Imparare una lingua è imparare una cultura

Nella scuola elementare di Via Tevere, a Rho, nel settembre del 1991, viene dislocata la prima scuola per adulti stranieri del territorio. L’Educazione interculturale nel nostro Circolo è, ormai, prassi consolidata, pertiene ad esso quasi fosse un suo elemento costitutivo.

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Si tratta di uno sparuto drappello di 20/25 neoimmigrati extracomunitari coi quali si avvia, fra incertezza e curiosità, un percorso di alfabetizzazione di lingua italiana. Intanto, ci si comincia ad interrogare sull’intercultura, sulla diversità, sulla alterità, sul confronto e sulla mediazione.
I temi della pace, dei diritti umani, della mondialità, a partire dall’insegnamento della Religione, attraversano il curricolo e producono possibilità di confronto nel tempo e nello spazio con culture altre e diverse; sviluppano opportunità creative divergenti, mediante la poesia, la musica e la danza, il teatro, le arti visive.
La scuola si apre al rabbino e al mussulmano, ai monaci tibetani, al medico senegalese, al cantastorie Griot, ai rappresentanti delle associazioni del volontariato sia a livello locale che internazionale. Verso queste “voci altre”, che entrano in scena come testimoni diretti, si induce comprensione e si sollecita la solidarietà, all’insegna di una nuova sensibilità culturale.
C’è un’intenzionalità sottesa di far vivere l’incontro tra culture attraverso un’ottica di decentramento, ossia con l’assunzione di punti di vista, di prospettive diverse, con una prassi operativa centrata sull’interazione, sull’empatia, sul confronto, con attenzione alla dissonanza e al conflitto. Sono questi i principi guida per una cittadinanza interculturale.
Partner insostituibile in questo percorso di collaborazione sul territorio è l’Ente Locale, soprattutto l’Assessorato ai Servizi Sociali e alla Pace che promuove una campagna di sensibilizzazione verso la cittadinanza. Il Comune propone alla scuola di lavorare su tematiche inerenti la pace e i diritti umani e ne finanzia i progetti; organizza per tre anni consecutivi un corso rivolto ai docenti “Educare alla differenza”, che si svolge presso la nostra Direzione e che produce approfondimenti, riflessioni, problematizzazioni.
Lo Sportello Pace del Comune di Rho e l’Associazione Microcosmo di Arese sono, per la scuola, due alleati infaticabili e insostituibili.
Nel frattempo, cominciano ad iscriversi presso le nostre scuole, alunni stranieri. I primi approcci sono un po’ rudimentali ed empirici; si procede per tentativi ed errori su un terreno reso, però, sensibile dai progetti d’intercultura. Ci sono i figli di coppie miste, i bambini adottati, i piccoli nomadi e bambini di nazionalità diverse. Affinché la loro presenza non si costituisca solo come problema e difficoltà, ma anche come ricchezza e risorsa per tutta la scuola, si elabora il progetto “IMPARARE UNA LINGUA è IMPARARE UNA CULTURA” che trova un finanziamento sia nell’ambito dei fondi assegnati all’Autonomia scolastica, sia presso l’Assessorato ai Servizi Sociali e alla Pace, per l’introduzione nella scuola di facilitatori linguistici e mediatori culturali.
La didattica interculturale ha il compito di mettere in contatto e in comunicazione i soggetti che provengono da mondi lontani e diversi dal nostro e, allo stesso tempo, farci conoscere da questi attivando momenti di interazione tra le diverse culture ed identità, come condizione necessaria per la crescita
individuale e del gruppo.
Il momento progettuale vuole superare le preoccupazioni inerenti al recupero linguistico degli alunni stranieri, vedendoli come risorsa per l’apprendimento di tutti. Si presterà quindi maggiore attenzione all’accoglienza, all’inserimento nella classe e nella scuola, alla socializzazione con l’adulto ed il compagno e ad una conoscenza più approfondita del bambino attraverso una raccolta di informazioni dalla famiglia. La fase dell’accoglienza è molto importante e delicata, rappresenta un momento carico di ansie ed aspettative. Il bambino straniero o nomade inizia una nuova esperienza ricca di incognite che vengono ad aggiungersi ad una condizione di partenza molto spesso permeata da incertezze e paure. Spesso il neo arrivato è in grado di comunicare in lingua madre ed comincia, gradualmente, a conoscere l’ambiente esterno alla scuola come un luogo in cui vivere. E’ combattuto da ricordi, affetti, sicurezze che la sua famiglia e il suo Paese fino ad ora gli hanno trasmesso. Ora non sa se nasconderli, cancellarli perchè elementi di vergogna, di diversità vissuta in senso negativo. Il saper rispettare i suoi silenzi, le sue incertezze, i suoi timori nel mettersi a confronto lo rassicureranno, così come il saperlo ascoltare in modo autentico e partecipe lo faranno sentire motivato.
Occorre quindi dargli un’attenzione particolare e delicata, manifestare segnali visibili di accoglienza che vadano oltre il sorriso e la stretta di mano. Mettersi in atteggiamento d’ascolto significa dare spazio all’altro, alla sua identità e può diventare strumento efficace non solo di conoscenza e apertura verso chi viene da lontano ma, per il bambino straniero, strumento di autostima e motivazione ad interagire con quel nuovo mondo che a lui appare tanto freddo e lontano. L’ascolto in particolare dovrà essere autentico, curioso, partecipe e non giudicante e si configurerà come costruzione condivisa di significati e come reciprocità dell’apprendimento.

