ARTICOLO DEL MESE – MAGGIO 2013

In occasione del Salone del Libro di Torino, il cui tema è la creatività e in cui Pedagogika sarà presente nello stand di Toscanalibri, l’articolo del mese di Maggio è “Il processo creativo: un’esperienza stra-ordinaria Intervista a Massimo Donà” tratto dal numero Educare alla Creatività

Il processo creativo si caratterizza innanzitutto per un fatto: ossia, per il suo improgettabile dispiegarsi nel mondo riuscendo a rendere il medesimo radicalmente ‘nuovo’. In questo senso, il vero processo creativo non si limita a modificare la “parte” – e dunque solo un certo essente –, ma riesce sempre ad illuminare di nuova luce il mondo intero.

Il processo creativo: un’esperienza stra-ordinaria

Intervista a Massimo Donà*

Il processo creativo si caratterizza innanzitutto per un fatto: ossia, per il suo improgettabile dispiegarsi nel mondo riuscendo a rendere il medesimo radicalmente ‘nuovo’. In questo senso, il vero processo creativo non si limita a modificare la “parte” – e dunque solo un certo essente –, ma riesce sempre ad illuminare di nuova luce il mondo intero.

Quanto contano le componenti “esterne” alla creazione diretta (progettazione, comunicazione, promozione, diffusione, ecc…) rispetto all’opera stessa?

Innanzitutto dobbiamo precisare che nessun processo creativo si determina ‘autonomamente’. Ossia, nessuna creazione può essere considerata come ‘cosa in sé’… nel senso di cosa isolata da tutto il resto. Anche per il semplice fatto che qualsivoglia essente accade ‘in un mondo’; e il suo senso non sarebbe in alcun modo comprensibile a prescindere dal contesto che il mondo stesso disegna intorno ad esso (e rispetto a cui esso potrebbe esser fatto valere come semplice ‘testo’). Tutto ciò che è esterno ad esso entra infatti direttamente in gioco nel costituirsi della sua identità. Ma, se questo va riconosciuto come vero per ogni essente, a maggior ragione tale articolazione dovrà essere riconosciuta come ‘decisiva’ nel processo di costituzione del processo creativo – una forma del fare che ‘sul mondo’ interviene con forza a ridisegnarne l’oggettualità. Il processo creativo, infatti, si caratterizza innanzitutto per un fatto: ossia, per il suo improgettabile dispiegarsi nel mondo (improgettabile, perché non ogni forma di poiesis “pro-airetica”, e dunque progettante, può essere fatta rientrare nel novero dei processi “creativi”), riuscendo a rendere il medesimo radicalmente ‘nuovo’. In questo senso, il vero processo creativo non si limita a modificare la “parte” – e dunque solo un certo essente –, ma riesce sempre ad illuminare di nuova luce il mondo intero. Perciò, se da un lato l’opera che ne risulta non potrà che riflettere in sé la totalità del mondo da cui ogni essente è sempre e comunque determinato e condizionato, dall’altro essa potrà anche riuscire a rideterminare e a riconsegnare alla propria condizione ‘aurorale’ (da cui il suo farsi ‘nuova’, infante, e quindi originaria) quella medesima totalità.

E’ più importante creare o comunicare? In altri termini, l’opera d’arte riuscita è quella che si avvicina il più possibile a un livello di “perfezione” ideale o è quella che raggiunge più direttamente possibile la sensibilità del pubblico?

Direi che la questione non si pone proprio. Nel senso che in virtù del processo creativo non si comunica alcunché. D’altro canto, se si trattasse solo di comunicare un messaggio, un contenuto, una tesi… basterebbe qualsiasi altra forma di produzione. Non serve davvero il processo creativo per comunicare – è sufficiente scrivere un libro di poetica, un manifesto, rilasciare un’intervista… oppure scrivere un articolo di giornale. E poi, si provi a rispondere a questa domanda: perché mai le opere della creazione artistica ci travolgono (quando ciò accade – beninteso)? Perché interrompono il nostro comune pro-cedere…? Perché ci fermiamo a contemplarle? Mai per una questione puramente contenutistica o stilistica, e neppure formale. Perché, se le cose stessero così, dovremmo essere sorpresi da tutte le opere che utilizzano lo stesso colore dell’opera che ci ha sconcertato… o che utilizzano il suo stesso stilema formale… o che trattano dello stesso argomento. Ma ciò non accade. E dunque è anche evidente che il motivo dell’incanto da cui dovessimo esser stati colti non potrebbe coincidere con nessuno di quelli appena indicati. Anzi, dovrebbe essere evidente che non può esservi alcun motivo determinato in grado di rendere ragione dell’esperienza estetica connessa a questo o quel processo creativo; ché, se ci fosse, potremmo davvero produrre opere d’arte a programma – sarebbe sufficiente impegnarsi a produrre opere rinvianti sempre a quel medesimo motivo. E il risultato sarebbe garantito. Ma lo sapeva bene anche Duchamp… che ad essere chiamata in causa, nell’incanto prodotto dalla vera creazione artistica, è sempre e solamente l’indifferenza. Ossia, la “negazione” di qualsivoglia distinta (differente) determinatezza o motivazione specifica.

Fra i possibili esiti di un processo creativo è contemplato anche il fallimento? Cosa significa e che conseguenze comporta il fallimento di un’opera d’arte?

Certo, il fallimento è sempre possibile; anche per il semplice fatto che l’evento della creazione artistica – come abbiamo in parte già detto – è assolutamente improgettabile. Esso può solo essere ‘sperato’, dunque. Pura elpis, vuota speranza non fondata su nulla, è quella che sostiene la sfida costituita da ogni reale processo creativo. O meglio, da ogni processo di produzione che auspichi di essere “creativo”. Il fallimento, cioè, è qualcosa di costitutivamente connesso all’evento rappresentato dal processo creativo. Come dire: non vi sarebbe processo creativo, indipendentemente dalla possibilità del suo fallimento. Là dove il processo fallisse, poi, non resterebbe che riprovare; all’infinito… sperando di essere prima o poi toccati dall’evento della creatività; ovvero, dalla grazia che, solo, la rende possibile. Impegnarsi, faticare, lottare per riuscire a farsi protagonisti di un atto creativo significa dunque lottare, impegnarsi per qualcosa che non dipende affatto dal nostro impegno e dalla nostra fatica; ma che pure li richiede. Da ciò la costitutiva paradossalità del processo creativo. Per esso, infatti, ci impegniamo ogni volta in vista di qualcosa che non dipende affatto dal nostro impegno. E d’altro canto, solo accettando di affrontare questa ‘aporia’, ci si potrà inscrivere in un’esperienza davvero stra-ordinaria; che sfida la logica comune e meccanicamente consequenziale che domina nel corso della vita quotidiana.

*Docente ordinario di filosofia teoretica presso la Facoltà di filosofia dell’Università Vita-Salute del San Raffaele e trombettista jazz.