioni e a sviluppare relazioni sane. Inoltre, promuovere spazi di ascolto e supporto autentico per i nostri giovani, dentro e fuori le aule, potrebbe essere un passo importante verso la prevenzione della violenza.
Costruire alleanze solide tra famiglie, insegnanti e comunità per una crescita educativa condivisa è un altro aspetto fondamentale. In questo modo, potremmo creare una rete di supporto che aiuti i giovani a navigare le sfide della vita con maggiore sicurezza e consapevolezza.

In ogni quartiere dovrebbe esistere quello spazio del dialogo e dell’incontro magari proprio in quelle scuole che chiudono troppo presto dopo pranzo e avrebbero mille potenzialità. È anche importante chiedere alle istituzioni e ai decisori di investire nell’empatia e nella gentilezza come strumenti fondamentali di prevenzione.
La capacità di promuovere cura è la nostra vera forza. Non è un problema solo dei ragazzi: è una sfida che riguarda tutti noi adulti. Lasciare che il silenzio e il disimpegno prendano il sopravvento è diventato un lusso pericoloso. Agiamo ora, insieme, per costruire un futuro migliore per i nostri giovani. Un futuro in cui la connessione umana sia valorizzata e promossa, e in cui i giovani possano crescere con la sicurezza di essere ascoltati, compresi e amati.


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