Formare ad apprendere

Questo articolo nasce dalla riflessione sul mio lavoro di pedagogista con ragazzi e ragazze* che non possiedono  una metodologia di studio efficace.

La parola “studio” deriva dal latino “studere” che significa applicarsi con impegno a qualcosa. L’impegno risulta più gratificante dal punto di vista motivazionale se colui che studia ha un buon metodo e sceglie le migliori strategie. Un insieme strutturato e coordinato di strategie  costituisce un metodo di studio.

Nel corso degli anni ho compreso quanto l’apprendimento sia correlato allo stile di vita di ciascun individuo e quanto la media matematica dei voti  sia solo parzialmente rappresentativa delle reali capacità di un alunno.

Questa affermazione rappresenta il nucleo centrale del mio intervento con i preadolescenti e adolescenti.

Al centro della relazione che instauro c’è una persona e non solo uno studente.

Il mio lavoro, per essere efficace, richiede la collaborazione attiva dei genitori, dell’ alunno e degli insegnanti. A ciascuno di loro spiego la metodologia che intendo seguire e individuo quali contributi ognuno possa dare per raggiungere l’obiettivo che insieme ci siamo prefissati.

L’incontro con i genitori.

Di solito vengo contattata telefonicamente dalla famiglia del ragazzo che ha difficoltà scolastiche e che ha collezionato una discreta serie di insuccessi in più di una disciplina.

Fisso un appuntamento con i genitori, poiché  il colloquio é lo strumento più utile per cominciare a comprendere la situazione.

Il verbo comprendere deriva  dal latino comprehendo, cioè prendere dentro, fare propria un’idea o una situazione. Senza comprensione del problema, é difficile pensare a un intervento efficace.

I genitori mi riferiscono di aver attuato alcune strategie per superare le difficoltà, come quella di aiutare personalmente il figlio nello studio. Questa modalità, oltre a non produrre risultati positivi, inficia maggiormente il rapporto con il ragazzo, già abbastanza teso a causa degli insuccessi scolastici.

Infatti i giovani non tollerano la presenza dei genitori durante lo studio personale, vivendola come ulteriore controllo sulla loro vita che non percepiscono abbastanza autonoma. Si sentono giudicati come incapaci di gestire efficacemente il loro lavoro.

I genitori sono frustrati, perché i loro sacrifici in termini di tempo e pazienza, producono ribellioni, litigi e insufficienze. Si instaura un logorante circolo vizioso con  grande dispendio di energie intellettuali e psicologiche da parte di genitori e figli, senza  risultati soddisfacenti.

Le  famiglie  identificano la causa dei voti negativi nella negligenza dei figli, nell’ insensibilità dei docenti che disconoscono gli sforzi degli studenti in difficoltà o che preferiscono gli alunni più performanti.

A prescindere dalle motivazioni, i genitori sono impotenti e stremati dall’insuccesso dei figli, perché il rendimento scolastico é un importante indicatore del benessere o malessere di una famiglia, sia che esso ne rappresenti la causa o la conseguenza.

Durante il colloquio comprendo l’investimento emotivo genitoriale nonchè il livello d’ansia correlato al problema e, in un’ottica circolare, formulo ipotesi sulle ricadute sul vissuto del figlio.

E’ inoltre fondamentale sapere chi ha scelto quel tipo di scuola e per quale ragione, poiché se la scelta proviene dallo studente, ha più senso per lui impegnarsi e cercare di recuperare le lacune; se la scelta é stata imposta, la motivazione decade.

Durante il primo colloquio i genitori condividono ansie, sensi di colpa e rabbiosa impotenza,come se il profitto del figlio fosse loro totale responsabilità. Alla fine dell’incontro preciso che la  collaborazione dell’alunno sarà essenziale affinché il mio intervento risulti efficace.

Inoltre tramite i genitori, invito lo studente a telefonarmi per fissare un primo appuntamento che ha come scopo quello di conoscerci e di comprendere le cause dell’insuccesso scolastico.

L’incontro con il ragazzo.

La telefonata é la prima assunzione di responsabilità del giovane. Questo gesto lo rende consapevole della richiesta di aiuto e protagonista del lavoro che ci attende.

All’inizio dell’incontro il mio interlocutore é nervoso e a disagio, poiché pensa che gli verranno impartite delle ripetizioni. Ma l’obiettivo del mio lavoro è l’acquisizione di una modalità di studio personale e proficua.

Spesso il ragazzo appare perplesso rispetto al fatto di trovare un metodo efficace perchè si sente scoraggiato, con poca autostima, incapace di individuare aspetti positivi nel percorso scolastico, demotivato. É rassegnato alle previsioni apocalittiche dei sermoni di genitori e insegnanti, giustamente preoccupati per lui.