Il laboratorio linguistico
Il percorso si svilupperà principalmente nel laboratorio linguistico inteso come spazio di accoglienza e di progettazione nel quale i bambini stranieri lavorano a piccoli gruppi. Partecipare alla graduale costruzione e decorazione dell’ambiente, con i propri oggetti e produzioni, li porrà in una condizione di minore ansietà rispetto alla paura di cancellare una parte di sé. I loro lavori, i brevi flash della loro storia raccontati all’interno del piccolo gruppo saranno quindi mostrati ai compagni di classe per uno scambio di conoscenze e per un confronto. In questo modo il laboratorio linguistico diverrà solo il punto di partenza, il luogo nel quale “aprirsi” e conoscersi per poi trasferire e condividere con gli altri. Nello scambio continuo all’interno della classe il bambino straniero sperimenterà la molteplicità dei linguaggi e la classe scoprirà la molteplicità dei modelli di riferimento.
Il confrontarsi con realtà diverse li aiuterà a superare l’egocentrismo, a capire che non esiste un solo modo di organizzare la vita, un solo linguaggio, una sola religione, una sola visione del mondo. Guardare ad ogni bambino come ad un’individualità portatrice di un patrimonio di sensibilità e possibilità di comunicazione è dunque il punto di partenza per costruire una nuova cultura, dove ogni apporto individuale possa fondersi in un risultato comune, che apparirà come qualcosa di assolutamente nuovo, ma comunque riconoscibile. Il percorso di lavoro all’interno del laboratorio mira a raggiungere obiettivi cognitivi e relazionali senza tuttavia scinderli in quanto strettamente collegati. Per quanto riguarda gli obiettivi cognitivi si cercherà di:
– fornire al bambino straniero gli strumenti linguistici che gli permettano di partecipare ad alcune attività comuni;
– sviluppare l’italiano utile sia alla scolarizzazione che alla socializzazione in generale.
Il bambino impara il lessico e le strutture che gli servono per richiamare l’attenzione, chiedere, denominare oggetti e azioni, rispondere a richieste e comandi. La lingua presentata è legata al contesto, ai campi di attività comunicativa del quotidiano e i temi proposti tengono conto degli interessi e dei bisogni dei piccoli stranieri.
Relativamente agli obbiettivi relazionali si cercherà di conoscere culture altre, valorizzare la lingua madre, favorire l’incontro e lo scambio tra famiglie. Attraverso la loro “storia”, il loro raccontarsi, i bambini impareranno a riscoprire la loro identità e a valorizzare le differenze. L’uso della lingua madre, l’ascolto della musica del loro Paese, le immagini, gli oggetti da loro portati diventano elementi di conoscenza, confronto e integrazione.