AlterEgo: parlare con l’AI senza dire una parola

Di Igor Guida

 

Immagina di poter comunicare con un assistente digitale senza muovere le labbra né toccare uno schermo. È l’obiettivo di AlterEgo, un dispositivo indossabile sviluppato da una startup di Boston, che permette di interagire con computer e sistemi di intelligenza artificiale semplicemente parlando nella propria mente. A differenza degli impianti cerebrali, AlterEgo non legge il pensiero e non accede all’attività neuronale. Il suo segreto sta nella rilevazione dei segnali neuromuscolari: minuscole contrazioni della mandibola e della gola che si attivano quando formuliamo parole mentalmente, senza pronunciarle. Questi segnali vengono interpretati da un software basato su intelligenza artificiale, che li traduce in testo o comandi digitali. Fondamentale è il fatto che AlterEgo registra solo segnali muscolari volontari: il dispositivo cioè ascolta solo ciò che l’utente decide di comunicare, preservando la privacy e il controllo sul flusso dei propri pensieri. La risposta arriva poi all’utente tramite un sistema audio a conduzione ossea, capace di trasmettere vibrazioni sonore direttamente alle ossa del cranio, lasciando libere le orecchie. Tale tecnologia, infatti, funziona con cuffie che, passando dietro alle orecchie, si appoggiano sull’osso zigomatico e inviano vibrazioni che viaggiano fino all’orecchio interno e vengono percepite come suono. Il primo prototipo di AlterEgo è nato al MIT Media Lab nel 2018 grazie al ricercatore Arnav Kapur. Già allora si era dimostrato che il cosiddetto parlato subvocale – le parole pronunciate solo nella mente – poteva essere riconosciuto con buona precisione. L’idea iniziale era di aiutare chi aveva difficoltà di linguaggio, ma ben presto è stato chiaro che le potenzialità andavano molto oltre. Il dispositivo combina elettromiografia e conduzione ossea in un’unica piattaforma leggera e portatile, capace di operare in tempo reale grazie a modelli di AI di nuova generazione. Le applicazioni sono molteplici. Immagina di dare istruzioni al tuo assistente AI nel bel mezzo di una folla, o di inviare messaggi senza toccare lo smartphone. Per chi non può parlare, la tecnologia rappresenterebbe un progresso davvero rivoluzionario. AlterEgo si muove all’interno di un campo in forte fermento, dove molte e grandi aziende tecnologiche stanno cercando nuovi modi per rendere l’interazione uomo-macchina sempre più naturale. Ognuna segue una strada diversa. Neuralink, per esempio, lavora su impianti cerebrali che vengono inseriti direttamente nel cervello: una soluzione molto potente, ma anche complessa, costosa e riservata soprattutto ad ambiti medici. Meta, invece, sperimenta braccialetti che leggono i segnali muscolari dell’avambraccio per controllare dispositivi digitali, puntando in particolare sulla realtà aumentata. Inoltre, nel 2023, un gruppo di ricerca di Meta ha dimostrato che è possibile decodificare segnali cerebrali misurati con magnetoencefalografia per ricostruire immagini e parole pensate dai soggetti, usando un modello di intelligenza artificiale addestrato su dataset pubblici. Questo risultato mostra che i campi magnetici generati dall’attività elettrica del cervello contengono informazioni ad alta fedeltà sullo stato mentale, sufficienti per un modello AI a interpretarle. Apple e Google continuano a perfezionare sistemi basati sulla voce, sui gesti e sul movimento del corpo, tecnologie ormai familiari ma che hanno ancora limiti evidenti in termini di privacy, rumore ambientale e precisione. In questo panorama, la scommessa di AlterEgo appare più pragmatica: uno strumento che non richiede interventi chirurgici, non legge il cervello e non obbliga l’utente a parlare ad alta voce o a compiere gesti visibili. L’idea di fondo è che una tecnologia debba essere semplice da usare, poco invasiva e socialmente utile. Se indossare un impianto o parlare con un assistente vocale in pubblico può risultare scomodo, problematico o imbarazzante, un’interfaccia silenziosa e invisibile potrebbe integrarsi più facilmente nella vita quotidiana. Forse il futuro non sarà quello di leggere la mente, ma di ascoltare il pensiero nel senso più umano e intelligente del termine. AlterEgo non è infatti un caso isolato: altre tecnologie stanno aprendo strade simili per decodificare segnali mentali senza invasività chirurgica. La Mind-captioning AI, sviluppata da Horikawa e NTT, utilizza la risonanza magnetica funzionale combinata con modelli di intelligenza artificiale per trasformare immagini mentali in descrizioni testuali, raggiungendo un’accuratezza del 50% su visualizzazioni cognitive. Allo stesso modo, Brain2Qwerty di Meta AI decodifica frasi complete da segnali generati durante una digitazione immaginaria, permettendo la produzione di testo continuo in modo non invasivo grazie a reti di deep learning. Non da meno, il cappello portatile UTS GrapheneX DeWave, basato su elettroencefalogramma avanzato, traduce pensieri silenziosi in testo con applicazioni cruciali per pazienti con ictus o paralisi, mentre il sistema di Stanford per l’inner speech impiega microelettrodi nel cortex motorio per decodificare monologhi interni con il 74% di precisione, attivabili da password mentali. A sigillare questa corsa verso l’interfaccia mente-macchina c’è il progetto di OpenAI e Merge Labs, una startup che sviluppa un’interfaccia non invasiva basata su ultrasuoni e ingegneria genetica per leggere pensieri umani tramite onde sonore e campi magnetici, evitando del tutto interventi chirurgici sul cranio. Con un finanziamento di 250 milioni di dollari e talenti del Caltech, Merge Labs punta a connettere il cervello umano a macchine periferiche, aprendo la porta a interazioni fluide con assistenti AI. In questo contesto, AlterEgo emerge come precursore pragmatico, ricordandoci che il vero progresso sta nel rendere l’intelligenza artificiale un’estensione naturale e discreta del nostro pensiero quotidiano.

 

 


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