Educare alla creatività
L’apprendimento è per definizione un atto creativo. La persona che apprende destruttura, mastica la materia trasmessa dal professore, dall’esperto o dal software, la digerisce, l’assimila e la ricostruisce secondo le proprie strutture mentali. Dunque un modello didattico per essere efficace dovrebbe ricalcare questo processo di metabolizzazione e le tecniche creative sono particolarmente utili per sviluppare le abilità di imparare ad apprendere.
“Se gli uomini si dividono in due gruppi: quello della ristretta élite di persone predestinate che hanno ricevuto alla nascita in regalo il potere della creazione, e quello della massa immensa destinata alla contemplazione del genio irraggiungibile e alla semplice utilizzazione dei suoi prodotti, l’umanità avrà delle difficoltà nel progredire. Se al contrario la creatività è una funzione universale, potenzialmente presente in ogni individuo, allora la realizzazione di questa funzione diventa un problema di educazione”.
(R. Golton, C. Clero, L’activité créatrice chez l’enfant)
Henri Poincaré ci ha fornito la seguente definizione: creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili. Da questa prima definizione – secondo la quale creare consiste nel realizzare un assemblaggio originale e utile associando elementi pre-esistenti – possiamo rilevare importanti criteri di riconoscibilità della creatività, ma occorre tenere ben presente che la parola americana creativity indica tre cose: una capacità delle persone, un processo, ossia il percorso che segue qualsiasi creatore utilizzando determinate logiche, e infine un metodo, che consiste nel fare ricorso a delle tecniche e degli strumenti per la risoluzione dei problemi (Problem solving).
La capacità
Lo psicologo Torrance ha definito 4 criteri che definiscono il profilo creativo:
1. La fluidità che si misura in base al numero di risposte che una persona è capace di dare.
2. La flessibilità che misura l’elasticità mentale, ossia il numero di categorie nelle quali è possibile classificare le idee prodotte.
3. L’originalità che è il fattore più relativo in quanto dipende dal contesto nel quale l’idea è prodotta.
4. L’elaborazione valuta il grado di precisione, la ricchezza dei dettagli, secondo il quale le idee sono descritte.
La nostra opinione su questi test è che servono più che a definire un profilo strutturale di personalità a dare indicazioni utili su cosa dobbiamo fare per ottenere dei miglioramenti, a breve e a lungo termine.
John Paul Guilford ha tentato di costruire un modello tridimensionale dell’intelligenza… Una delle dimensioni di questo modello raggruppa le operazioni della cognizione, della memoria, del giudizio, della convergenza e della divergenza. La convergenza può schematicamente essere riportata a quello che di solito si definisce intelligenza e che si misura con il Q.I., mentre la divergenza è quella forma di pensiero che va oltre i dati immediati dei problemi, che esplora in grandissima parte il campo delle possibilità e non è affatto a disagio nello stabilire tra i concetti dei collegamenti spesso impertinenti. Certamente l’intelligenza convergente ci fornisce delle soluzioni già praticate, evitando di re-inventarle ogni volta che ci servono. Di fronte a sfide alle quali non siamo ancora preparati abbiamo la scelta tra due possibilità: la prima consiste nel cercare di applicare soluzioni già conosciute – e purtroppo spesso risultano non adatte al problema da risolvere -, la seconda consiste nell’inventare soluzioni e convalidarle per verificare quella che corrisponde meglio al problema.
Ed è questo secondo atteggiamento che esprime una certa capacità creativa, ossia la capacità di inventare oggetti o soluzioni allo stesso tempo nuovi ed efficaci.
La creatività nasce dalla dialettica Divergenza/Convergenza realizzando così quello che Silvano Arieti ha chiamato la “sintesi magica”. E durante la fase divergente l’utilizzo delle tecniche di creatività resta relativamente sterile se non si rispettano le seguenti regole della “ruota libera” ispirate al famoso brain storming, “la madre di tutte le tecniche”:
– Censura abolita: qualsiasi forma di valutazione è sospesa, sia positiva che negativa. La critica delle idee deve essere proposta nella fase successiva.