Ragione per cui si stupisce quando focalizzo la mia attenzione sulla sue qualità, passioni e interessi.

Dopo mesi in cui gli adulti lo hanno tempestato di domande su verifiche e interrogazioni, qualcuno si accorge, o si ricorda che, oltre alla scuola, lui, lo studente insufficiente, ha una vita. Tuttavia è il primo a rammentare incessantemente gli insuccessi scolastici e per primo vorrebbe porvi rimedio, magari con poca fatica.

Il racconto delle abilità extrascolastiche lo rasserena e rimpolpa la scarsa autostima.

Questo mi permette di trattare il tema delle cause dell’insuccesso scolastico, rispetto al quale si racconta in maniera onesta poiché si è sentito accolto come persona e non giudicato in base allo scarso rendimento disciplinare.

Comincio a indagare le innumerevoli motivazioni di tale difficoltà, partendo dall’atteggiamento tenuto in classe. Attraverso domande circolari invito il ragazzo a osservare obiettivamente il suo comportamento durante le ore scolastiche in qualità di  attento spettatore.

Scopro che a scuola il tempo è speso male: non si prendono appunti, non si ascoltano le domande rivolte ai compagni durante le interrogazioni e le consegne date dai docenti.

Definisco tale condotta come uno spreco delle ore scolastiche, di energie intellettuali e di tempo nello studio pomeridiano che potrebbe essere dedicato anche ad attività piacevoli.

Questa riflessione sorprende il ragazzo che ha modo di apprezzare l’efficacia dell’attenzione in classe, mettendo in atto alcuni suggerimenti. Ribadisco che ognuno possiede un diverso modo di prestare attenzione, perciò per ciascun individuo é necessario trovare il comportamento che gli é più congeniale.

A volte esso cambia secondo le materie e le ore della giornata.

Attraverso questa analisi lo studente impara a utilizzare meglio la mattinata scolastica, inoltre apprende qualcosa su di sé e sul suo funzionamento cognitivo:  avvia un processo metacognitivo.

L’apprendimento di un metodo di studio personale.

Per metacognizione s’intende un processo, cioè una serie di operazioni attraverso cui l’individuo conosce e dirige l’atto dell’apprendere. Esso comporta un’autoriflessione sul fenomeno conoscitivo, su cosa e come si sta imparando e su quali siano le motivazioni che spingono ad acquisire un concetto.

La metacognizione è uno strumento di apprendimento mediante il quale la persona diventa consapevole del modo in cui affronta e mette in atto i compiti cognitivi nel modo più efficace. Una buona consapevolezza metacognitiva permette allo studente prestazioni migliori poiché c’è coinvolgimento personale. Tale coinvolgimento attiva la sfera emotivo-motivazionale che ha un ruolo fondamentale poiché é il motore di tutto lo stile di funzionamento di un individuo. Tale sfera poggia sulla capacità di portare a termine con successo delle attività, cioè sulla consapevolezza di possedere un’autoefficacia, la cui percezione può aumentare attraverso i rinforzi, come le gratificazioni di genitori e insegnanti.

Lo studente all’inizio del percorso ha una debole consapevolezza della propria autoefficacia in ambito scolastico, tuttavia, dopo avermi narrato le proprie qualità negli altri contesti di vita, riesce a intravedere una possibilità di miglioramento anche nel profitto. Quindi chiedo al ragazzo di preparare a casa l’esposizione di un argomento e di presentarmelo la volta successiva. Insieme lo miglioriamo, lo ampliamo, cogliendo i nessi fra i concetti che lo studente non trova per superficialità o omette per pigrizia.

Al termine del lavoro l’esposizione diventa soddisfacente, perciò il ragazzo  chiede al docente la possibilità di essere interrogato. Quando ciò avviene e l’interrogazione è positiva, il circolo vizioso degli insuccessi si spezza e si avvia, con un lavoro coscienzioso, quello virtuoso del recupero e del successo scolastico.

Basta il primo esito positivo per aumentare la sua percezione di autoefficacia e per motivarlo al percorso di ripresa.

L’attivazione dell’attività metacognitiva é fondamentale poiché lo studente comprende quali siano i modi personali più efficaci e i tempi necessari per raggiungere una preparazione sufficiente; inoltre acquisisce la consapevolezza della necessità di preparare  interrogazioni o  verifiche in anticipo, invece di studiare uno spropositato e inefficace numero di ore il giorno precedente.

Il mio lavoro consiste nell’ aiutare il ragazzo a riflettere sulle modalità, sulle strategie di apprendimento efficace e sulle tecniche concrete da adottare.

Questa riflessione si avvia attraverso domande aperte e circolari che consentono al ragazzo di apprendere ad apprendere, cioè di formare se stesso all’apprendimento, di raggiungere una conoscenza del proprio funzionamento metacognitivo che rappresenterà per lui una risorsa preziosa per la sua formazione permanente.

