Fare scienza

Se l’acquisizione di nuove conoscenze è un interesse della collettività non si può accettare un controllo affidato alle religioni o alle ideologie, che non sono rappresentative della pluralità nel senso più ampio

Parlando dalla tribuna della nostra rivista e come premessa di questo dossier sulla scienza, non si possono non considerare gli eventi di questi ultimi tempi e tacere sui tanti significati del voto al referendum sulla procreazione assistita. Questo strumento elettorale, a detta di molti ormai sgualcito, ha in verità rappresentato l’occasione per dibattere grandi temi finora patrimonio di addetti ai lavori, quali l’ambito di autonomia entro cui si deve muovere la scienza, il suo rapporto con la società civile, con l’etica, il significato valoriale dell’indagine scientifica, la paura della scienza; tutti aspetti che appaiono di particolare importanza per rilanciare da queste pagine una nuova discussione sulla scienza e per fare maturare una diversa coscienza collettiva. Tenterò di raccogliere alcune considerazioni molto generali su alcuni di questi temi che meriterebbero sicuramente una trattazione più esaustiva.

Partirei dal concetto?di libertà che la nostra costituzione riconosce alla scienza e che mi sembra quanto mai disatteso. C’è chi in questo senso interpreta oggi la prevalenza di una ricerca scientifica? per lo più finanziata dall’industria, ad esempio la ricerca in ambito farmacologico, tutta legata alle grandi industrie straniere o la ricerca in campo medico, in parte sotto tutela del Ministero della Sanità. Da questa ricerca deriverebbe una conoscenza non sempre basata sull’oggettività, sul disinteresse personale e su quelli che sono considerati gli imperativi istituzionali della ricerca scientifica. Questa ricerca, tutta basata sulla prassi, verrebbe giudicata “non libera” bensì dipendente da interessi finanziari, politici e commerciali degli enti che la finanziano. Ma sono davvero questi i problemi che abbiamo davanti nell’epoca delle “sfide globali” in cui i grandi problemi del mondo paiono evocare un più libero accesso ai risultati della ricerca, dai farmaci anti-AIDS al problema della brevettabilità del software?

Altro problema, da molti anni in discussione è su chi abbia il diritto di controllare la ricerca scientifica, ammesso che questo diritto esista. Problema che è stato sicuramente sotto gli occhi di tutti in questa campagna referendaria, dove la scienza è stata oggetto di pesante giudizio da parte della chiesa cattolica. Ragionando in modo molto elementare, dovrebbe essere facile comprendere che, se l’acquisizione di nuove conoscenze è un interesse della collettività, se la scienza opera in favore del benessere e dello sviluppo della società, non si può accettare un controllo che sia affidato alle religioni o alle ideologie, che non sono rappresentative della pluralità intesa in senso più ampio. “Si può invece prevedere che a condizionare le scelte della ricerca scientifica possa essere chiamata una generale disposizione della coscienza collettiva dell’uomo che potremmo chiamare la morale di senso comune” (C. Flamigni).

C’è qualcuno che legge nel successo di un astensionismo così inaspettato di questo referendum, non tanto una questione di ingerenza da
parte della Chiesa o assenza di libertà della scienza, quanto piuttosto il risultato della paura nei confronti della scienza e della manipolazione della vita umana.

E’ da credere che l’intervento massiccio della Chiesa in favore dell’astensione, abbia sicuramente influito sugli elettori, ma probabilmente non determinato il comportamento di un’ampia maggioranza che ha rifiutato il voto, non tanto credo per questioni di fede o di razionalità, quanto per timore di mettere a rischio la “naturalità” e “l’immutabilità della nostra specie”. Anche questo è un aspetto sicuramente interessante, su cui riflettere. Io penso che l’uomo, utilizzando le sue conoscenze e la sua capacità di leggere il mondo, sia da sempre intervenuto sulla natura per costruirsi quelle condizioni di miglior adattamento alle situazioni ambientali che lui stesso ha contribuito a definire, e ciò all’insegna del suo progredire evolutivo e storico. Ora stento a comprendere come mai gli interventi sulla procreazione umana, che pure sono finalizzati a migliorare le condizioni di vita e di riproduzione, sarebbero da concepirsi come azioni contro natura, dato che la natura stessa le ha rese possibili. Non è peregrino, invece, pensare che la nostra visione antropocentrica del mondo, la quale vorrebbe porre la nostra specie al di sopra di tutte le altre specie nel panorama della creazione, si costituisca essa stessa come il limite che crea sgomento e paura all’intervento sul materiale riproduttivo e genetico che ci definisce in quanto esseri umani e ci garantisce la supremazia?

Verrebbe da dire che non è bastato, infatti, che tutti, laici e cattolici, fossero concordi sul divieto ad ogni esperimento di clonazione rivolto all’eugenetica ed al limite di sperimentazione solo sulle cellule staminali per ragioni terapeutiche, per dirimere questa ancestrale paura. Ma allora, se è giusto che la scienza per prima rispetti i comportamenti etici che sono oggi e non ieri valori universalmente riconosciuti come base della civile convivenza e che sono di diretta provenienza dalle comunità scientifiche, come il benessere e la salute dell’umanità, l’oggettività, l’universalità, la riproducibilità dei risultati, è giusto fermare con paletti politici e legislativi l’impulso verso il progresso scientifico e la conoscenza in senso lato che rappresenta una delle funzioni mentali caratteristiche della nostra specie? Arrestare la conoscenza nel presente e nel futuro mentre il tempo, la storia, la modernità continuano ad evolvere non costituirebbe invece una manipolazione contro la forma della nostra specie, quale noi la conosciamo?