– Quantità prima di tutto!: più il numero delle idee è elevato, più aumenta la possibilità di trovarne alcune interessanti. Fare fluire il fiume del pensiero, aprire le porte del pensiero non può che produrre due effetti positivi: statistico (ci sono più possibilità di avere un’idea interessante se se ne producono cento anziché dieci) e psicologico (le idee che arrivano per prime sono generalmente le più banali; è raschiando il fondo del barile che si troveranno le idee più originali).
– Stravaganza benvenuta!: immaginare delle idee straordinarie, stupefacenti (non è cosi semplice come sembra). Più l’idea è originale, più è facile trasformarla in una realizzabile.
– Moltiplicazione sistematica!: da un’idea ne nasce un’altra, le combinazioni fra le idee sono utili. Questa regola si applica a se stessi se si è da soli, ma è ancora più feconda se si lavora in gruppo. Si raccomanda di non seguire il filo del proprio pensiero ma di essere all’ascolto delle intenzioni degli altri affinché possa essere possibile “agganciarsi” per produrre altre nuove idee. Queste bi-associazioni hanno una probabilità di essere più originali grazie alla unicità e alla diversità dei partecipanti del gruppo di lavoro.
Il processo
Contrariamente a quanti comunemente credono che essere creativi significhi abdicare alla logica per lasciarsi andare in balia dell’irrazionale, l’espressione della creatività si avvale di un approccio multi-logico. Oltre alla logica classica, quella deduttiva o aristotelica o (del terzo escluso), la creatività si appoggia su quattro logiche creative o euristiche: la logica associativa, la logica analogica, la logica combinatoria e la logica onirica.
Il metodo
A questo punto occorre differenziare la creatività e l’immaginazione introducendo il criterio di utilità. Questa valutazione dell’utilità di una nuova idea è realizzata ovviamente facendo riferimento a delle realtà oggettive, realtà che sono comprese e descritte da strutture. E’ chiaro che qualsiasi organismo sociale spende una gran parte della sua energia per mantenere lo status quo, ma, allo stesso tempo, desidera sopravvivere, e la sopravvivenza, in un universo in movimento e in perpetuo cambiamento, si ottiene a prezzo di modifiche dell’organismo stesso; ed ecco che si manifesta questa dolorosa dialettica dell’innovazione, questo ruolo drammatico dell’innovatore che è allo stesso tempo figlio della sua tribù e lo straniero incaricato di farla cambiare, di costringerla a cambiare, di farle capire che se non cambia, morirà.
Così l’innovatore sarà spesso come Mowgli, né uomo, né lupo, un piede nel presente, uno nel futuro.
Uno degli slogan più noti della creatività è: to be creative is not to think but to act creatively.
Ogni innovatore segue un percorso
chiaramente delineato ed applica inconsciamente o consciamente queste “regole del gioco”. In effetti segue il movimento dialettico del pensiero, dal disordine all’ordine ricostruito, dalla destrutturazione all’emersione di forme nuove, dal magico (meraviglioso ed impossibile), al creativo (originale e realizzabile). Il percorso parte dalla percezione non filtrata di elementi del contesto per andare fino all’azione, alla realizzazione concreta dell’idea vincente, passando per le tappe della percezione e dell’analisi, della produzione di idee e della selezione dell’idea che realizzerà la migliore sintesi tra originalità e fattibilità, per arrivare alla tappa dell’applicazione. La creatività non è l’arte di produrre idee ad ogni costo evitando di confrontarle con la realtà, ma è l’arte di saper dare un giudizio differito, l’arte di separare le due fasi essenziali del processo: la fase di apertura (fase divergente) e la fase di chiusura (fase convergente).
