AUTOBIOGRAFIA E DONNE CHE HANNO SUBITO VIOLENZA: ANALISI DI UN PERCORSO

 

Genesi dell’esperienza

“Tutto è partito per caso”, così a volte capita di pensare quando si vive un’esperienza nuova, a tratti sorprendente e la si affronta con naturalezza.

Tuttavia, se in un secondo momento si ragiona sulle reali dinamiche che hanno portato alla scelta, spesso s’intuisce che nulla è avvenuto casualmente, ma che viceversa è la conseguenza di volontà precise.

E’
il caso del percorso che mi accingo a descrivere e che investe la cura, ambito che ha attraversato la mia vita animando il mio modo di vivere in una lunga ricerca interiore e professionale.

Il mio lavoro è rivolto ad anziani e adulti in gravi condizioni di salute e si snoda attraverso le complesse dinamiche relazionali che emergono nel porsi all’altro: solo con un progetto alle spalle è possibile individuare in itinere gli obiettivi reali ed efficaci da perseguire.

Il contatto costante con le diverse forme di sofferenza ha modificato nel tempo le priorità e le visioni esistenziali provocando la necessità di avvicinarmi ad altre modalità di bisogno, da qui le esperienze ancora attive all’interno della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari e sul lutto.

Dalla Toscana si è aperta la strada per la conduzione di laboratori autobiografici improntati sulla cura, un altro modo di affrontarla. E’ vero che le esperienze si spalleggiano l’una all’altra!

I motivi del Laboratorio

Da qualche anno, grazie alla Cooperativa Sociale Lunenuove, la cui sede è situata poco distante da Modena, ho potuto mettere a frutto le competenze acquisite; nel tempo si è sviluppato un rapporto di fiducia reciproca, di conoscenza dei rispettivi saperi e delle singole competenze tra me e le operatrici (la maggioranza assoluta di presenze è femminile).

Credo che questo sia il motivo principale che ha spinto la vice presidente a propormi di condurre tre incontri autobiografici con un gruppo di donne facenti parte del corso “Dalla sfoglina al futuro”, un titolo curioso che ha riunito donne di età differenti, di diverse provenienze ma accumunate da dure esperienze di vita, quali la violenza sessuale, le percosse, la violenza psicologica.

Tre incontri (in partenza ne era previsto uno) di 4 ore ciascuno che si sono succeduti dal 18 ottobre al 17 dicembre 2012, all’interno dell’accogliente sede della Cooperativa in stanze silenziose che hanno garantito la riflessione e il raccoglimento, il recupero della memoria, l’ascolto dei propri e altrui sentimenti, il confronto sulle medesime problematicità.

Ma devo tornare alla mia reazione di fronte a tale proposta, che mi ha visto rispondere affermativamente ma non in modo inconsapevole: si è presentata infatti l’occasione che aspettavo rispetto alla violenza personale di genere, per il quale ho nutrito sempre attenzione avendolo provato da ragazzo sulla mia pelle, ma totalmente nuovo sul fronte della formazione.

Fortunatamente le operatrici impegnate nel progetto mi hanno rafforzato nel mio intento, rassicurandomi e dandomi fiducia, le ringrazio per questo, l’avvicinamento è stato di grande umiltà e disponibilità poiché conosco i miei limiti. So che l’osservazione, l’ascolto e la gradualità sono ingredienti fondanti per riuscire.

L’approccio

La presenza della Tutor del corso in aula, impegnata in prima persona, è stata di grande rilevanza, il “terzo occhio” per cogliere dalle condivisioni delle scritture nuove informazioni e istanze da comparare con i dati già in possesso, per guardare a obiettivi individuali ancor più mirati.

Per monitorare l’andamento degli incontri e le dinamiche relazionali emergenti, mi sono avvalso di un diario personale sul quale ho appuntato gli eventi, le reazioni personali e del gruppo.

Nella preparazione agli incontri ha giovato munirmi di variabili per ogni stimolazione scritta, ciò mi ha dato sicurezza e la possibilità di valutare in itinere come procedere.

Sul campo la scelta è risultata vincente, perché durante lo sviluppo del laboratorio la scrittura è diventata sempre più strumento di condivisione e di apertura relazionale. Ai momenti di scrittura si sono alternati altri di riflessione personale e di gruppo altrettanto rilevanti ai quali dovevo dare spazio.

