Erikson: psicoanalisi ed antropologia

Il presente articolo si sofferma su alcuni aspetti della teoria psicoanalitica di Erik Erikson, i quali si pongono in correlazione con gli aspetti antropologico-culturali che lo stesso psicologo elabora.

Lo psicanalista Erik Erikson descrive la sua teoria sugli stadi di sviluppo dell’individuo nella sua opera Infanzia e società (1950).

Fin dalle prime pagine è evidente l’influenza della teoria psicanalitica di Sigmund Freud: buona parte della terminologia e alcuni concetti base sono direttamente mutuati dal “padre” della psicanalisi. Bisogna infatti ricordare che Erikson si è formato alla scuola di Anna Freud, la figlia di Sigmund.

Appare comunque evidente che, rispetto a Freud, l’interesse di Erikson è più orientato alla psicologia, alla sociologia e ai rapporti tra individuo e società e di conseguenza la valenza clinica delle sue osservazioni possiede meno spessore.

In’altra differenza sostanziale tra Erikson e Freud è che il primo intende la crescita come un processo continuo di sviluppo che abbraccia tutto l’arco della vita, mentre, per il secondo, le esperienze infantili hanno un ruolo maggiore rispetto a quelle dell’età adulta. Non a caso, mentre Freud parla, nella sua indagine, di fasi psicosessuali dell’individuo, Erikson denomina la sua teoria in termini di “sviluppo psicosociale” e preferisce la parola “stadio” a “fase”.

Per Erikson, lo sviluppo dell’individuo prende la forma di una successione di stadi, ciascuno caratterizzato da un particolare dilemma che l’individuo è chiamato a risolvere. L’impiego del termine “stadio” suggerisce che, secondo l’autore, l’attraversamento di ciascuno di essi è inevitabile, ma il risultato del passaggio può essere positivo o negativo e contribuirà a costruire l’identità finale della persona.

Il primo stadio che Erikson mette in evidenza è caratterizzato dal dilemma tra fiducia e sfiducia e si colloca durante il primo anno di vita del bambino. Le emozioni in gioco in questo stadio sono quelle dovute alle frustrazioni infantili, come per esempio la dentizione e la paura dell’abbandono da parte della madre. Alla fine di questo stadio, il bambino sviluppa il senso della fiducia nella madre e, nel contempo in se stesso. In caso contrario egli cadrà nella sfiducia.
Il secondo stadio si situa verso i 2-3 anni di età ed è caratterizzato dal dilemma autonomia/vergogna e dubbio. Il bambino, avendo guadagnato la stazione eretta e il controllo degli sfinteri consegue una nova autonomia che però lo espone al rischio del fallimento con la conseguenza della vergogna o del dubbio.
Il dilemma relativo al terzo stadio (4-5 anni) riguarda lo spirito d’iniziativa o il senso di colpa. E’ lo stadio della genialità infantile in cui si sviluppa il Super Io dell’individuo al tramontare della fase edipica. Questa istanza della personalità mette il bambino, per la prima volta, di fronte alla moralità a lui interna, con il rischio di eventuali sensi di colpa.
Durante il periodo di latenza (6-12 anni), al venir meno delle pulsioni sessuali, il bambino tende a conquistare la stima degli altri mediante il lavoro produttivo della scuola. Il rischio relativo a questo stadio è costituito da un eventuale senso di inadeguatezza al compito da svolgere. Il dilemma è dunque quello tra industriosità e inferiorità.
Con l’emergere della pubertà e nel corso dell’adolescenza (13-18 anni) il ragazzo scopre la propria identità sessuale e questa rivoluzione mette in dubbio l’intera personalità conquistata negli stadi precedenti. In questo stadio assume primaria importanza il rapporto con il gruppo dei coetanei e l’adesione a ideologie e mode. Il pericolo insito in questo stadio è costituito dalla confusione dei ruoli o dispersione. Se lo stadio viene superato con successo, il giovane vedrà rafforzata la sua identità.
Il sesto stadio (19-25 anni) è quello del “giovane adulto”, il quale è finalmente in grado di instaurare un rapporto intimo con il partner al di là dell’amore adolescenziale. Questo stadio è caratterizzato dal dilemma tra intimità e isolamento. Quest’ultimo nasce dal fatto che l’individuo immaturo ha paura di creare un rapporto duraturo con un’altra persona.
Il settimo stadio (26-40 anni) si caratterizza per il dilemma tra generatività e stagnazione. L’individuo ha raggiunto ora un grado di maturità sufficiente per avere figli ed educarli, conseguendo nello stesso tempo un arricchimento della propria personalità. Se la fase genitoriale viene a mancare, subentra una fase di stagnazione e impoverimento dell’individuo.
L’ultimo stadio (dopo i 40 anni) costituisce una sorta di bilancio finale dell’esistenza. L’individuo che è riuscito ad attraversare gli stadi precedenti superando con successo i corrispondenti dilemmi, ha conseguito l’integrità del proprio essere, realizzandosi pienamente nell’amore e nel lavoro. In questo consiste l’ideale modello di crescita dell’individuo che viene prospettato da Erikson (così come Freud). L’individuo integro sa di aver condotto una vita soddisfacente e piena; non ha paura della morte, che è invece fonte di disperazione per l’individuo non integro.