Infatti alcuni universitari mi riferiscono che non solo applicano il metodo di studio appreso durante il percorso fatto insieme, ma utilizzano quella medesima modalità di riflessione metacognitiva di fronte alle difficoltà.

Hanno acquisito più di un metodo, hanno imparato qualcosa su se stessi.

Raggiungere questo obiettivo significa diventare autonomi nell’ambito dell’apprendimento. Tuttavia, come in ogni processo di crescita e di maturazione, é necessario l’aiuto degli adulti competenti che concorrano all’attivazione degli strumenti e delle risorse necessarie.

La collaborazione con i genitori e gli insegnanti.

La collaborazione dei genitori e degli insegnanti è fondamentale per raggiungere l’obiettivo di migliorare l’apprendimento del giovane e renderlo autonomo.

Invito la famiglia a seguire alcune indicazioni che variano secondo i casi incontrati: ci sono  ragazzi che hanno necessità di ripetere ad alta voce e chiedono di essere ascoltati quindi, se non ci sono particolari attriti, uno dei due genitori svolge quest’attività non di controllo, ma di conferma rispetto alla preparazione del figlio.

Quando invece la relazione è compromessa, chiedo  ai genitori di interessarsi al lavoro che il ragazzo ha intrapreso con me. Coinvolgo comunque la famiglia che può riferirmi i cambiamenti del giovane. Queste informazioni sono fondamentali poiché, in base a esse, posso calibrare e modificare l’intervento.

I genitori e lo studente di solito spiegano agli insegnanti il percorso intrapreso e comunicano la mia totale disponibilità a incontrarli.

Nella maggioranza dei casi i docenti mi ricevono volentieri, sono quasi sollevati dal fatto che io rappresenti un facilitatore della comunicazione fra loro e i genitori.

Hanno spesso l’impressione che questi ultimi li accusino di svolgere inadeguatamente il loro lavoro, visto lo scarso rendimento del figlio. Tuttavia quando spiego che il mio intervento é stato richiesto per valorizzare e rendere proficuo il loro insegnamento, essi si rendono disponibili attraverso la spiegazione dettagliata delle richieste, della programmazione di interrogazioni di recupero, della focalizzazione  degli obiettivi da raggiungere alla fine dell’anno scolastico.

Molti mi comunicano il loro indirizzo email per tenerci costantemente aggiornati e lavorare insieme, come un’equipe.

Qualche volta purtroppo non é così.

Per esempio l’insegnante di lettere di una ragazza che frequentava un noto liceo classico milanese, alla mia richiesta di poterla incontrare, aveva risposto di non avere alcun interesse per ciò che la fanciulla facesse al di fuori della scuola.

Questo atteggiamento é raro, ma esiste e rende più difficile perseguire un successo. Squalifica l’impegno della famiglia e dello studente che si mettono in gioco per recuperare gli insuccessi scolastici, alimenta una percezione di estraneità del lavoro svolto a casa rispetto all’ambito scolastico.

Il mio lavoro di pedagogista é gratificante, ma anche impegnativo poiché  incontro una giovane persona nella sua totalità. L’insuccesso scolastico é solo, oserei dire, il pretesto che avvia un percorso complesso, costituito da soddisfazioni, ma anche da ostacoli  che tutti gli attori coinvolti devono rimuovere insieme.

Quando un ragazzo ha un inciampo, gli ricordo che una persona impara più dalle sconfitte che dalle vittorie, il segreto é che non diventino  un’abitudine.

Con questo articolo ho voluto sottolineare un nesso fondamentale fra la formazione personale dell’individuo e la sua capacità di apprendere efficacemente.

Infatti ho constatato quanto sia importante per i giovani saper esprimere i loro pensieri e le loro emozioni al di fuori dell’ambito scolastico, cioè essere in grado di organizzare un discorso chiaro su se stessi. Chi sa raccontarsi in modo coerente, sa anche imparare più facilmente perché ha dato ascolto a  sé, alle proprie emozioni e ha compreso i propri punti di forza come le proprie fragilità.

Quando si insegna un metodo di studio è fondamentale tenere presente che l’apprendimento non prescinde dall’originalità di ciascun individuo, dalla sua personalità, dai suoi sentimenti e dalle sue esperienze di vita.

Quindi é importante che i ragazzi sviluppino anche una buona conoscenza di  loro stessi e dei loro sentimenti, perché durante il percorso potranno  incontrare difficoltà, non inerenti all’ambito scolastico,  che supereranno meglio  se sapranno parlarne per dar loro un senso. Contrariamente esse rimarranno come ostacoli ingombranti che impediranno il regolare corso dell’apprendimento.