Predatori di vulve (le violenze sessuali in guerra)
Si narra nell’Iliade che Troia fu espugnata dai Greci. Cassandra, profetessa, figlia di Priamo ed Ecuba, si era rifugiata nel tempio di Atena pensando di trovare riparo e protezione abbracciando la statua della dea. Qui la sorprese un guerriero greco, Aiace Olileo, che la strappò con forza dal simulacro, la rovesciò a terra e la stuprò.
Il valore della forza nei campi militari antagonisti si misura, ieri come oggi, acquisendo prede facili (c.d. bottino di guerra) in base a strategie atte ad umiliare i vinti ovvero ad epurare un’etnia, sradicare un popolo o garantire la stirpe ai vincitori, come nel Ratto delle Sabine.
Tuttavia, quei modelli e quei valori presuppongono anche crimini di natura sessuale che per molto tempo sono stati tollerati giustificandoli come una inevitabile fatalità anziché come comportamenti bestiali e crudeli di persecuzione e oppressione. [1]
In una situazione di caos e di disorganizzazione generale crollano le protezioni sociali ed è vita facile umiliare e distruggere il nemico usando il corpo femminile con stupri, mutilazioni, gravidanze forzate, matrimoni forzate e schiavitù sessuale.
Radhika Coomaraswamy, inviata speciale delle Nazioni Uniti, ha definito violenza sessuale «l’introduzione forzata, la costrizione o la violenza di un qualsiasi oggetto, fra cui, ma non solo, un pene in una vagina o nell’ano o nella bocca della vittima. A ciò si aggiunga l’asportazione del clitoride, delle labbra o la sutura della vulva, l’asportazione delle mammelle e la mutilazione dei genitali». [2]
Dalla notte dei tempi la violenza sessuale sulle donne da parte di predatori è stata l’arma per assoggettare il popolo vinto.
Tra il XV e XVII secolo nell’America latina “I conquistadores” (fra tutti Cortes e Pizzaro) violentavano ed impiccavano le indigene non prima di assistere alla morte dei figli dati in pasto ai cani.[3]
Nel XVI secolo durante le guerre di religione tra protestanti e cattolici tra le tante barbarie vi era quella di riempire l’utero per poi farlo scoppiare oppure aprire il ventre di donne incinta e togliere il feto.[4]
Milioni di donne nel mondo sono i bersagli privilegiati di atti di violenza sessuale e sevizie durante le guerre: stupri commessi davanti ai familiari o perpetrati dai militari nei centri di detenzione o lager.
Una volta rapite da gruppi di opposizione, se non vengono violate, vengono obbligate ad avere rapporti sessuali con i combattenti per soddisfare i loro bisogni fisici o vengono sposate ai capi dei ribelli come compenso per aver vinto il combattimento come è successo durante le guerre civili in Liberia, Angola ed Uganda, Siria, Etiopia, Sudan, Colombia.
Le sopravvissute devono affrontare il biasimo della comunità di appartenenza oltre a conseguenze psicologiche devastanti.
Durante la seconda guerra mondiale il generale Patton dell’esercito statunitense così ebbe ad esprimersi in merito agli stupri compiuti dai soldati:” Se un soldato non scopa, non combatte. Per forza di cose qualche stupro ci può essere stato”. Quindi inevitabili in tempo di guerra! (Sic!). Non è dato sapere se fosse a conoscenza delle violenze sessuali commesse dagli americani sulle donne alleate inglesi e francesi e, in seguito alla disfatta ed alla caduta del Giappone, anche sulle donne giapponesi.[5]
Sul fronte orientale, dopo la caduta del Terzo Reich, l’Armata Rossa si macchiò di gravi crimini contro donne tedesche. Circa 100.000 donne furono stuprate solo nel territorio di Berlino e circa 2 milioni stuprate nell’intero Paese negli ultimi sei mesi della guerra.[6]
Nel 1937 il Giappone invase il territorio cinese con l’intenzione di ampliare il regno dell’Imperatore Hirohito, a danno della Cina. L’esercito dell’imperatore seminò terrore e compì violenze disumane soprattutto nella città di Nanchino. In particolare giovani donne legate insieme in strada per metterle a disposizione dei militari nipponici. Sono state censite dalle 200 alle 400 mila donne cinesi rapite dall’esercito giapponese rese schiave e costrette a fornire prestazioni sessuali nei bordelli militari.[7]
Anche l’Italia fu teatro di simili nefandezze sia alla fine del secondo conflitto mondiale sia negli anni della guerra civile 43-45 per mano di fascisti verso partigiani e viceversa.