Durante la fase divergente la mente vagabonda liberamente, l’immaginazione è sovrana. E’ permesso divagare e anche sbagliare. L’importante è evitare ogni forma di censura, di critica e di autocritica, avere una benevolenza totale e incondizionata verso la più piccola idea, la più piccola stravaganza che ci viene in mente. La fase di focalizzazione, ossia la convergente, è condotta in modo cosciente e volontario. Questa alternanza tra pensiero divergente e convergente è detta del doppio imbuto e si applica in tutte le tappe del metodo creativo P.A.P.S.A.
Le tappe del metodo PAPSA
Percezione: la percezione ha l’obiettivo di cogliere le opportunità in situazioni apparentemente tranquille e di evidenziare i problemi prima che producano effetti negativi.
Analisi: l’analisi conduce a studiare la situazione per scoprirne la struttura profonda, per evidenziare i parametri di ricerca più efficaci. E’ il momento per esplorare tutto il campo del problema attraverso differenti percorsi, per scoprire la struttura nascosta dell’elemento in questione.
Produzione: finalmente la fase di produzione ha lo scopo di trovare soluzioni pertinenti, partendo dagli aspetti del problema individuati nella fase di analisi. L’obiettivo è di produrre rapidamente tante idee originali, bizzarre o realistiche senza alcuna censura.
Selezione: il momento della selezione consente la scelta, tra tutte le idee prodotte, di quelle che meglio rispondono agli obiettivi definiti in sede di analisi, senza penalizzare l’originalità che “disturba”. E’ opportuno valutare in base a criteri di efficacia, razionalmente, ma con una visione prospettica.
Applicazione: infine, l’applicazione, per studiare come attivare e fare applicare le idee/soluzioni scelte. E’ il momento in cui si individuano gli strumenti adeguati per evitare il rifiuto automatico dell’innovazione.
Quindi la creatività nasce da un atteggiamento di ricettività per le idee nuove, non da un atteggiamento critico e si avvale di un metodo che utilizza i vari tipi di logiche per individuare delle situazioni originali e potenzialmente efficaci. Si riorganizzano elementi già esistenti in una nuova forma, si scoprono forme in precedenza non conosciute, si introducono nuovi elementi. E innovare consiste nel trasformare queste idee in fatti, prodotti, soluzioni… di successo.
La creatività passa dalla persona alla realtà e viceversa: la persona raccoglie una sfida, è mossa da un desiderio. Per immaginare una risposta vincente l’innovatore ricorre a modalità, utilizza dei percorsi e delle tecniche generalmente in modo inconsapevole. E l’atto della creazione ha quasi sempre un doppio effetto: egoista (il piacere di avere fatto) e altruista (essere riconosciuto per avere reso un servizio a un pubblico più o meno ampio) e questa dialettica varia da una persona all’altra.
Poiché la creatività è una dote innata ed è universale, a livello potenziale, l’educazione – dai genitori agli insegnanti – può esaltare o, purtroppo troppo spesso – inibirla. Mai distruggerla in modo definitivo. Gli psicologi dell’infanzia hanno dimostrato che è verso l’età di due anni che il bambino inizia a perdere la sua facoltà di fantasticare, che fuoriesce dal suo universo narcisista per integrare, interiorizzare le strutture del mondo esterno. È il modo in cui si realizza questa integrazione che, secondo Louis Astruc, autore del notevole libro “Creatività e scienze umane” (Créativité et sciences humaines), determinerà ciò che sarà il “tipo” creativo dell’adulto.
Riprendiamo Jean Piaget: l’apprendimento è per definizione un atto creativo. La persona che apprende destruttura, mastica la materia trasmessa dal professore, dall’esperto o dal software, la digerisce, l’assimila e la ricostruisce secondo le proprie strutture mentali. Dunque un modello didattico per essere efficace dovrebbe ricalcare questo processo di metabolizzazione e le tecniche creative sono particolarmente utili per sviluppare le abilità di imparare ad apprendere.
