Con gli occhi di Giano

Che senso ha raccontare la propria storia di vita a scuola? Perché dedicare del tempo a parlare di sé? A quale scopo ripensare al passato se bisogna guardare al futuro? Queste potrebbero essere alcune delle domande e delle perplessità espresse o sottaciute da parte di chi senta parlare per la prima volta di metodologia autobiografica nell’ambito scolastico. Agli stessi interrogativi si cercherà di rispondere esponendo un’esperienza effettuata in una scuola del mantovano.

Nella scuola media “G. Pascoli” di Suzzara è stato realizzato un progetto di formazione con il metodo autobiografico; prima di analizzare tale progetto nel dettaglio si vogliono però esplicitarne le finalità generali, le quali risiedono nelle valenze educative della metodologia autobiografica e nei significati della sua applicazione nel contesto scolastico.

Raccontarsi nella scuola media: valenze formative e significati

Il metodo autobiografico è stato di recente definito nell’ambito di ricerche e studi italiani e stranieri sull’educazione in età adulta. E’ soprattutto in tale età della vita, difatti, che è possibile riflettere in modo critico su di sé e lavorare mentalmente sulla propria vita passata; è anche vero, però, che favorire la mobilitazione del pensiero introspettivo e retrospettivo fin dall’infanzia è molto importante per far acquisire progressivamente l’arte dell’apprendere da se stessi.
L’idea pedagogica sottesa alla ricognizione biografica è proprio quella dell’au- toformazione: quando si racconta la propria storia di vita, a voce o per iscritto, si svolge un lavoro di ri-costruzione non solo della propria storia, collegando in modo inedito varie tranches de vie, ma anche di sé, ricomponendo un’identità frammentata in luoghi e tempi diversi della propria esistenza. Durante l’atto di raccontarsi, quindi, il soggetto può conoscere il proprio Sé in una prospettiva caleidoscopica e può anche creare nuove rappresentazioni di se stesso, degli altri e del mondo. In tal modo si verificherebbe un “cambiamento posizionale” – vale a dire un mutamento di prospettiva con cui guardare alla propria storia – che è il presupposto per l’elaborazione di un progetto di vita e per una trasformazione consapevole di sé. Il senso più profondo della pratica autobiografica è dunque quello di produrre conoscenze e cambiamenti nella vita di una persona, a partire dalla riflessione su di sé e sulla propria vita. Proporre la metodologia autobiografica nel contesto scolastico significa, nella fattispecie, porre al centro dell’attenzione il soggetto, con i suoi pensieri e le sue emozioni, e introdurre una pratica autoformativa in un luogo in cui difficilmente si dà spazio al singolo individuo, al mondo degli affetti e all’apprendimento da se stessi.
Nell’ambito scolastico la tendenza generale è anche quella di nascondere o di ignorare la vita precedente ed esterna alla scuola di insegnanti e studenti, come se questa non avesse una ricaduta nel modo personale di apprendere e di insegnare. Eppure, per quanto riguarda lo studente, le scienze dell’educazione hanno messo in luce ormai da tempo l’importanza della storia precedente dell’allievo nel determinare le sue possibilità di imparare: il mancato accertamento dei cosiddetti pre-requisiti cognitivi’ ed affettivi del discente sarebbe la causa di molti insuccessi scolastici, come ha notato B. S. Bloom. Di fronte ai cosiddetti “casi difficili”, poi, spesso non si hanno gli strumenti per risolvere dei problemi che affondano le loro radici nel passato o in quel mondo della formazione” che è la vita stessa dell’individuo, in cui la scuola svolge solo una parte.