Nel laboratorio non si è parlato di violenza: altri luoghi e situazioni sono adatte e preposte a farlo, la mia scelta è stata quella di ri-partire dalle singole unicità, le origini familiari, i ricordi più antichi, le memorie di case mitiche e di luoghi lontani.

In cerchio per conoscersi: la scrittura che sorprende

Il primo incontro vede il gruppo riunirsi attorno al tavolo, 15 visi curiosi e attenti ad ascoltare e a cercare di capire cos’è l’autobiografia e soprattutto il perché  della proposta.

L’inizio attira e coinvolge: sapere di spendersi in prima persona, di scrivere di sé provoca inevitabilmente reazioni contrastanti, ma solo una partecipante resta muta, preferendo ritrarsi subito.

C’è L. brasiliana dal carattere forte che poco dopo esce dalla sala piangendo, si è posta in modo diretto, quasi provocatorio ma si è accorta presto che non serve, che non c’è competizione. Dopo aver parlato alcuni minuti con la Tutor, rientra. Sarà tra le più entusiaste a fine mattinata.

Poco dopo partiamo con la prima scrittura, a tutte ho consegnato un semplice quaderno bianco e una matita, diventerà il simbolo di un impegno preso da tutte molto seriamente.

Il compito è semplice, si tratta scrivere cogliendo liberamente dalla propria memoria: la più giovane, S., con uno sguardo dolce confessa che non riesce a scrivere, nel silenzio trova improvvisamente l’ispirazione, per il resto del tempo manterrà questo pudore, la misura di ciò che riesce a darsi e a darci.

Dopo pochi minuti le espressioni dei visi sono più rilassate, pronte, aperte a nuove sollecitazioni: la successiva è una libera presentazione scritta di sé e del sentimento che anima dentro ed è anche l’occasione per una prima condivisione in gruppo.

Voci decise, sussurrate, momenti intensi, un nuovo modo di riconoscersi e di sentirsi vicine.

Tra il susseguirsi di parole mi torna in mente quando la Tutor mi ha descritto le partecipanti e ha parlato del modo compulsivo da parte di A. di attirare l’attenzione, di prevaricare; guardo il gruppo e mi chiedo chi sia la persona indicata, ma non ne sono in grado. Lo saprò al momento di tornare a casa.

Prima del laboratorio, T. non ha mai parlato, letteralmente, qualcuno si è chiesto se l’abbia, una voce, ora è la scrittura a parlare per lei, ed è una scrittura fluida, lucida, senza scorciatoie, illuminante e bellissima nella sua crudezza.

E. è sorella di L. e incarna la parte dolce che l’altra tenta di celare: ascolta con attenzione, attende il suo turno e parte in sordina, come a chiedere il permesso, per poi aprirsi compiaciuta.

R. è come chiusa sulla sua sedia, il dolore e la rabbia le hanno spinto nel fondo le parole, per cui quelle che affiorano si accompagnano alle lacrime e allo sguardo che ricerca gli occhi.

La semplicità di P. è la sua forza, le è costata cara nella vita ma non l’abbandona mai; coglie con entusiasmo il compito dato e lo porta avanti con timide parole cariche d’ironia e di volontà che non si piega.

F., senegalese, ha il portamento regale e la riservatezza composta di chi ha trovato uno scopo vero nella vita, il suo sorriso la porta verso il futuro, che di certo sarà migliore.

R. e R. provengono entrambe dal maghreb e di esso rimpiangono paesaggi e ricordi. Qui non è lo stesso, sono affamate di mitezza, come dimostrano le loro voci leggere e composte.

F. è una giovane ragazza italiana, molto provata e coinvolta dalle vicende della vita, arriva per ultima ma subito si integra nel clima che si è creato, confessa la sua disabitudine a scrivere, anche se le piace.

La lingua italiana è un obiettivo importante per l’altra F., è la chiave per il suo inserimento nel sociale e simbolo di autonomia, infatti da anni è in Italia ma non ha potuto imparare la lingua perché le è stato impedito. Ora un costante e dolce sorriso l’accompagna nel lavoro di gruppo; grazie all’aiuto delle connazionali (ma non solo) scrive e parla di sé, finalmente.