In particolare, l’educazione ha tre funzioni essenziali:
– trasmettere delle conoscenze ai discenti,
– insegnare loro a servirsene,
– insegnare loro ad imparare.
Il ruolo fondamentale dell’educatore è quello di far crescere, che non vuol dire modellare i suoi allievi, formarli conformemente all’ideale da lui definito. Significa aiutarli a realizzare il più possibile le loro potenzialità, a spingerli a conoscersi meglio per definire il loro percorso di vita. Significa dare loro strumenti e sostegno affinché si realizzino, diventino se stessi. Il pedagogo israeliano Reuven Feuierstein ha sviluppato il suo metodo in un bellissimo volume intitolato Don’t accept me as I am.
Dagli anni ‘70, la creatività è insegnata negli Stati Uniti. La Mecca della creatività è la “Foundation for Creative Education” a Buffalo. In questa fondazione il professore Sidney Parnes, aiutato dai suoi numerosi assistenti, ha messo a punto degli svariati programmi educativi, di vari livelli e si è rivolto sia a studenti di scienze, sia a studenti di gestione e di economia. Questi programmi si basano soprattutto sulla presa di coscienza da parte degli educatori del potenziale creativo presente in ogni studente, dell’importanza del “giudizio differito” e delle numerose serie di esercizi graduati che mirano a sviluppare l’agilità mentale.
Accanto a questa tradizione pedagogica della creatività basata su un insegnamento molto attivo certamente, ma mantenendo la dualità insegnante-discente, dobbiamo citare i metodi attuati nel College di Dorsmouth, negli Stati Uniti. In questo college il ciclo di studi dell’ingegnere mira, oltre alla trasmissione di un corpus di conoscenze, a stimolare negli studenti l’espressione di una creatività selvaggia, che si tradurrà nella realizzazione pratica di progetti. Naturalmente dispongono di mezzi tecnici e finanziari per realizzare i loro progetti e, per ottenere le informazioni o le conoscenze tecniche di cui hanno bisogno, possono rivolgersi a vari consulenti.
In altre parole, non si insegnano agli allievi-ingegneri né delle teorie psicologiche sulla creatività e l’immaginazione, né delle tecniche che permettono di avere più idee, ma li si mette direttamente in una situazione che li motiva poiché saranno votati sulla base della validità e dell’originalità delle loro idee.
Ed è in questa creatività selvaggia che consiste il pensiero creativo.
Crediamo che sia arrivato il momento di porre le basi di un sistema educativo nuovo – indipendentemente dalle discipline – e di tracciare le basi di una pedagogia della creatività.
Regola base: non dissociare divergenza e convergenza
Rimane, dunque, da compiere uno sforzo costante per migliorare il nostro strumento logico preoccupandoci, in contemporanea, di sviluppare la divergenza. C’è dunque un dialogo continuo della divergenza con la convergenza ed ogni sforzo educativo che non mirerebbe ad abbracciare questa continuità avrebbe per risultato, ancora una volta, di mutilare la personalità.
Primo passo: decondizionare
Perché decondizionare? Perché si è constatato che nel processo di invenzione e di scoperta non era coinvolta la sola ragione del ricercatore, ma la totalità del suo essere, della sua affettività, del suo vissuto allo stesso tempo corporale e mentale.
Inoltre vediamo esseri e cose soltanto in una sola dimensione, quella che può essere utile al nostro progetto, e siamo generalmente incapaci di una battitura multidimensionale e multisensoriale. Dobbiamo dunque compiere uno sforzo importante su noi stessi per trovare l’ingenuità della nostra percezione per come lo diceva William J.J. Gordon: “osservare le cose familiari come se fossero sconosciute”. Si tratta, attraverso esercizi e giochi insoliti, di ritrovare atteggiamenti fisici e mentali che il bambino vive spontaneamente. Uno dei vantaggi di questo percorso è che ci permette di risalire nel nostro passato psicologico e demolire, nel migliore dei casi, alcuni blocchi psicologici che ostruiscono la libera espressione della nostra immaginazione. Questo riferimento al mondo dell’infanzia è molto importante, poiché esalta l’aspetto ludico della creazione: creare è un gioco, si crea veramente soltanto giocando, occorre non dimenticare che il gioco è qualcosa di molto serio (v. i lavori di Winnicott e di Caillois).