In definitiva, l’interesse di Erikson appare principalmente orientato verso la teoria, piuttosto che verso gli aspetti della pratica pedagogica; soltanto raramente l’autore si rivolge a genitori, educatori o insegnanti per fornire consigli riguardo all’educazione e alla crescita dell’individuo. Si possono tuttavia enucleare dal testo alcuni principi fondamentali per l’educazione della persona, secondo l’approccio di Erikson. Essi sono brevemente riassunti qui di seguito:

il genitore (e specialmente la madre) deve soprattutto garantire la fiducia e il senso di sicurezza del bambino, al punto che il primo stadio dello sviluppo ha, come obiettivo, proprio la “fiducia di base” e, in quelli successivi, la fiducia svolge comunque un ruolo fondamentale.
Nel secondo stadio, è importante che il genitore eviti di sottolineare gli eventuali fallimenti del bambino per non alimentare in lui il sentimento della vergogna.
Nel terzo stadio, il genitore è chiamato a porsi di fonte al bambino come un esempio da seguire in modo da facilitare l’identificazione del bambino con il genitore dello stesso sesso.
Durante gli stadi successivi il ruolo di genitori ed educatori sembra diminuire sostanzialmente, al punto che, a partire dall’adolescenza, l’educazione dell’individuo appare sostanzialmente un processo di auto-formazione: è il ragazzo a scegliersi gli amici e il giovane adulto a legarsi sentimentalmente al partner creando una nuova famiglia. A differenza di Freud, questi stadi successivi sono tuttavia altrettanto importanti di quelli della prima infanzia.

Erikson attribuisce grande importanza all’ambiente e alla società nelle quali si realizza l’educazione dell’individuo. Per questo motivo, dopo i primi stadi, il ruolo di chi educa il bambino appare ridimensionato rispetto all’interazione tra personalità del soggetto e società in cui vive.

A differenza di Freud, che riteneva le fasi psicosessuali da lui scoperte come universali in ogni tempo e presso ogni cultura, Erikson fa notare come la loro importanza varii a seconda delle diverse culture. Per avvalorare questa tesi, Erikson riporta gli esempi dell’educazione infantile e del sistema di valori presso due tribù indiane dell’America settentrionale, i Sioux del Dakota e gli Yurok della California. Egli stesso ha condotto personalmente queste indagini recandosi presso queste due tribù.

I Sioux erano una tribù di cacciatori di bufali, ma l’arrivo dell’uomo bianco li ha privati di questa occupazione senza lasciare loro alternative costringendoli a vivere in una riserva. La perdita del loro ruolo tradizionale di cacciatori ha portato i Sioux ad una vera e propria crisi di identità che li ha trasformati in individui apatici e passivi. Questo brusco cambiamento di occupazioni e rapporti sociali non ha permesso un rapido adeguamento dell’educazione infantile, che è rimasta ancora centrata sul formare un buon cacciatore: coraggioso, generoso, intraprendente, ma non competitivo. Queste doti, inculcate attraverso l’educazione infantile che prolunga lo svezzamento per diversi anni, sono volte, infatti, a rendere il bambino un “cacciatore in erba” stimolando in lui la foga.

Al contrario gli Yurok sono un popolo di pescatori di salmoni e raccoglitori di ghiande. Per questo motivo la loro educazione tradizionale tende a renderli individualisti (amano la proprietà) e legati al loro clan familiare. Il contatto con gli uomini bianchi non è stato perciò traumatico come per i Sioux: gli Yurok già commerciavano utilizzando le conchiglie come moneta. Il loro svezzamento è molto breve e durante la freudiana fase anale, essi vengono presto educati a non fare i loro bisogni nel fiume che ne sarebbe contaminato.

Con questi esempi appare evidente come, secondo Erikson, l’educazione infantile risulti funzionale e tenga conto dei bisogni della società (a sua volta condizionata dall’ambiente in cui si trova). Per questo motivo, ad esempio, i Sioux hanno imparato a non dare peso alla proprietà individuale proprio perché la caccia ha bisogno di un lavoro collettivo e quindi di una divisione equa del bottino finale, al contrario dell’attività di pesca e raccolta degli Yurok.

Tuttavia, se è vero che l’educazione infantile è “specchio” della società in cui si vive, è anche vero, creando così una correlazione tra i due aspetti, che gli stadi dello sviluppo umano e le esigenze psicologiche dell’individuo nel suo sviluppo trovano nella società un corrispettivo istituzionale. Si pensi alla religione come “bisogno di fiducia” e alla legislazione come risposta al bisogno di ordine e di moralità. Erikson a tal proposito scrive che: “Ogni stadio ed ogni crisi successive hanno un particolare rapporto con uno degli elementi fondamentali della società per la semplice ragione che il ciclo della vita umana e le istituzioni umane si sono evolute insieme”[1].

[1] E. Erikson, Infanzia e società, Armando, Roma 1963, p. 223