Da Inverigo ad Agrigento, passando per la memoria!
Ha avuto positivi riscontri il convegno che il 22 di Gennaio, la Coop Stripes, con l’Assessorato alla Cultura del comune di Inverigo (Co) e Pedagogika.it, hanno organizzato in tema di memoria e scrittura autobiografica. E’ troppo presto per pubblicare degli atti e non so se lo faremo: ci sembra che il miglior esito di quella giornata consista nell’espressione di condivisione che numerosi partecipanti hanno voluto farci pervenire in risposta all’ipotesi di creare, ad Inverigo, un laboratorio della memoria, così come hanno sapientemente spiegato e commentato Duccio Demetrio, Carmine Lazzarini, Antonella Bolzoni. Ci piacerà, quindi, tenere informati i nostri lettori di quanto si andrà cercando e costruendo ad Inverigo ed in altre realtà lombarde che sullo stesso tema cominciano a muoversi. La prossima iniziativa, in primavera, avrà luogo a San Giuliano Milanese. A me, quella giornata, ha mosso dentro qualcosa e, di seguito, provo a condividerla con chi ci legge.
Avevo sette anni, facevo la terza, passavo in famiglia per un bimbo sveglio; così sveglio che la mia nonna materna, poco pratica di scrittura, carte di ricovero e permessi, soleva portarmi dietro – per compagnia, diceva – quando su un pullman della ditta Camilleri ed Argento si recava ad Agrigento – a Girgenti, precisava lei – a trovare il figlio, mio zio. Quaranta chilometri di stradacce piene di buche e polvere per arrivare dal nostro paesino dell’entroterra fino al mare – giuro, si vedeva benissimo dalla collina del Manicomio. Io, almeno, me la ricordo come una collina; certo, c’erano un sacco di scale, soprattutto quando lo zio, a seconda dello stato di agitazione, era ricoverato nelle diverse sezioni: la peggiore, quella degli agitati, era la quarta, la più alta di tutte. Scale su scale per chiedere, ad ogni sezione, se ci fosse, quella volta, ricoverato suo figlio: chiedeva con voce speranzosa e ad ogni risposta negativa si lasciava sfuggire uno o più sospiri lunghissimi, mi prendeva per una mano – nell’altra aveva una “sporta” con povere leccornie che portava al figlio quale integrazione di una dieta che non doveva essere molto nutriente – e diceva, più a se stessa che a me: “sarà certo nella prossima”.
Spesso capitava che le scale dovessimo farle tutte perché lo zio stava all’ultima sezione, quella degli agitati: la maggior parte delle vetrate era rotta ed opportunamente rimpiazzata con cartoni, l’effetto finale era di un certo buio in tutte le stagioni e a tutte le ore. Non so se la memoria incupisce il ricordo ma quando, quasi trent’anni dopo una commissione parlamentare andò in visita ad Agrigento facendo scoppiare il relativo caso sulla stampa, non pareva che le cose fossero cambiate molto! Era normale, comunque, in quei primi anni cinquanta, che negli angoli più bui dei lunghi corridoi ci fossero mucchi di
sporco e nei mucchi, qualche volta, qualcuno di piccolo, ossuto e sporco che mi faceva soprassalire quando, lentamente o bruscamente – non c’era una regola – si muoveva verso di me! Mio zio, invece no, lui era alto e grosso, spesso era legato alle traverse del lettino di ferro scrostato e una volta – com’era forte mio zio – era riuscito ad alzarsi e camminava per il corridoio con il letto legato dietro urlando che voleva il mondo, il mondo rotondo: nessuno riusciva ad avvicinarsi, solo quella donnetta, mia nonna, mostrandogli qualcosa che aveva in mano, lo aveva indotto a fermarsi senza travolgere tutto quello che incontrava. Gli aveva avvicinato agli occhi una nespola dicendogli:
“ecco, eccoti il mondo, é tutto tuo!”. Si era fermato, si era ributtato all’indietro con tutto il letto, con gran fracasso, e finalmente calmo aveva bisibigliato “dammeli, dammeli tutti i tuoi mondi, voglio i mondi nespola”.
Cos’altro m’è rimasto di quel periodo? Un risentimento per l’incoscienza degli adulti di casa mia, nonna compresa, ed insieme una riconoscenza per avermi permesso di intravvedere, prima di leggere Dante, un pezzetto d’inferno.
Ora, in una rivista come questa, pertinente o meno, ho sentito che dovevo scriverne, per me, per lui, che ne so, per la nuova psichiatria, forse!