Un altro aspetto molto importante di questo decondizionamento psicosensoriale è legato al carattere non verbale e collettivo degli esercizi: se la lingua è un veicolo indispensabile del pensiero, può spesso apparire come una diga alla comunicazione piuttosto che come un vero mezzo di comunicazione. Infatti, ognuno di noi ha sviluppato una grande abilità a ripararsi dietro le parole, mettere tra sé e gli altri una costruzione verbale più o meno elegante che permette di conservare la distanza che crediamo imposta dalle regole del Saper Vivere.
La pratica non verbale costringe le persone ad inventare mezzi di espressione inauditi e, pertanto, aiuta tutti ad aprirsi completamente. Si arriva in questo modo a delle vere scorciatoie emozionali che rafforzano la coesione del gruppo di ricerca.
Apprendere a combinare.
L’uomo non crea nulla ex-nihilo: ha il potere di raggruppare in combinazioni originali, ed a volte pertinenti, gli elementi preesistenti. Più andrà a cercare questi elementi in campi distanti, più modulerà assemblaggi diversi e numerosi, e avrà più possibilità di ottenere qualcosa – allo stesso tempo nuovo e realizzabile – che porterà all’innovazione o, più modestamente, ad una soluzione originale. È’ dunque auspicabile e abbastanza facilmente realizzabile stimolare la capacità di dissociazione e l’attitudine a combinare.
Riapprendere a fantasticare
Tutti i bambini hanno un’attitudine enorme a fantasticare e ben pochi adulti la conservano. Ma, la pratica delle infra-logiche non può accontentarsi di mettere in atto i meccanismi coscienti che sono utilizzati nel processo di ragionamenti logici formali. Le tecniche da praticare sarebbero quelle dell’identificazione al problema (tecnica dell’analogia personale) del sogno ad occhi aperti (Rêve Eveillé Dirigé), e, infine, l’analogia fantastica da praticare da soli o in gruppo.
Filosofia delle scienze
I ricercatori sono i primi interessati alla storia e alla filosofia dei movimenti di pensiero che hanno condotto alle invenzioni tecnologiche, sociali e politiche e che hanno fatto del nostro mondo quello che è. Ma, più generalmente, tutti coloro che hanno o avranno per funzione quella di comprendere ed agire, possono trarre un grande profitto, per via deduttiva o analogica, dallo studio della filosofia delle scienze che potrà essere insegnata utilizzando le vie più classiche.
Concentrazione, serendipità, attenzione fluttuante
Il ruolo della concentrazione in alcune fasi della ricerca è stato riconosciuto da tutti: molti inventori hanno utilizzato mezzi particolari per facilitare questa concentrazione necessaria; oggi, è possibile fare praticare esercizi, principalmente tratti dallo yoga.
Serendipidità è una parola forgiata sul principato di Serendip, antico nome del Sri Lanka dove i tre fratelli regnanti avevano la caratteristica di rispondere non direttamente alla domanda, e ciascuna delle loro risposte era una soluzione valida per un altro problema che era stato posto.
Inoltre l’attenzione fluttuante è uno stato mentale che abbiamo spesso spontaneamente, ma che possiamo apprendere a sviluppare per captare attraverso le nostre letture, le nostre riunioni, le nostre osservazioni, diversi elementi materiali o concettuali che contribuiranno alla soluzione del nostro problema.