Rispetto all’insegnante, alcuni studi di matrice psicoanalitica, hanno rilevato che vi sono dei nessi tra la biografia scolastica e la pratica didattica di insegnamento, che spesso agiscono a livello inconscio; in particolare è stato notato che i docenti tenderebbero a trasmettere alla nuova generazione il tipo di istruzione che hanno avuto o che alternativamente avrebbero desiderato ricevere. Oltre al rapporti avuti con gli insegnanti entrerebbero in gioco, nella vita quotidiana di chi insegna, l’ideale infantile di maestro e quello di allievo, il proprio rapporto con la scuola e con la conoscenza, le emozioni provate rispetto all’apprendere e all’insegnare, etc. Rendere esplicite tali dinamiche interne e “portare a galla” il proprio passato, non può fare altro che aumentare il grado di consapevolezza e consentire di modificare certi comportamenti che vengono reiterati in modo irrazionale.
Per un insegnante anche ripercorrere con la memoria le ragioni della scelta della professione, l’ingresso nell’organizzazione scolastica ed alcune esperienze significative della propria carriera, può rappresentare un momento altamente formativo: si possono riscoprire le motivazioni o le rappresentazioni di untempo verso l’insegnamento, si può apprendere dai propri successi e dai propri insuccessi, si può trovare la compenetrazione tra la propria personalità e il proprio stile di insegnamento…. e tutto ciò può aiutare a definire meglio la propria identità di adulto e di insegnante.
Ma in che modo la pratica autobiografica può essere utile agli studenti delle scuole medie? Innanzitutto va fatto presente che a partire dagli undici/dodici anni il soggetto sviluppa nuove competenze cognitive, che gli consentono di prendere le distanze da se stesso per porsi come oggetto della propria riflessione, di formulare ipotesi sul proprio avvenire e di esprimere i propri pensieri e sentimenti attraverso le parole. Comincia a questa età, infatti, l’esigenza di scrivere un diario personale e di parlare di sé con i coetanei. Alimentare la capacità di raccontarsi anche a scuola può allora favorire il processo autoconoscitivo e la crescita integrale dell’individuo. Durante quell’età in cui inizia il passaggio dalla condizione di bambino a quella di adulto è necessario che il/Ia ragazzo/a prenda coscienza dei suoi cambiamenti fisici, psichici e affettivi e che sappia esprimere la rappresentazione che ha della sua persona in divenire. Il rischio che corre il preadolescente alla ricerca di una nuova identità è, infatti, quello di perdere la propria identità precedente e di vedere frantumarsi la propria personalità in una miriade di “sé possibili”, che egli fatica a ricomporre in un disegno unitario. A tal proposito una modalità ricognitiva come quella del colloquio biografico può aiutare il soggetto a n cuci re insieme i vari aspetti del sé e a trovare quell`armonica coerenza interna” che è indispensabile per acquisire un senso
di “dentità dell’Io”, come direbbe E. H. Erikson.
Inoltre la metodologia autobiografica, proponendo un recupero del passato in funzione della costruzione del proprio futuro, può essere particolarmente indicata in un’età in cui si rischia di rimanere bloccati tra il desiderio e la paura di crescere, tra la nostalgia dell’infanzia e la proiezione utopica nel mondo adulto: solo attraverso il ricordo di chi si era si può comprendere meglio in che cosa si sta cambiando e si possono formulare ipotesi realistiche sul proprio avvenire.
Una maggiore consapevolezza rispetto alle capacità della propria mente ed un lavoro metacognitivo su come e su quanto si apprende, infine, possono avere un 1 influenza positiva anche sul piano strettamente scolastico, soprattutto se sono accompagnati dal sentimento dell’autostima, che spesso si trova alla base della buona riuscita negli studi.
Alla luce di quanto detto si passerà ora ad esporre un progetto formativo rivolto tanto agli studenti quanto agli insegnanti delle scuole medie.