La seconda parte dell’incontro si apre all’orizzonte dei ricordi d’infanzia, le origini, al “prima” che è indossato con orgoglio, rammentato con dolcezza nella certezza di dirsi: “io ero così”, ma che spesso è carico di rimpianti.

Risuonano le parole bambine, quelle dette, ascoltate, rimaste mute, ri-viviamo con parole adulte i luoghi della famiglia in un percorso di discoprimento, tra quotidianità profondamente diverse dove la natura è protagonista ed è nutrimento, privazione, ma anche gioco, spettacolo da ammirare.

Il gruppo s’immerge nel lavoro con tutto se stesso e pare affamato di scrittura, ci sono emozioni palpabili, ma anche l’elettricità del gioco.

Ci concediamo una piccola regressione collettiva.Per finire, un girotondo virtuale per chiamarci non più con i nostri nomi, ma con una parola che ci rappresenti, è il degno finale che rende magico l’ambiente e permette di pronunciare
parole importanti che valgono la vita: ci stiamo prendendo cura di noi.

Famiglia, Amore, Verità, Pace, Perseveranza, Azione, Autenticità, Tranquillità, Educazione, Amicizia, Ricerca, Ambizione, Felicità, Testardaggine, Esplorazione…

Questi, adesso i nostri nomi, la dichiarazione d’intenti, una sorta di mini-autobiografia che riassume intere vite, tra ciò che siamo stati, quello che siamo e che vorremmo essere; non contenti rilanciamo e chiudiamo adottando una parola ascoltata dagli altri. Adesso il cerchio è davvero completo.

L’autobiografia diventa una possibilità

Un contatto con la Tutor testimonia il gradimento dell’esperienza e la grande attesa per il secondo evento, alcune hanno continuato a scrivere per conto proprio sul quadernetto, P. addirittura ha coinvolto il marito nelle scritture proponendogli le esercitazioni d’aula, c’è anche una rinnovata curiosità sull’autobiografia quasi per indagare, per scoprire il segreto di un inaspettato benessere: cos’è davvero l’autobiografia?

E’ la domanda che da più parti monopolizza l’intero gruppo al gran completo all’inizio del secondo incontro: c’è chi chiede la differenza con il diario, chi si sofferma sulle esperienze personali precedenti, chi paragona il lavoro in aula alle tante autobiografie che si vedono in libreria, chi vorrebbe scriverne una, chi la vorrebbe pubblicare…è un fiume in piena che deve essere fatto fluire per riportarlo al lavoro odierno.

Dopo lo spazio dedicato alla scrittura nel silenzio del proprio quadernetto, il laboratorio prende avvio e si sposta dai luoghi idealmente protetti dell’infanzia esplorati nel laboratorio precedente, per entrare in contatto col mondo, anzitutto attraverso il corpo.

Lo stimolo di scrittura rimanda al dialogo col corpo che negli scritti è accolto dalle partecipanti con toni di gratitudine e di timida, ma divertita ironia.

La matita è diventata un’alleata morbida e fedele, così la condivisione di questi scritti diventa un fatto naturale, consequenziale. Com’è diverso il clima! Adesso quasi tutte si lasciano andare, ma sempre con misura, anche chi è più restia si sente parte del processo in atto.

Seguono le mie letture e suggestioni che preparano al lavoro seguente che intende spiccare il volo per guardare dall’alto le innumerevoli “prime volte” che hanno sfiorato, toccato, provocato vissuti forti, che hanno fatto scoprire di essere al mondo.

Lo stimolo è ambizioso, carico: il silenzio accompagna l’impegno di tutte.

F. si ferma di colpo, fa ampi segni con le mani per dire che non ha nulla da scrivere, salvo poi riprendere, R. si guarda intorno a lungo per caricarsi dell’energia delle compagne, le osserva attentamente una ad una e si tuffa nel quaderno.

Per tutte, appena la matita si posa sul tavolo è un costante ricercarsi con lo sguardo per una conferma, oppure si chiacchiera sottovoce.

La condivisione degli elaborati apre a ventaglio spiragli sulle tematiche nodali delle singole esistenze anche se non sono descritte direttamente; restano sullo sfondo, ma s’intravedono grazie a riferimenti, considerazioni, descrizioni di persone e di luoghi.

La Tutor mi confida che emergono eventi e situazioni sconosciute che il corso, lungo e impegnativo, fianco a fianco non aveva espresso.

