Il dono

“[…] forse anche il rapporto con i figli è a sua volta minacciato in altro modo, con la fecondazione artificiale e tutte le tecniche che faranno in modo che un figlio sarà sempre meno donato e sempre più prodotto, che ne saremo sempre meno i procreatori e sempre più i coproduttori. Ed è relativamente vano proclamare nello stesso tempo delle carte dei diritti del bambino, perché un diritto ha senso soltanto per qualcuno che lo possa difendere. Per quanti ne sono incapaci, si possono imporre soltanto doveri, obblighi a coloro che hanno già dei diritti e che saranno incaricati di proteggere coloro che non ne hanno. Ma chi si sente veramente obbligato nei confronti di un prodotto, di una merce?”                        

(J. T. Godbout, 1993)

Il concetto di dono è estremamente complesso e ha subito numerose trasformazioni con il passare del tempo, adattandosi a varie forme di civiltà, ma pur sempre mantenendo un ruolo estremamente importante: la creazione di legami sociali indispensabili alla vita di comunità.

Il dono, per definizione, dev’essere libero, intenzionale, gratuito.

Libero significa nato da un desiderio spontaneo di arrecare un vantaggio a colui che lo riceve, non deve cioè essere coatto, fare capo ad obblighi di alcun genere, che possono derivare da convenzioni sociali, come per esempio il dono natalizio che sembra essere divenuto ormai un obbligo, una consuetudine che ha perso il suo significato originario.

Per intenzionalità si intende la consapevolezza da parte di chi dona del significato che il dono ha per la persona che lo riceve e implica la comprensione di ciò che per essa è utile e importante.

Infine quella della gratuità è la qualità più controversa: ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare che il dono non implichi restituzione, mentre invece è possibile affermare che la restituzione avviene persino nel caso del dono più puro, sia essa anche solo di tipo astratto, come potrebbe essere una sincera gratitudine o la consapevolezza di aver instaurato un legame significativo con un’altra persona. Nel caso in cui la restituzione fosse più strettamente materiale essa ha il dovere di compiersi dopo un discreto lasso di tempo, in modo da non ricadere nello scambio economico del baratto. Ma per dono non si intende solo questo: la generazione è considerata la forma suprema di dono e perciò la donna può essere ritenuta la figura di donatrice per eccellenza.

Consideriamo allora la prima donna della mitologia greca: Pandora, “colei che dona ogni cosa”. Narra la leggenda che venne forgiata dal Dio Efesto nella sua fucina all’interno del vulcano e ricevette la vita da Zeus, insieme ad un magnifico vaso sigillato con il tassativo divieto di aprirlo. Giunta sulla terra sposò il re Epimeteo con cui trascorse una vita felice fino al momento in cui la curiosità ebbe il sopravvento ed aprì il vaso da cui scaturì una nube mefitica che portò all’umanità ogni genere di dolore.

Il mito permette di gettare una sguardo sulle dinamiche inconsce dell’essere umano, costituendo una “palestra simbolica”, una specie di teatro dei burattini in cui mettere in gioco i propri sentimenti angoscianti senza doversene assumere la responsabilità, attribuendoli a personaggi immaginari. Nel bambino si trovano frequentemente fantasie di autogenerazione, cioè la capacità di procreare autonomamente senza l’intervento dell’altro sesso (partenogenesi), espressione del desiderio di onnipotenza che caratterizza il periodo infantile, ma che lascia strascichi nella vita adulta, come testimonia la sensazione perturbante che ci pervade quando veniamo a contatto con la narrazione mitologica. Pandora è stata costruita da Efesto, che a sua volta è stato generato dalla coscia di Era per partenogenesi. Come nota Silvia Vegetti Finzi (1990) il desiderio autogenerativo femminile viene condannato esplicitamente nel mito attribuendogli una progenie mostruosa (Efesto ne è un esempio, cacciato dall’Olimpo a causa della sua deformità) mentre a Zeus viene concesso di auto generare un essere degno del padre: Atena, splendida guerriera. Assistiamo in questo senso ad una espropriazione del potere generativo da parte del maschio, naturalmente invidioso della facoltà prettamente femminile di “donare la vita”. Il celebre regalo del re dell’Olimpo a Pandora rappresenta simbolicamente la restituzione di questo potere una volta ridimensionato:
il vaso rappresenta la cavità uterina, il cui attributo simbolico è la sterile vacuità, semplice ricettacolo atto ad accogliere il seme maschile che si evolverà in feto e poi in essere adulto. Tuttavia ella appartiene ad una stirpe maledetta a causa del desiderio di autonomia generativa: tiene fede alle sue origini violando questa interdizione e aprendo il vaso durante un’assenza del marito Epimeteo, liberando così nel mondo il contenuto del suo ventre simbolico, cioè dolore e sofferenza per tutta l’umanità.

L’uomo sublima nel mito il senso di inferiorità che prova nei confronti della donna trasformando “colei che dona tutto” in “colei che dona sofferenza” e riservando il ruolo di salvatore ad un altro personaggio maschile, il titano Prometeo, che a costo della dannazione eterna sottrae il fuoco agli Dei per donarlo agli uomini perché li riscaldi, allontani le belve, rischiari la notte, alleviando così lo stato di indigenza provocato da Pandora.

