Conquiste

Una storia da raccontare: La donna marinaI.

Quando insegnavo, in previsione della storia della Conquista, tutte le mie allieve dovevano leggere il bellissimo libro di Angelo Morino, La donna marina. Appena tornate a scuola, dopo l’estate, tra le chiacchiere del cosa vi è capitato e se vi siete divertite oppure no, infilavo qualche domanda sul testo e sul suo significato. E mettevo il primo voto.

La storia è di margine rispetto ai temi della Conquista americana, però ricca di implicazioni: quando Cortés inizia l’avventura in Messico, Marina gli viene consegnata in dono dai cacicchi e diventa la sua interprete, la sua amante, tradisce il suo popolo, dà un figlio a Cortés e viene messa da parte quando la moglie spagnola di lui approda sul Nuovo Continente. Della sua morte, come e quando, le fonti sono vaghe.

 

E’ da notare che all’inizio della sua comparsa Marina è solo il primo anello della catena dell’interpretazione tra le genti d’America e Cortés, parla il nahuatl ma conosce il maya, la lingua dei Messicani dello Yucatan. Il secondo anello è Jerònimo de Aguilar, un castigliano naufragato sulla costa otto anni prima e vissuto in schiavitù fino allo sbarco di Cortés; così, Marina traduce dal nahuatl al maya e Aguilar dal maya allo spagnolo. L’interprete Marina da principio, dunque, rimane radicata nella propria terra: traduce all’interno del suo mondo e ancora non tradisce. Poi il secondo anello, Aguilar, scompare dai documenti, e l’interpretare sarà diretto: da Cortés a Marina, e da Marina a Cortés. L’aderire in amore di Marina a Cortés, le consente di dominare presto la lingua del suo conquistatore, e di aderirgli fino a sacrificare la sua gente.

Tre elementi ancora del racconto. La schiava battezzata Marina (che banalità) in nahuatl ha tra i suoi nomi Malinalli che indicava un’erba secca con la quale gli indiani si trafiggevano la lingua per non poter parlare, in occasione di cerimonie di espiazione II. Così, si trascorre da Malinalli a Marina, dall’afasia e dall’impossibilità a esprimersi, al divenire parola, lengua, seppure lingua del conquistatore.
l’amore di Marina, poi, è funzionale alla Conquista perché rinforza la fama di divinità di Cortés e dei suoi. Infine, nel racconto di Bernal Dìaz, che Morino riporta, gli abitanti Cholula, su ordine di Montezuma, hanno organizzato una rivolta che potrebbe fermare l’avanzata degli spagnoli verso Messico. Il tradimento di Marina è lucido ed esperto, si consuma nel tempo e con la ragione del calcolo: una vecchia indiana l’avvisa del pericolo che corrono gli assedianti e le offre, per salvarla, di seguirla a casa sua. Con le parole e l’inganno, Marina trattiene la vecchia e avvisa Cortés che ordina un massacro. Lei è a cavallo a suo fianco III.

 

Quali conquiste, ovvero cosa farsene del racconto.

 

Nella storia della Conquista, che presenta alcuni aspetti inesplicabili e dunque impossibili da raccontare, l’esperienza degli spagnoli, e in particolare di Cortés, nell’interpretare i segni e nel confondere i codici, è ben notaIV. La storia di Marina è emblematica dell’arrendersi alla brutalità e alla scaltrezza. Ma è anche una storia del femminile: del passaggio dall’inesistenza (l’afasia) all’esistenza, grazie all’amore; della vocazione al mediare, e al tradurre (al mettersi in mezzo, o allo stare nel mezzo senza sapere qual è la propria parte); e infine del tradire il bisogno di sé e la propria identità per realizzarsi nell’altro.

Detto tra parentesi, le allieve alle quali facevo leggere il libro frequentavano un liceo linguistico, sognavano di fare le hostess sugli aerei o le interpreti. Alla domanda se non preferissero pensare piuttosto che tradurre i pensieri altrui, rimanevano per lo più indifferenti. Sorvolavano e sognavano di spiccare il volo, senza avere chiaro il verso dove. Sotto l’ovvietà del girare il mondo, essere belle e vedere gente, c’era la valorizzazione dello stare a mezz’aria: il flip flap del forse mi trovo qui, forse sono altrove, dovunque mi cercassi non ci sono. Il libro che avevo proposto non le faceva pensare a niente. Era la fine degli anni Ottanta, inizio Novanta.