La cultura generale
Se inventare, è soprattutto combinare tra di loro elementi diversi, più l’individuo conoscerà più cose ed in settori di interesse diversi, più avrà la possibilità di operare delle invenzioni originali. Certamente, il gruppo pluri-disciplinare è una forma di risposta all’impossibilità assoluta di essere un Pico della Mirandola. Tuttavia l’idea di cultura generale, con contenuti e allo stesso tempo matrici di conoscenze, e di flessibilità mentale mi sembra debba essere difesa con tutti i mezzi.
Apprendere a lavorare in gruppo
Se, ai nostri occhi, l’atto di creazione è fondamentalmente individuale, si può essere aiutati in modo straordinario da diverse fasi di lavoro in gruppo. Ma è ben noto che, in modo generale, i latini non sanno lavorare bene in gruppo. Senza cercare le spiegazioni di questo stato di fatto, si potrebbe compiere uno sforzo per l’addestramento al lavoro in gruppo. Ovviamente questo sforzo suppone che ci si debba preoccupare anche della comunicazione emozionale.
Accendere la passione
Occorre infine, e soprattutto, suscitare il desiderio di creare. Abbiamo già citato più le esperienze del collegio di Dorsmouth: ci sembrano molto importanti, poiché non serve a nulla far apprendere alle persone di avere delle idee se non hanno voglia di averle. Quindi, sia a livello scolastico sia a livello universitario, è urgente modificare la forma di controllo degli alunni e degli studenti, e introdurre nuovi tipi di prova di esami, perché sia riconosciuto ed incoraggiato il diritto di produrre delle idee originali.
Un’idea sottende tutto il nostro discorso, ed è un’ idea che occorre esprimere chiaramente: il cambiamento è progresso. Il cambiamento è progresso perché, come lo ha dimostrato il filosofo Emmanuel Mounier, fondatore del Personalismo, una volta per tutte viviamo in uno stato “di disordine stabilito” tutto quello che può contribuire all’evoluzione di questo disordine verso un ordine più giusto, non può che farsi attraverso un cambiamento, un cambiamento che non può essere soltanto economico o politico, un cambiamento che deve anche essere morale. Ed è certamente uno dei ruoli più esaltanti della creatività quello di riconciliare l’uomo con se stesso, permettendogli di trovarsi nella sua totalità psichica e somatica, di riconciliare l’uomo con il mondo e con la sua realtà rivelandogli e confermandogli l’esistenza del suo potere di trasformazione che conferma la sua specificità e la sua superiorità su tutte le macchine che si potranno inventare.
La creatività implica dialogo, democrazia, ascesi e gioia nello stesso tempo, ed è forse il mezzo per l’uomo di inventarsi inventando il mondo. In breve, la creatività riguarda tutti:
– gli esperti, uomini di azione che, in un mondo in movimento, hanno bisogno di inventare le soluzioni più economiche e più eleganti per risolvere i problemi e le nuove sfide che si pongono;
– i ricercatori il cui ruolo è di aiutarci a capire e di proporre degli schemi di interpretazione e anche dei modelli di azione;
– gli insegnanti la cui funzione è di aiutarci ad apprendere, a comprendere e a trasformarci.
È di grande speranza il constatare che il fossato che per molto tempo è esistito tra queste tre funzioni si colma, almeno per un certo numero di persone che sono allo stesso tempo esperti, ricercatori e insegnanti. È senza alcun dubbio questa nuova generazione multi-funzionale che ci aiuterà a diventare dei veri e propri «gestori del cambiamento».
* uno dei massimi esperti nel campo della creatività applicata e della gestione dell’innovazione. Dopo un percorso che l’ha portato dalla ricerca scientifica al marketing dei nuovi prodotti, nel 1973 ha creato l’istituto Gimca. I suoi interventi riguardano il marketing, la comunicazione, la leadership, la gestione del cambiamento, lo sviluppo personale e professionale.
**di formazione umanistica, collabora con Gimca da vari anni, coordinando progetti di innovazione e tenendo sessioni di creatività applicata e seminari per aziende e istituzioni. Si occupa, dell’associazione Createca e dell’organizzazione del Festival della Creatività.