Doni moderni

Oggi su Internet vengono messi all’asta gli ovuli di famose top model, mentre in California ci si può aggiudicare un “pacchetto tutto compreso” contenente: reperimento di una donatrice d’utero (colei che si occupa di portare a termine la gestazione dell’embrione al posto della madre biologica nel caso in cui ella abbia problemi nella gestazione che ne causano l’aborto), parto, baby sitter per eventuali precedenti figli della donatrice, documenti per l’espatrio del bambino (nel caso di coppie nel cui paese d’origine la pratica fosse proibita), il tutto per la cifra di 120 milioni di lire.

Anche la figura del donatore esce trasformata da questa rivoluzione scientifica. Egli appare spinto razionalmente a donare parti di sé come il sangue, il midollo spinale, gli organi, il seme, a scopo puramente altruistico, ma quali dinamiche inconsce si celano dietro questa immagine di totale e incondizionata dedizione verso il prossimo?

Egli è guidato in parte da una componente onnipotente e narcisistica, caratteristica dell’infanzia e presente in forma mitigata nella vita adulta, che lo spinge nella ricerca dell’immortalità: resosi conto della caducità del suo corpo, uno dei modi che gli rimangono per conservare un barlume di speranza nella propria eternità è di vedersi perpetuato nei figli. Ma se ciò non avviene o non basta a soddisfarlo, può fare in modo che una parte di sé (il sangue, un arto o un organo interno) continui ad esistere dopo la sua morte impiantata nel corpo di un’altra persona. Oppure può donare il seme e immaginare le migliaia di possibili suoi discendenti sparsi per il mondo.

Oltre a quello del donatore, anche il desiderio di colui che riceve il dono, il donatario, necessita di elaborazione. Troppo spesso capita che le persone cui è mancata una cosa per lungo tempo (un figlio che tarda a venire, la mancanza di un arto…) e che hanno passato buona parte della loro vita a desiderarla, quando si trovano nella situazione di poter colmare quella lacuna non si soffermano ad analizzare a fondo le conseguenze di un’operazione che cambierà la loro vita. Si osservano così condotte apparentemente paradossali, come quella di donne che, dopo una vita di tentativi falliti, ottengono il tanto desiderato figlio grazie ad una fecondazione artificiale, ma si rendono improvvisamente conto di non essere preparate alla sua venuta, giungendo al punto di rifiutarlo e di darlo in adozione. Il progresso medico non conosce ragioni, raramente tiene conto delle pulsioni inconsce che animano gli individui e, di fronte ad un possibile balzo in avanti della conoscenza, è difficile che ci si soffermi a considerare quanto essa possa essere effettivamente vantaggiosa o nociva per le persone che ne faranno uso.

L’uomo, la macchina

L’immagine dell’organismo biologico come grado più elevato di perfezione è stata lentamente sostituita dalla macchina, unica entità in grado di assurgere allo statuto di infallibilità perché lontana dalla rozza approssimazione propria della natura. Seguendo il corso di questo ragionamento l’uomo si trova a dover fare i conti con la propria imperfezione rispetto all’universo degli oggetti di cui si circonda, che sono prodotti e non creati, perciò virtualmente perfetti. Ecco emergere un altro possibile impiego delle bio tecnologie: l’eugenetica, cioè la possibilità di eliminare gli errori che si verificano con la normale riproduzione sessuata così come avviene attualmente in campo zootecnico, sostituendola con la fecondazione in vitro, che permette di selezionare i caratteri che si vorranno trasmettere alla prole e di avvicinarci alla presunta superiorità della produzione industriale. La frase “comprare un fratellino al supermercato”, utilizzata da molti genitori per evitare di dare premature spiegazioni ai figli riguardo il rapporto sessuale, potrebbe diventare profetica.

Ma se da un lato siamo alla ricerca di un mondo utopico che ci permetta di aspirare alla perfezione dei prodotti tecnologici, dall’altro questa prospettiva ci spaventa a causa del crescente grado di spersonalizzazione che essa comporta, per cui siamo affascinati dalla scienza e dal progresso, ma contemporaneamente ci lamentiamo della realtà che andiamo costruendo, addolcendo il ricordo del passato come luogo degli affetti, della famiglia, delle relazioni interpersonali e considerando il presente come luogo dei rapporti formali, dell’incomunicabilità, della fredda razionalità. Questo rifiuto della trasformazione di uomo in oggetto è dimostrato dal forte riavvicinamento che si sta verificando verso le religioni e i riti magici, in un continuo fiorire di sette esoteriche e di sedicenti santoni, che soddisfano il desiderio dell’uomo di essere al centro dell’attenzione di un suo simile, che ne rivalutano l’individualità facendolo uscire dalla massa senza volto, senza voce. Anche il dono può riuscire in questo intento.

Il potere liberatorio del dono sta proprio nella capacità di stabilire legami, di uscire dal cerchio dell’economico. Esso è inafferrabile, non è un oggetto, ma un evento che ha il potere di restituire alle persone la dignità di soggetti, che ci permette di essere riconosciuti dall’Altro attirandone lo sguardo grazie ad alcune particolari varianti, a prima vista poco spettacolari, come il dono di tempo, di attenzione, di cura, che si stanno riscoprendo nelle associazioni di volontariato.

*Studente in psicologia all’Università di Pavia

alepace@libero.it

Illustrazioni di

Lorenzo Recanatini

Bibliografia

Godbout J. T. , Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, pag.209;

Vegetti Finzi S., Il bambino della notte, Mondadori, Milano, 1990;

Vegetti Finzi S., Volere un figlio. La nuova maternità tra natura e scienza, Mondadori, Milano, 1997;

Borutti S. , Dono, Corso monografico di filosofia morale dell’Università di Pavia, A. A. 1998/1999.