Rifletto che in questo secondo laboratorio, oltre al clima di cui ho già accennato, il ruolo della scrittura ha ampliato il suo orizzonte: oltre a essere grande motivo di evocazione, riflessione e per certi versi, sorprendente collante di esperienze e di confronti, nel momento della condivisione diventa ritrovo, agorà, libertà di pensiero, modalità per conoscersi ancora un po’, per scherzare, alleggerirsi.

E’ questo, credo, uno dei meriti maggiori del progetto, l’apertura a nuove istanze, ad altre possibilità, ma il tempo vola e le altre scritture in programma restano nel cassetto, è un prezzo pagato volentieri.

Quello odierno doveva essere l’ultimo spazio dedicato, ma a richiesta ne viene aggiunto un altro: avanti, allora!

Il lascito aperto del corso

L’ultimo incontro è fissato pochi giorni prima di Natale, si respira un clima da fine percorso, con alcune assenze, tra le quali l’espulsione di A. che non è riuscita a mantenere l’atteggiamento consono in classe, inoltre un disguido di orari ritarda sensibilmente l’inizio dei lavori.

Devo stravolgere il programma, ma è confortante constatare che la motivazione delle presenti non è venuta meno.

I fedeli quadernetti campeggiano sui banchi e attendono di essere aperti, il consueto esercizio di memoria libera riscalda l’ambiente e lo prepara per il prosieguo del lavoro.

Una mia lettura sul silenzio introduce il primo esercizio di scrittura che farà da sfondo a tutto l’incontro, la scrittura di un proprio segreto su un foglio da ripiegare che sarà prelevato da una compagna per essere conservato. Solo a fine mattina decideremo insieme se condividerlo o meno.

Le reazioni sono di sorpresa incuriosita, con varie richieste di chiarimenti sul significato di “segreto”;  F. sostiene di non avere segreti e di non aver nulla da scrivere, l’altra F. spiega nei particolari il tipo di segreto che scriverà, E. annuncia che si riferirà solo a un episodio di bambina, altre preferiscono tacere, tutte scrivono, infine i biglietti sul tavolo vengono presi a turno.

I silenzi, appunto, quanti tipi di silenzio abbiamo vissuto, provato, subito, voluto, ascoltato? Con il successivo esercizio di scrittura condividiamo gli elenchi: riaffiorano sentimenti intimi e contrastanti, nell’ascolto ancora silenzio, così nelle pause tra parole interrotte dall’emozione.

La seconda parte è incentrata sulla metafora della vita: il treno, un gioco serio che ognuna rappresenta sul proprio foglio e che sarà una sorta di lascito delle tre giornate, un cantiere aperto sul quale riflettere, aggiungere o togliere in ogni momento, uno strumento da affiancare al consolidato quadernetto.

Dopo la condivisione, ci si avvia al termine riprendendo la domanda aperta di cosa farne dei nostri segreti: infine decidiamo di svelarli, è vero, in parte erano già stati annunciati tuttavia in un caso è davvero la prima volta che viene condiviso, ci ringraziamo a vicenda.

A mio avviso, il valore di quest’ultima proposta sta nel fatto di aver riflettuto sul proprio concetto di segreto, nella disposizione a esporsi, a condividere qualcosa d’importante.

Per concludere e come saluto finale ci affidiamo alle parole di una famosa canzone di Violeta Parra:

“Grazie alla vita”.

Mi porto dietro…

…La conferma di tanti anni d’esperienza nelle situazioni di criticità. L’importanza di lasciare entrare e fluire, ma non trattenere le emozioni che ho provato, perché l’aiuto è uno scambio, innanzitutto.

La dignità e la forza interiore che spesso non ci si riconosce. La capacità di sorprendersi, di guardare al futuro anche se le parole del presente sono di dolore.

Come uomo di fronte a donne penso che qualche anno fa un laboratorio di questo tipo non sarei stato in grado di sostenerlo, troppe ancora le scorie dell’esperienza violenta subita da adolescente.

L’autobiografia in questo ha avuto un ruolo di snodo personale, di auto-cura, di propulsore esistenziale.