Al di là dei loro ideali politici o non, che fossero donne combattenti per la liberazione, donne civili o donne che avevano aderito al movimento fascista, quando si trattava di violenza non v’era bandiera che le distinguesse.
Trattenute, seviziate, picchiate e violentate per carpire informazioni sul “nemico” e farne delle delatrici o, in altri casi, uccise per evitare imbarazzanti testimonianze.
Il libro La ciociara di Moravia, ci ricorda come le donne e bambine italiane venivano violentate o “marocchinate” da parte di reparti di origine nordafricana inquadrati nel Corpo di spedizione francese in Italia.
Tra il ’43 ed il ’45 la polizia politica di Tito, represse nel sangue qualsiasi voce di dissenso di dalmati, giuliani ed istriani. Violenza di massa, stupri e sevizie erano all’ordine del giorno ed uno dei mezzi utilizzati per eliminare i presunti nemici del popolo, erano le foibe. Per quanto riguarda le violenze sessuali subite dalle donne che non volevano aderire al regime “titino”, il loro destino era già segnato.
La fine del secondo conflitto mondiale non segnò il termine delle guerre bensì l’inizio di una serie di belligeranze su scala internazionale. Decolonizzazioni, supremazia territoriale, tensioni geopolitiche ed etniche scatenarono rivoluzioni in varie parti del mondo.
La guerra del Vietnam (1955-1975), tristemente ricordata come uno dei conflitti più lunghi e brutali del Novecento tra il Vietnam del Sud e il Vietnam del Nord, causò la morte di circa 3,8 milioni di persone.
Milioni di donne si unirono alla lotta militare e politica per la riunificazione del paese ma molte di loro furono arrestate, torturate, violentate, mutilate e uccise.[8]
La guerra di Corea (1950-1953) divenne il primo campo di battaglia della Guerra Fredda. Abusi sessuali e schiavitù sessuale militare sulle donne con la creazione di “bordelli militari”.
La militarizzazione portò al perpetuarsi della prostituzione intorno ai campi base dei soldati americani e continuava ad essere un modo per “compensare” i soldati di stanza nella penisola coreana.[9]
Tra la seconda metà del XX secolo ed i primi del XXI i conflitti di natura etnica, religiosa e politica hanno utilizzato strategicamente la violenza per sopraffazioni, epurazioni etniche, genocidi e crimini di genere.
La pulizia etnica nei Balcani venne attuata durante la guerra scoppiata tra i Paesi che componevano la Jugoslavia federale (Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia). Violenze e tensioni politiche insanguinarono l’area tra il 1990 e il 1999. In questo quadro si sviluppò anche il genocidio di Srebrenica, città della Bosnia-Erzegovina, l’11 luglio 1995.
Nel 1992 il centro del conflitto si spostò in Bosnia, anch’essa proclamatasi indipendente. In Bosnia, gli stupri etnici furono parte integrante della pulizia etnica e del genocidio. Furono creati anche dei campi di stupro in cui donne e bambine venivano torturate sistematicamente fino alla morte o ingravidate forzatamente.[10]
Timor Est ha vissuto l’occupazione indonesiana durante la quale gli assalti fisici e gli abusi sessuali erano usati come arma di guerra e mezzi per traumatizzare il paese. Dal primo attacco indonesiano nel 1975 al referendum dell’indipendenza nel 1999, il conflitto ha portato oltre 250 mila morti per omicidio, fame, violenza sessuale ed incendi, un numero che ammontava al 20% della popolazione.[11]
La guerra civile in Birmania è scoppiata nel 2021 quando i militari hanno contestato i risultati delle elezioni del 2020 che vedevano in testa il partito della politica Aung San Suu Kyi.
Torture sistematiche, tra cui gravi abusi fisici e mentali come percosse, scosse elettriche, strangolamenti e privazione del sonno, ma anche stupri di gruppo, bruciature di parti intime del corpo e altri crimini di natura sessuale, si sono registrati durante la guerra civile.[12]
In Afghanistan durante il conflitto armato 1979-1989 le forze talebane e le forze del Fronte Unito, hanno aggredito sessualmente, rapito e costretto le donne a sposarsi. Le donne sono state prese di mira sulla base del genere e dell’etnia. Migliaia di loro sono state aggredite fisicamente e il loro diritto alla libertà e alle libertà fondamentali è stato fortemente limitato.