Per me era diverso, perché contro la storia di Marina ho combattuto dagli anni Settanta. Ma per dire la verità, sono scesa in guerra senza conoscere il perché e ho contestato lo stereotipo del femminile senza averlo provato, assaporato, rifiutato su di me. Solo perché si doveva fare (alle unghie dipinte di rosso non sono ancora arrivata). Però, ed è questo il punto, col tempo qualcosa, io credo, abbiamo imparato; non allora, ma col tempo. Banalmente, a comprendere. Riconoscere i propri bisogni anche quando non sono soddisfatti. E sapere il motivo per cui alcuni devono essere soddisfatti, e di altri basta che rimangano. Fino al loro esaurirsi, o che venga l’occasione. Sappiamo anche che la vita dei maschi non è più semplice della nostra: hanno attraversato, come noi anche se con un ruolo più attivo, la storia. Ci hanno incontrato, e qualche questione, nel loro modo, se la sono posta; e vivono insieme a noi un tempo non bello, in cui anche loro sono confusi nel ruolo, spaventati del futuro e incerti di sé. Infatti, e peraltro, va sottolineato, per tornare al racconto, che la vicenda della Conquista porta disordine comunque: nei conquistati, in Marina e nei Conquistatori. Qui, da ricordare, è la storia di Lope de Aguirre che, nell’impossibile ricerca di El Dorado finisce folle.

A nostra volta, noi donne, lavoriamo in posizione di responsabilità, recitiamo ruoli maschili. Forse potremmo non farlo, però capita che lo facciamo. Piuttosto che cercare l’unità, e l’identità nella differenza, e piuttosto che parlare della complessità del nostro tempo, alla quale è perfino ovvio rimandare, scelgo la strada della pluralità dei mondi. Ora sono questo, ora quell’altro, ora quell’altro ancora può servire anche ai maschi. Siamo molte persone e facciamo molte cose: vediamo di godercele tutte o di patirle con coraggio. Si tratta di reggere i mondi paralleli della nostra vita e d’imparare a saltare da una parte all’altra, naturalmente è un ottativo.

 

Un flash per terminare.

 

Giandomenico Tiepolo, il figlio di Giambattista, affresca la villa di Zobenigo, ereditata dal padre, con i famosi Pulcinella e una serie di grottesche che citano i classici. Poi affronta altri temi e tra questi il Mondo novo, un affresco che mi sembra strepitoso. Uomini e donne, di spalle, sembrano affollarsi su una spiaggia per vedere e ammirare un grande e azzurro mare che occupa la metà dell’affresco. Ma poi, mettendo a fuoco, non è così: quel popolo, uomini e donne, pure di fronte al mare, guarda da un?altra parte. Sulla sinistra dell’affresco una capanna attira l’attenzione e le donne di tutte le classi, popolane e nobili, sono in attesa di guardarci dentro. Che siano illusioni, come un caledoscopio, oppure che si guardi in uno strumento per conoscere meglio la realtà più prossima (quella delle città italiane felici e fiduciose nel futuro, siamo nel Settecento) non ha importanza. Nell’affresco di G. Tiepolo del Mondo novo, ovvero del nuovo mondo, ovvero della Conquista, a nessuno, seppure di fronte al mare, importa molto. Si tratta di guardare vicino, uomini e donne, di non disprezzare la terra sulla quale ci teniamo in piedi e insieme costruirci da noi il modo di vedere dove siamo. Intanto senza rinunciare alla fantasia.

 

 

 

 

*Responsabile Servizio Programmazione

e Controllo Attività Formative

 

del Comune di Milano

 

I: A. Morino, La donna marina, Sellerio, Palermo 1984 (2° ed. riveduta e ampliata 1992). Morino ricostruisce la storia di Marina a partire dalle poche pagine che la raccontano, di Bernal Dìaz innanzitutto e di altri cronisti.

II: Cf. ivi, pp. 20 ss.

 

III: Cf. ivi, pp. 37 ss.

 

IV: Cf. T. Todorov, La conquista dell’America, Einaudi, Torino 1984. Sul tema dell’interpretazione dei segni e della relazione con l’Altro il lavoro di Todorov mi sembra un contributo definitivo.