Ma quali le responsabilità della scienza in questa che molti interpretano come una vera e propria bastonata, perché dopo il grande messaggio del mondo della ricerca a non demonizzare e fermare la scienza, il risultato è stato che l’Italia ha perso, dopo la sua autoesclusione dal progetto genoma, anche l’opportunità di ricercare sulle cellule staminali embrionali?

Personalmente credo che di responsabilità la scienza ne abbia e molteplici: una su tutte – mi sentirei di dire – è la sua incapacità a dialogare con il grande pubblico e di questo oggi si rendono conto tanti scienziati, soprattutto quelli che, come non mai in questa partita referendaria, sono scesi in campo a dire la loro, al di là della politica . Questo limite un po’ è nelle cose, tutti abbiamo preso atto della tecnicità del linguaggio usato dagli scienziati, dal quale tuttavia non si può prescindere perché costituisce una risorsa irrinunciabile e vitale per la stessa ricerca scientifica più avanzata. Quanto questa complessità di linguaggio e conoscenze ha costituito un fattore determinante per la comprensione dei quesiti referendari? Termini come zigote, morula, gastrula , blastocisti, totipotenza, clonazione e chi più ne ha più ne metta, sono in molti casi entrati per la prima volta nelle case degli italiani che hanno fatto di necessità virtù e si sono affannati a rispolverare antiche reminescenze. Avranno ritrovato alla fine il senso della questione? Come può la scienza moderna, che basa la sua libertà nella sua autonomia e autoreferenzialità, e assume come criterio di attendibilità il consenso interno alla comunità scientifica, mettersi in relazione con codici di comportamento storicamente estranei, come il comune sentire, il mondo dell’ etica, della norma?

Sono sicuramente importanti le dichiarazioni rilasciate da Veronesi in un’intervista su La Repubblica: “La scienza – dice Veronesi- non deve chiudersi in una torre, senza ascoltare il resto della popolazione, il suo pensiero, il suo modo di sentire”. Ma la scienza non può neanche imputare solo alla Chiesa la responsabilità di dirigere il nostro paese in un periodo di oscurantismo scientifico, se essa per prima non fa autocritica. In che luce, se è lecito, si deve interpretare il successo delle medicine alternative, della magia, delle chiromanti, degli oroscopi, se non in una rinuncia parziale della scienza a farsi interprete dei bisogni delle persone?

Ma la posta in gioco è molto più alta, il referendum ripropone il dibattito su questioni più generali, sulle politiche nei confronti della ricerca scientifica, sugli investimenti che sono stati attuati per potenziare le strutture e la formazione scientifica in Italia, su istituzioni come la Scuola e l’Università che non stanno ai tempi con la modernità.

Fa paura per le sorti del nostro paese pensare a quanti pochi studenti italiani si orientino oggi dopo la scuola secondaria superiore verso la scelta di facoltà ad indirizzo scientifico; indagare sulle cause non è facile ed addossare le responsabilità solo alla scuola, anche se tutti riconosciamo che da qui si deve partire per viaggiare al passo con l’innovazione, é assolutamente semplicistico. I giovani non scelgono la formazione scientifica perché non hanno speranza, quella speranza che oggi forse rischiamo di perdere nei confronti della ricerca biomedica e che negli ultimi decenni l’Italia ha mortificato tirandosi fuori da tutte le grandi scienze, le tecnologie e produzioni innovative della fine ed inizio secolo.

Come non pensare ai fenomeni di decadenza in ambito scientifico e tecnologico provocati per un cambiamento di rotta dell’economia produttiva nel settore dell’informatica, con l’abbandono da parte dell’Olivetti del campo di maggiore interesse internazionale, con l’abbandono della chimica da parte della Montedison, con il crollo dell’industria meccanica capitanata dalla Fiat, con gli esiti sull’industria e sulla ricerca del referendum sul nucleare?

La crisi di formazione e della ricerca innovativa è la crisi di un paese che è uscito, volente o nolente, dalla competizione mondiale contemporanea nei campi fondamentali della ricerca tecnologica. E’ la crisi esplosiva di una generazione di intellettuali tecnico-scientifici che vedono aggiungere alla questione delle risorse ridicole, alla selezione familistica e non per merito, al distacco dal mondo della tecnologia e della produzione, anche un clima culturale in cui la libertà della ricerca, fondamento della scienza contemporanea, appare o è sotto scacco da parte di un sistema di potere, di valori e di censure religiose. Forse non a caso abbiamo anche assistito al tentativo di espellere Darwin dai programmi scolastici, e si fanno sentire in alcuni licei milanesi i sussulti di movimenti creazionisti. Che ciò avvenga nel paese di Galileo non è certo questione che possa lasciare indifferenti i giovani aspiranti scienziati!