Nel 2008, in Pakistan, quando i talebani presero il controllo della città, misero al bando televisori e musica, ma soprattutto vietarono alle bambine e alle ragazze la cultura: fu ordinata la chiusura di tutte le scuole femminili. Si generò un conflitto tra gli estremisti islamici e l’esercito pakistano. Alle ragazze fu fatto espresso divieto di uscire. La violazione dei divieti imposti comportava la carcerazione, la tortura o la morte. Qualcuna è riuscita ad affermare i diritti civili alla libertà a rischio della propria vita, come Malala Yousafzai [13]
Tra il 1975 e il 2002 l’Angola è stata protagonista di una guerra civile durante la quale nel solo sobborgo periferico di Cazenga ci sono stati quasi 4mila episodi di violenza, che equivalgono a circa 10 aggressioni al giorno.[14]
La guerra civile in Sierra Leone è stato un conflitto armato iniziato nel marzo del 1991. Negli anni terribili della guerra, migliaia di ragazze sono state catturate, torturate, violentate e costrette a prendere le armi e ad uccidere civili innocenti.
Inizia nel 1992 la guerra civile in Algeria tra il Governo del Paese, insediatosi a seguito di un colpo di Stato, e i miliziani islamici.
Secondo un sondaggio ufficiale non esaustivo, sono in 10.000 ad essere state rapite, o cedute dai loro familiari per un matrimonio di piacere per una durata che poteva variare da un’ora a svariati mesi. Erano diventate schiave sessuali. Prese come bottino di guerra al momento degli attacchi, venivano stuprate dal capo-gruppo che poi le «passava» ai suoi uomini. Per evitare che evadessero erano obbligate a vivere nude nei campi anche durante i lavori di fatica. Quelle che rimanevano incinte venivano spesso uccise.[15]
La Repubblica Democratica del Congo è uno dei paesi più ricchi di risorse naturali al mondo, ma anche uno dei più martoriati da decenni di guerre.
Nella guerra civile iniziata nel 1997 e finita nel 2000 fra opposte fazioni, le donne sono divenute i principali bersagli di stupri di massa, spesso perpetrati con una crudeltà che lascia segni fisici e psicologici permanenti.
Quando parliamo di “Genocidio del Ruanda” intendiamo il massacro dei cittadini di etnia tutsi da parte della popolazione di etnia hutu, avvenuto tra il 6 aprile e il 15 luglio 1994. La violenza sessuale sulle donne in quanto tali ed appartenenti all’etnia tutsi, costituisce una parte del genocidio. La violenza e lo stupro è di massa e colpisce, secondo una stima approssimativa, 50000 donne senza distinzione di età. Si va da bambine di 2 anni a donne di 50 anni. Dopo essere state violentate e orribilmente mutilate con un machete vengono uccise. Fra le atrocità rientrano anche le torture: versare acqua bollente o acido nella vagina o mutilare la vagina e la parte pelvica o vulvare.[16]
La storia degli stati latinoamericani è fatta di crisi governative continue che si alternano a regimi dittatoriali o semi dittatoriali contraddistinti da terrore di stato e torture in contesti economici fragili.[17]
Fra il 1974 e il 1983 112 donne argentine, hanno vissuto l’esperienza drammatica della prigionia nelle carceri della dittatura in particolare la c.d. Villa Devoto con quotidiane torture fisiche e psicologiche.[18]
Con Rivoluzione culturale si intende il decennio che attraversò la Cina dal 1966 al 1976. La violenza sessuale perpetrata ai danni delle donne da parte dei quadri locali fu una delle forme di persecuzione più diffusa. Essa si intensificò tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta tra i giovani inviati a lavorare in una squadra di produzione. Assoggettate alla tirannia dei quadri rurali, le donne erano particolarmente esposte a stupri e ricatti, a intimidazioni e matrimoni forzati con disabili considerati un peso per la comunità locale.[19]
L’Onu, nel maggio 1993, decise di istituire la Corte penale Internazionale con sede all’Aja ed intraprese un lungo percorso normativo, pragmatico e programmatico, attraverso una serie di Risoluzioni[20] perché «Nonostante numerosi sforzi, la violenza sessuale continua ad essere una caratteristica orribile dei conflitti in tutto il mondo… è usata deliberatamente come arma di guerra», così afferma il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres.[21]
Da quanto precede sorge spontanea la domanda se, nonostante gli sforzi messi in atto dal diritto internazionale e dalle sue Istituzioni e nella miriade di conflitti ancora in atto nel mondo, i predatori di vulve si siano ravveduti e siano stati rieducati al rispetto della donna, del suo corpo e della sua libertà.
