Sospensione scolastica: serve a qualcosa?

Di Monica Nardozi
Pedagogista e insegnante di Lettere a Torino

 

La sospensione scolastica viene frequentemente presentata come uno strumento necessario per ristabilire l’ordine istituzionale e promuovere il rispetto delle norme. Tuttavia, alla luce delle principali teorie pedagogiche e psicologiche, essa appare come un intervento riduttivo, connotato prevalentemente da una logica sanzionatoria più che educativa. L’allontanamento dello studente dal contesto scolastico interrompe quel processo relazionale e dialogico che costituisce il fondamento stesso dello sviluppo delle competenze socio-emotive, della responsabilizzazione e dell’autoregolazione.
La tradizione pedagogica classica e contemporanea mette in evidenza come la formazione della persona richieda continuità, prossimità educativa e relazioni significative. Montessori[1] sostiene che la disciplina autentica non si impone eteronomamente, ma emerge da un ambiente predisposto al rispetto, alla fiducia e alla cura. In questa prospettiva, la sospensione agisce in senso contrario, poiché non offre alcuna possibilità di rielaborazione dell’errore né di costruzione di un percorso riparativo. Essa comunica implicitamente allo studente l’idea di essere “espulso” dal gruppo, attivando meccanismi di stigmatizzazione che ostacolano la crescita personale.
Pedagogisti come Meirieu[2] e Freire[3] sottolineano la responsabilità etica e politica dell’educatore nel comprendere, accompagnare e contestualizzare i comportamenti degli studenti. La sospensione, invece, traduce l’intervento educativo in un atto giudicante e normativo, assimilabile più alla logica dell’autorità sanzionatoria che a quella della formazione. La scuola, in tali casi, rischia di rinunciare al suo mandato epistemico ed etico, limitandosi ad applicare misure di controllo sociale anziché strategie educative orientate al cambiamento.
Sulla stessa linea si colloca il contributo della psicologia umanistica. Rogers[4] evidenzia come il cambiamento personale avvenga principalmente in un clima relazionale caratterizzato da accettazione incondizionata, ascolto autentico ed empatia. In assenza di tali condizioni, l’intervento rischia di produrre frustrazione, oppositività e senso di ingiustizia. Gli studi di Greene[5] confermano che i comportamenti disfunzionali degli studenti non derivano da una deliberata volontà di trasgredire, ma da competenze emotive, cognitive e sociali ancora in formazione. La sospensione, ignorando tali dinamiche, fallisce nel suo intento educativo e contribuisce alla costruzione di identità negative.
Un ulteriore elemento di criticità riguarda la struttura stessa dell’istituzione scolastica e il suo modello di normalità. Gardner[6] ha mostrato la pluralità delle forme di intelligenza e dei profili cognitivi, mettendo in discussione la visione monolitica e uniformante che spesso guida le pratiche scolastiche. Gli studenti neurodivergenti risultano particolarmente penalizzati da sistemi disciplinari rigidi che non tengono conto della varietà delle traiettorie di sviluppo. L’adozione della sospensione in risposta a comportamenti legati a differenze neurocognitive produce effetti discriminatori e contrasta con il paradigma dell’inclusione.
La prospettiva socio-critica offre ulteriori elementi di analisi. Freire[7] afferma che ogni atto educativo è necessariamente situato all’interno di un contesto sociale e politico. Valutare o sanzionare un comportamento senza considerare le condizioni di vita, le vulnerabilità e le influenze socio-familiari dello studente significa perpetuare un modello educativo riproduttivo, più orientato al mantenimento dell’ordine che alla promozione dell’uguaglianza. In tale senso, la sospensione rischia di ampliare le disuguaglianze e di rafforzare processi di marginalizzazione.
Alla luce di tali considerazioni, è necessario valorizzare approcci alternativi fondati su pratiche riparative, mediazione dei conflitti, counselling scolastico e percorsi personalizzati di responsabilizzazione. Questi strumenti consentono allo studente di rielaborare l’impatto delle proprie azioni[8], ricostruire le relazioni compromesse e sviluppare competenze socio-emotive. Le ricerche internazionali mostrano che tali pratiche risultano maggiormente efficaci nel promuovere cambiamenti duraturi, poiché si collocano all’interno di una logica educativa, non punitiva.
In conclusione, la sospensione scolastica costituisce un dispositivo anacronistico, scarsamente coerente con i più aggiornati paradigmi pedagogici e psicologici. Essa si inserisce in una cultura del castigo che appare incompatibile con l’idea di scuola come luogo di emancipazione, inclusione e promozione delle potenzialità personali. L’educazione del futuro non può fondarsi sull’esclusione, ma su interventi che riconoscano la complessità dei comportamenti, la pluralità degli stili cognitivi e la necessità di una presa in carico globale degli studenti[9]. Solo così la scuola potrà adempiere al proprio mandato formativo ed etico.

[1] Montessori M., Il segreto dell’infanzia (1936).
[2] Meirieu P., Lost at School (1995).
[3] Freire P., Pedagogia degli oppressi (1970).
[4] Rogers C., On Becoming a Person (1961).
[5] Greene R., Lost at School (2008).
[6] Gardner H., Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences (1983).
[7] V. nota n. 3.
[8] Dewey J., Democracy and Education (1916).
[9] Meirieu P., Pedagogia: il dovere di resistere (1995).


Sede Legale:
Via Ghisolfa, 32 – 20217 Rho (MI)
pec: cooperativa@pec.stripes.it
P.IVA e C.F. 09635360150




Tel. (02).931.66.67 – Fax (02).935.070.57
e-mail: stripes@pedagogia.it
C.C.I.A.A. Milano REA 1310082




RUNTS N° rep.2360

Albo Società Cooperative N° A161242
Capitale Sociale i.v. € 365.108,00



Redazione Pedagogika.it e Sede Operativa
Via San Domenico Savio, 6 – 20017 Rho (MI)
Reg. Tribunale: n. 187 del 29/03/97 | ISSN: 1593-2259
Web: www.pedagogia.it


Privacy Preference Center