Editoriale

Che fare? Si sta chiudendo un altro anno.

Ancora un anno è bruciato,/ senza un lamento, senza un grido,/ levato a vincere d’improvviso il giorno”. Così una poesia di Salvatore Quasimodo.

Si chiude l’anno e ci lasciamo dietro delicate questioni ed avvenimenti di notevole portata. Al di là di quelle piu’ squisitamente economiche, che lasciamo agli esperti del settore, è la questione sociale che ci preoccupa. Le nuove (?) politiche sociali, da quelle sull’immigrazione a quelle sui tagli della spesa pubblica, sempre più restrittive nell’ambito dei servizi alla persona, si sono dimostrate così ferocemente restrittive ed umilianti, da far quasi rimpiangere le più deleterie forme di assistenzialismo del passato.

I servizi sociali stanno quasi diventando dei servizi a-sociali. Le battaglie condotte dalle donne, lavoratrici e non, si sono, a dir poco, arenate. Basta pensare alle proposte indecenti delle quote rosa; per non parlare poi degli attacchi insensati contro le leggi, frutto di tanta fatica e dolore, che ancora tutelano le donne e la loro autodeterminazione.

Anche la Devolution non promette nulla di buono. Dobbiamo rimanere inermi testimoni di fronte agli attacchi fatti alla Costituzione italiana? Né promette nulla di buono la “riforma” scolastica. I ragazzi, quelli più svantaggiati, debbono faticare perché qualcuno si occupi di loro con competenza e rispetto?

Ma ce la faremo, sì che ce la faremo! Ce la faremo, se saremo condotti e se sapremo pretendere di farci condurre, con mani dolci e sicure e con chiarezza di intenti, da chi sia capace anche di sostare nelle incertezze, sapendo ascoltare le ragioni di tutti.

Abbiamo la presunzione di pensare che voci di donna come quella di Ileana Ghione, recentemente scomparsa sulla scena, non possano essere facilmente dimenticate. Qualche istante prima di morire l’attrice stava recitando queste  parole : “Uccidere una donna è una cosa terribile!”.

Noi vogliamo intendere questa frase in senso lato, pensare soprattutto alla promozione della donna  e dell’uomo, alla rivelazione dell’altro. L’altro da noi stessi che ci abita, ma qui, soprattutto, l’altro che si aspetta qualcosa da noi, prima di tutto di essere ascoltato. Ascoltato fino in fondo. Come possiamo ascoltare le voci delle giovani donne e delle ragazzine che in questi giorni sono state stuprate? La piccola quattordicenne addirittura da “compagni” poco più grandi di lei. Il branco. Possiamo posare lo sguardo altrove? Possiamo ignorare la paura, l’imbarazzo ed il fastidio che proviamo di fronte a tanto?

Si chiede, in proposito, Lidia Ravera su L’Unità di qualche giorno fa: “Sta forse nascendo una sorta di conformismo del male? E se diventasse «trendy» aspettare la compagna di scuola carina sotto casa e, invece di andarle a comprare il gelato, saltarle addosso in quattro, farsela e buttarla via?

Se educare è condurre verso orizzonti di senso, sta a noi, malgrado tutto quello che intorno ci accade, assumere le grandi e gravi responsabilità che questo comporta. Usciamo allo scoperto, fuori dai nostri rigogliosi o miseri orticelli. Non si può tacere davanti alle agghiaccianti statistiche sulle donne uccise dai loro compagni, mariti, amanti. Usciamo dalle solite classificazioni sociologiche e giustificative e chiamiamo le cose con il loro nome: questa società sta andando a male!

Non vogliamo cercare colpevoli, perché dovremmo , prima di tutto, indagare su noi stessi e sulla fatica che facciamo ad allontanarci dalle nostre sicurezze. L’interrogarci quotidianamente sulla nostra fragilità nel vivere è condizione oramai ineluttabile.

Dunque c’è un sacco di lavoro da fare per il prossimo 2006 e Pedagogika, nel suo decimo anno di pubblicazione, cercherà di fare la sua parte. “Che sia l’amore tutto ciò che esiste/ E’ ciò che noi sappiamo dell’amore;/ E può bastare che il suo peso sia/Uguale al solco che lascia nel cuore”. Così una poesia di Emily Dickinson.

Maria Piacente