Un progetto triennale di formazione con il metodo autobiografico

Nella scuola media “G. Pascoli” di Suzzara si è da poco concluso un percorso di ricerca-formazione con il metodo autobiografico della durata di tre anni, coordinato dalla Cattedra di Educazione degli Adulti dell’Università Statale di Milano’.
Il progetto pedagogico si proponeva un duplice obiettivo: da una parte effettuare un itinerario formativo di tipo longitudinale per monitorare continuità e cambiamenti nelle storie di vita di un campione rappresentativo di ragazzi/e, attraverso colloqui biografici ripetuti a intervalli regolari durante i tre anni della durata del progetto; dall’altra compiere un percorso di formazione rivolto ad alcune classi, utilizzando varie declinazioni del metodo autobiografico ed approfondendo, di anno in anno, delle specifiche tematiche. Le interviste biografiche rivolte agli studenti, nell’arco dei tre anni della ricerca, andavano ad esplorare la vita relazionale, cognitiva ed emotiva di ciascun ragazzo/a, lungo gli assi del passato, del presente e del futuro (come proiezione immaginativa). Ricordi d’infanzia, esperienze delle scuole elementari e passaggio alla scuola media. eventi cruciali, rapporti con i coetanei e con gli adulti, identificazioni in personaggi mitici o ideali, aspirazioni e progetti per l’avvenire, riflessioni sul proprio modo di apprendere e di essere, sono alcuni dei temi toccati in tali colloqui. Parallelamente al lavoro ricognitivo con gli studenti, sono state effettuate delle interviste con i rispettivi genitori ed insegnanti, con l’obiettivo di rendere maggiormente consapevoli delle dinamiche evolutive proprie dell’età preadolescenziale non solo i diretti interessati, ma anche gli adulti che si trovano ad accompagnarli in una fase così delicata della crescita.
Per quanto riguarda invece il lavoro svolto nelle varie classi, le tematiche approfondite nel corso dei tre anni della ricerca/formazione sono state le seguenti:
– I anno: la memoria e l’introspezione
– II anno: il lavoro della mente
– III anno: la progettualità.
Come si può notare si è passati a poco a poco dalla riflessione sul passato al pensiero sul futuro, cercando così di aiutare i preadolescenti nella ricerca della loro identità e in quella scelta sul proprio avvenire scolastico o professionale che il termine della scuola media impone. All’inizio del percorso formativo gli studenti hanno cominciato a parlare di sé, a “guardarsi dentro” e a ripensare al loro passato attraverso dei temi di autopresentazione e attraverso la scrittura di diari personali. In tal modo sono stati introdotti nella scuola il valore dei ricordo e la dimensione del dialogo con se stessi: In seguito, attraverso strumenti di ricognizione biografica individuali e di gruppo, i ragazzi hanno sperimentato che cosa significhi mobilitare varie modalità di pensiero (introspettivo, retrospettivo, critico, simbolico … ) raccontando la propria vita a se stessi e agli altri. Inoltre sono stati condotti a riflettere sul lavoro della propria mente in termini esplicativi e metaforici, sviluppando in tal modo il pensiero metacognitivo e acquisendo maggiore consapevolezza rispetto alle potenzialità della propria intelligenza.
Infine, nel proposito di stimolare negli allievi la progettualità di sé ed aiutarli a riconoscere nella vita scolastica e in quella professionale nuove possibilità e pensabilità, si è proseguito il lavoro sulla propria storia cognitiva ed è stata realizzata un’attività di orientamento inscrivibile all’interno del lavoro sulla mente. Infatti, sono stati invitati a scuola, a parlare della loro esperienza, alcuni adulti rappresentativi di tipologie di lavoro riconducibili a varie dimensioni della mentela dimensione creativa (musicista), quella relazionale (assistente sociale), quella pratico-manuale (floricoltore), quella logico-scientifica (ingegnere), etc.
In tale progetto gli insegnanti sono stati coinvolti in veste di collaboratori, nel mettere a fuoco obiettivi e strumenti di rilevazione, e in quella di ricercatori-biografi, nel proporre agli studenti alcune tecniche biografiche e nel riflettere sul materiale raccolto. Inoltre ad alcuni insegnanti è stata rivolta un’intervista che andava ad esplorare la loro storia di vita scolastica e professionale, con l’obiettivo di promuovere autoconsapevolezza negli stessi intervistati. Il tipo di colloquio biografico utilizzato con studenti ed insegnanti è stato quello dell’intervista semi-strutturata, la quale si basa su una traccia che intende analizzare alcune tematiche, ma che non si propone di seguire necessariamente un ordine prestabilito di domande; chi conduce l’intervista, infatti, dovrebbe seguire ed aiutare il suo interlocutore nel suo viaggio nella memoria in modo che sia lo stesso intervistato a tracciare la strada…, solo così il colloquio biografico può rivelarsi davvero autoformativo. La traccia dell’intervista proposta agli insegnanti della scuola media di Suzzara si proponeva di analizzare diversi argomenti: le rappresentazioni sociali e soggettive della figura dell’insegnante, l’identità di genere nella relazione educativa, la biografia professionale e scolastica, l’immagine autopercepita e quella desiderata di sé in quanto insegnante, l’apprendimento da se stessi e dai propri alunni, e da ultimo l’apprendimento metacognitivo e le emozioni provate rispetto all’intervista stessa. Gli insegnanti ai quali è stata rivolta tale intervista alla fine hanno espresso grande soddisfazione; per molti di loro riflettere in questi termini su di sé è stata un’occasione preziosa per rivedere la propria vita e per riprogettare anche la propria attività didattica. Ricorrendo ad una metafora, si potrebbe concludere che attraverso il metodo autobiografico insegnanti e studenti possono sviluppare la capacità visiva di Giano bifronte, quel personaggio mitologico che era in grado di vedere contemporaneamente dietro di sé (il passato) e davanti a sé (il futuro), e che sapeva guardare tanto dentro le case (il mondo interno) quanto fuori dalle case (il mondo esterno).