Coordinare e governare le nuove progettualità
(Sintesi dei lavori del convegno 12-13 marzo ’98)
Il confronto sulla legge 285 ha avviato positivamente un dibattito sulla globalità del bambino, dell?infanzia e dell’adolescenza. Si tratta di un’ennesima legge per i servizi sociali, oppure è una legge innovativa con un respiro più ampio?
Esaminando i primi articoli una risposta non appare così netta e chiara. L’articolo 1 della legge dice che si istituisce il fondo, poi delinea quali sono gli obbiettivi della legge: favorire la promozione dei diritti, della qualità della vita, la realizzazione individuale, privilegiando l’ambiente ad esso più confacente, che sia la famiglia naturale, adottiva o affidataria.
Due, dunque gli elementi da tenere in mente quando si vanno ad elaborare i progetti. Al centro di tutto, la promozione dei diritti dell’infanzia, sviluppata e curata nell’ambiente più confacente, cioè quello familiare.
Partendo da questa prima affermazione, parrebbe trattarsi di una legge svincolata dal contesto più ristretto dei servizi sociali. Ma al comma 2 dell’articolo 1, dove si arriva alla parte più tecnica, viene detto che il fondo finanziato dalla legge, viene ripartito per un 70% alle regioni e il 30% a quindici città assegnatarie.
Nei criteri di ripartizione si indica che il 50% del fondo è calcolato sulla base della popolazione minorile in base ai dati Istat del 1991, e un altro 50% in base a criteri, che sono: la carenza di strutture per la prima infanzia, il numero dei minori presenti negli istituti e nelle comunità, la percentuale della dispersione scolastica, la percentuale delle famiglie con minori che vivono sotto la soglia di povertà, l’incidenza percentuale dei minori coinvolti in attività criminose. A questo punto, un’osservazione è spontanea: le categorie a rischio non rappresentano il 50% della popolazione minorile. Se la legge è rivolta a favorire la promozione dei diritti e lo sviluppo psico-sociale, affettivo dei minori attraverso un adeguato percorso di autonomia, perché dare così tanto peso a criteri che, tutto sommato, si fermano all’ambito del sociale?
l’art. 3 della legge definisce le finalità dei progetti ammessi al finanziamento, ribadendo il sostegno alla genitorialità, la lotta alla povertà, le misure alternative al ricovero, l’innovazione e la sperimentazione dei servizi per la prima infanzia. I servizi ipotizzati non sono da intendere esclusivamente per le fasce più bisognose, ma come azioni per il miglioramento della vita, soprattutto nelle città, per la valorizzazione delle differenze etniche e culturali.
Negli articoli 5, 6, 7 si prefigurano poi interventi per la generalità dei minori nella logica del riconoscimento dei diritti e della promozione del loro benessere.
La doppia valenza del testo di legge ha fatto sì che in questa fase ancora organizzativa dell’applicazione della legge stessa le varie realtà locali ne abbiano dato un po? per scontata l’attivazione esclusivamente in rapporto ai settori dei servizi sociali.
Altrove, invece, è stata interpretata in termini estremamente più estensivi la portata politica di questa normativa, creando assessorati specifici per la promozione e per l’attuazione della legge. Una situazione duplice e rischiosa, in quanto connota già nella fase di predisposizione dei progetti il contenuto dei progetti stessi, finendo per escludere settori diversi da quello sociale e contravvenendo allo spirito della legge stessa.
Il comma 2 dell’articolo 2 contiene gli aspetti tecnici amministrativi più importanti, definendo lo strumento dell’accordo di programma, che tra l’altro è previsto dalla legge 142 di riforma della autonomie locali, ed è uno strumento preciso che consente agli enti pubblici di coordinarsi tra loro, per il raggiungimento di fini specifici. E’ importante che il soggetto promotore dell’accordo di programma sia anche attore all’interno dell’accordo stesso.
La 285 individua nel sindaco l’ufficiale di governo – nominalmente destinatario dei fondi-, al quale spetta di far partire l’accordo di programma. E’ inoltre prevista una commissione di vigilanza, con il compito di sostituire e sanzionare l’ente che si è sottratto al proprio compito.
Ma se molte sono le garanzie tutelate dall’accordo di programma, il rischio può venire dalle complicate fasi di passaggio.
Aspetto centrale della 285 sono i piani territoriali di intervento, strumenti ai quali spetta di coordinare tutte le iniziative esistenti e i progetti per un territorio, integrando e completando organicamente le prime con i secondi.
Ma i piani di intervento, a prescindere dall’ottenimento dei fondi della 285 possono servire a tutti gli enti locali per fare il punto della situazione, organizzando e individuando autonomamente (grazie all’organizzazione) le proprie risorse.
l’articolo 12 della 285 , richiamando la legge 216, fa capire come queste due leggi vanno intese in termini complementari, la prima strutturata per interventi a livello locale, che lasciano piena autonomia all’ente, la seconda con un carattere più nazionale, riferita a fenomeni più specifici e, allo stesso tempo, generalizzati.
La 285 sicuramente rafforza la posizione del comune, e la necessità del suo impegno nell’ambito dell’infanzia, che invita a lavorare “in rete”, non solo tra enti, tra enti e privato, ma anche all’interno dello stesso ente, individuandone la precisa volontà politica.
In conclusione, direi che la 285 non tanto invita a varare nuove progettualità, quanto a governare ciò che all’interno di un territorio succede, coordinando gli sforzi e le risorse, dando un senso comune all’agire.
*Dirigente dei Servizi sociali del Comune di Milano