Dalle notizie che giungono dai vari fronti di guerra pare che ciò non sia ancora avvenuto ed allora è giusto mantenere accesi i riflettori affinché le donne siano protagoniste di un globale processo di pace, di rinnovamento culturale e di tolleranza.
[1] P. Bourdueu, Il dominio maschile, Feltrinelli 1998.
K Guenivet, Stupri di guerra, Sossella, 2002.
[2] Centro di Ateneo per i diritti umani A. Papisca. https://unipd-centrodirittiumani.it/it/temi/il-contributo-di-radhika-coomaraswamy-le-diverse-forme-e-i-luoghi-della-violenza-contro-le-donne
[3] Focus storia 94, agosto 2014.
[4] A. Leoni, Storia delle guerre di religione, Ares 2018.
[5] J. Robert Lilly, Stupri di guerra, op. cit.
[6] R. Mühlhäuser, Eroberungen, Sexuelle Gewalttaten und intime Beziehungen deutscher Soldaten in der Sowjetunion 1941–1945, Hamburger Edition, Hamburg 2010.
[7] Iris Chang, Lo stupro di Nanchino. L’olocausto dimenticato della Seconda guerra mondiale, Corbaccio, 2000.
[8] S. Karnow, Storia della guerra del Vietnam, Rizzoli, 1985.
[9] M. Hasting, La guerra di Corea 1950-1953, Rizzoli, 1984. https://www.nev.it/nev/2020/07/22/la-resistenza-delle-donne-coreane-per-arginare-il-patriarcato-militarizzato/.
[10] E. Doni, C. Valentini, L’arma dello stupro. Voci di donne della Bosnia, La Luna, Palermo 1993.
[11] https://terresottovento.altervista.org/la-violenza-e-dovunque-a-timor-est-rampanti-gli-abusi. C. Luciano, Timor est: la geopolitica del colonialismo, Opinion juris. https://www.opiniojuris.it/wp-content/uploads/2021/02/Timor-Est.
[12] https://www.ohchr.org/en/hrbodies/hrc/home
Aung San Suu Kyi, La mia Birmania, Corbaccio, 2008.
[13] Malala Yousafzai, Io sono Malala. La mia battaglia per la libertà e l’istruzione delle donne, Garzanti 2013.
[14] P. De Benedictis, Le donne silenziose dell’Angola, https://www.focusmediterranee.com/tag/angola
[15] G. Khelifi, Violenze sulle donne in Algeria: un calvario senza fine, https://www.babelmed.net/en/article/violenze-sulle-donne-in-algeria, 2008.
[16] Y. Mukagasana , Alain Kazinierakis, Le ferite del silenzio. Testimonianze sul genocidio del Rwanda, La Meridiana, 2008.
[17] R. Nocera, A. Trento, America Latina, un secolo di storia, Carocci, 2013
[18] Memoria del buio: opera collettiva di 112 prigioniere politiche argentine: 1974-1983, prefazione di Italo Moretti, Sperling & Kupfer, Milano, 2008.
[19] S. Graziani, Le ragazze zhiqing. L’esperienza femminile dell’esilio durante la Rivoluzione Culturale Cinese, DEP – Deportate, esuli, profughe, Università Cà foscari Venezia.
Esmein, Storia della rivoluzione culturale cinese, Laterza 1971.
[20] 1325, 1820: https://peacemaker.un.org/sites/peacemaker.un.org/files/SC_ResolutionWomenPeaceSecurity_SRES1325%282000%29%28english_0.pdf
[20] Consiglio di Sicurezza, Risoluzione 1820, 19 giugno 2008: http://www.centrodirittiumani.unina.it/documenti/Consiglio%20Sicurezza%20Onu%2018.6.2008%20Stupro%20di%20g
https://digitallibrary.un.org/search?f1=author&as=1&sf=title&so=a&rm=&m1=e&p1=UN.+Security+Council+%2863rd+year+%3A+2008%29&ln=en.
[21] Rapporto del Segretario Generale dell’Onu (S/2013/525).