Mi sono presentato con umiltà e ho proposto una relazione libera da pretese, giudizi, valutazioni: il mio intento è stato riconosciuto e posso dire apprezzato dalle partecipanti, di certo mi è stata di grande aiuto l’esperienza di fronte e a fianco di tante donne, dove spesso il “maschile” è fonte di disagio.

Penso che l’essere uomo in una proposta di genere sia un valore aggiunto in quanto testimonianza che anche la figura maschile è in grado di accogliere, di ascoltare, di condividere. Sono consapevole che peraltro possa “bloccare” altre dinamiche relazionali, ma è un rischio che vale la pena di correre: tutti siamo coinvolti di fronte alle forti problematicità individuali e sociali.

Come formatore, si è svelato un percorso che può solo crescere, ha accresciuto la mia convinzione nella validità della forma autobiografica come strumento complementare a interventi psicologici e sui disagi esistenziali.

La mia esperienza testimonia che dare fiducia alla formazione autobiografica può significare per lo specialista dotarsi di importanti informazioni aggiunte per la presa in carico.

L’autore

Maurizio Padovani, 55 anni abita a San Prospero (MO), è responsabile organizzativo presso una Residenza Sanitaria-Assistenziale, dal 2010 è Consulente esperto in pratiche autobiografiche e conduce laboratori nell’area del modenese riguardanti la cura e il disagio esistenziale; dal 2007 è anche volontario impegnato attivamente
nel sostegno alle persone in lutto, presso l’Associazione Maria Bianchi di Suzzara (MN).

Il Corso

Il progetto dal titolo “Dalla sfoglina al futuro” – Percorso formativo professionalizzante per donne in condizione di svantaggio in cerca di lavoro – si è concluso nel gennaio 2013 ed è stato organizzato dal Centro di formazione professionale CESVIP, la Cooperativa Sociale Lunenuove di Campogalliano (MO) e il Centro di ascolto antiviolenza “Vivere Donna” di Carpi (MO).

L’obiettivo della formazione si è sviluppato dando strumenti e informazioni affinché le partecipanti potessero prendere coscienza del proprio sapere e del saper fare per valorizzarlo sul lato pratico, ciò per valorizzare l’autostima e una base motivazionale per la costruzione di un percorso professionale (in questo caso di “Operatore di panificio e pastificio”).

All’interno delle proposte è stato inserito lo strumento della scrittura autobiografica come ulteriore occasione di riflessione e di valorizzazione della propria identità.

Il corso ha accolto 18 Donne con svantaggio sociale e lavorativo, si tratta di Donne che provengono per la maggior parte di loro da situazioni di violenza nell’intimità o violenza domestica.

Nello specifico,15 hanno subito situazioni di violenza fisica, psicologica, economica e sessuale dall’ex coniuge convivente, una di loro sta ancora continuando a subire violenza psicologica e fisica dall’ex marito, quotidianamente sta ricevendo dal marito, separato solo di fatto e già con cinque denunce a carico, minacce verbali molto pressanti e fondate, nonché continui pedinamenti.

Una donna ha subito violenza fisica dal padre e un’altra violenza sessuale (abuso infantile) dallo zio paterno.

Una di loro ha subito “solo” violenza psicologica ed economica dall’ex-marito.

Due di loro hanno dichiarato di avete avuto mariti etilisti, le altre hanno invece dichiarato che il marito

non faceva uso di sostanze stupefacenti.

Solo una donna non ha figli a carico.

Le problematiche maggiormente emerse riguardano l’autostima e  l’assertività, infatti molte di loro provengono da situazioni di forte solitudine ed isolamento sociale, nessuna possiede autonomia ed indipendenza economica.

Molte hanno dichiarato di avere paura dell’uomo violento anche dopo anni dalla separazione ed in generale, di avere poca fiducia negli altri uomini e nessuna fiducia nelle forze dell’ordine e nella giustizia.

Delle 18 donne solo due hanno parlato in passato a figure esterne (servizi sociali, centri antiviolenza, forze dell’ordine) della loro situazione di violenza subita, di fatto sono le uniche che hanno sporto denuncia per molestie e violenze continuate.

Provenienza delle donne, nello specifico: 11 dall’Italia, 3 dal Marocco, 2 dal Brasile, 1 dalla Tunisia, 1 dal Senegal.

Età: dai 21 ai 67 anni, (dai 35 ai 40 anni è la fascia d’età col maggior numero di donne).