Investire sulla infanzia
Intervista a Livia Pomodoro
L’investimento sull’infanzia può essere il più produttivo, portatore di ricchezza e di valori, di punti di riferimento, per tutta la società nel suo complesso. In questo contesto l’adulto, educatore, genitore, insegnante, semplice cittadino, non potrà più prescindere sia dall’ascolto dei bisogni dei bambini, sia dal sapersi porre interrogativi, anche coraggiosi, sui propri atteggiamenti nella relazione con i più piccoli. Con l’intervista a Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale dei minori di Milano, continuiamo il nostro percorso di approfondimento sugli orientamenti, le novità, le questioni aperte sul versante legislativo e sociale intorno ai minori ed al disagio minorile. Il presupposto dal quale vogliamo partire è l’importanza che rivestono i più piccoli nella nostra società essi, con la loro presenza, ricordano agli adulti la necessità di progettare mondi migliori e la responsabilità che tali progetti non rimangano solo promesse. L’esperienza nei luoghi dell’educazione, scolastica ed extra-scolastica, ci rinforza sempre di più nell’idea che la nuova società e le nuove politiche debbano avere come compito principale quello di porre un’attenzione particolare, pacata, sensibile e premurosa al divenire dell’uomo ed alla sua piena realizzazione.
Maria Piacente: Presidente Pomodoro, lei è oggi in Italia una salda figura di riferimento per tutti coloro che, a vari livelli, sono impegnati nella lotta contro i crimini e gli abusi sui minori. Quanta forza ha, secondo lei, la Magistratura in questa lotta che, talora, ai cittadini può apparire improba, se confrontata con la vastità del fenomeno?
Livia Pomodoro: Non si tratta di avere forza per eliminare o ridurre i guasti dei crimini o degli abusi sui minori. La Magistratura ha un compito istituzionale.
e il giudice minorile è il responsabile del superamento o comunque dell eliminazione delle situazioni di disagio. I magistrati minorili hanno dimostrato in questi anni attentenzione, sensibilità e capacità nell individuare situazioni di disagio e di provvedervi in modo molto significativo. Mi sembra che la giustizia minorile sia davvero una specie di laboratorio nel quale si sono svolte attività molto importanti e in particolare proprio sull abuso dell infanzia.
M.P.: Secondo lei, si può parlare di un ruolo privilegiato della donna nella difesa dei minori e nel loro percorso educativo?
L.P.:Non sono affatto d accordo con questa tesi. Non credo assolutamente che esista un ruolo privilegiato della donna nella difesa dei minori. Questo è un profondo errore: l errore di chi pensa che la difesa e la tutela dei minori come soggetti di diritto debba esser affidata ad una sola componente della società italiana, tradizionalmente individuata nella donna, perché noi abbiamo ancora questa concezione mammistica dell’ educazione. Ma non è così: intanto, è molto importante la condivisione dei compiti del percorso educativo e della verifica delle capacità genitoriali da parte di tutti, maschi e femmine. I bambini hanno bisogno di entrambe le figure genitoriali.
E che un educatore, un giudice o un operatore sociale siano uomo o donna, è solo un caso. Ciò che importa è la professionalità, non il sesso. L’aver ancora una volta delegato alle donne l’educazione e in particolare la tutela dei minori ritengo sia un errore. Il fatto che certi ruoli siano prevalentemente esercitati da donne finisce per togliere forza al dibattito e all’attenzione a problemi come questi da parte dell’intera società.
M.P.: L’abuso all’infanzia sembra in crescita perché vi è maggiore informazione o perché effettivamente si registra l’aumento di un fenomeno che è il riflesso più triste di un gravissimo malessere dilagante nella società attuale?
L.P.: Si tratta di un discorso sul quale si discute da molto tempo. In realtà oggi c è una maggiore visibilità del fenomeno, che lo fa apparire in crescita. Io credo che la storia dell umanità riveli, invece, quanto gli abusi all infanzia siano sempre stati perpetrati vigliaccamente da secoli. Non ritengo sia direttamente possibile una comparazione tra azione degli organi di informazione e abuso all’infanzia. Credo, piuttosto, alla situazione gravissima di un fenomeno che in molti casi, nonostante tutta l’informazione, rimane ancora sommerso.
M.P.:A tredici anni dalla Legge 184/83 sorge la necessità di un aggiornamento. Partendo dalla sua esperienza, quali suggerimenti pensa di dare sul versante legislativo e sul versante tecnico per quanto concerne gli operatori del settore?
L.P.: Le leggi sono sempre perfettibili ed evidentemente anche la legge 184, che è comunque una buona legge, può aver bisogno di un aggiornamento. Sicuramente si può intervenire sotto alcuni aspetti procedurali della legge stessa, che a mio avviso appesantiscono molto il giudizio del tribunale dei minorenni in materia di dichiarazione dello stato di adottabilità. La linea di tendenza della società attuale va nel senso di una modifica sostanziale della legge, ma direi che questa legge è molto importante nella parte in cui riconosce il principio dei diritti dei minori della convenzione dell’89, cioè il minore viene riconosciuto come soggetto di diritto, mentre le coppie che fanno domanda di adozione danno la loro disponibilità all’adozione. La 184 non è stata fatta per favorire le coppie che non hanno la possibilità di generare neturalmente, ma i minori. Tutta la parte che riguarda l’adozione internazionale dovrà necessariamente essere modificata in vistra della convenzione dell’Aia del 1993. Ritengo che comunque l’impostazione di carattere generale della legge debba mantenersi fermo, in quanto si è rivelato solido. Quanto alle questioni particolari, come l’adozione da parte dei singoli, piuttosto che la distanza di età tra minore adottato e gli adottanti, il discorso è articolato. Nel primo caso, esiste già la possibilità in virtù della normativa speciale espressa dall’articolo 44, lettera c) della legge stessa. Se anche si introducesse la possibilità di adozione da parte del singolo, ciò si tradurrebbe in un ulteriore aggravio per il tribunale, che dovrebbe valutarne le possibilità, tenendo conto, tuttavia, del fatto che, essendo le coppie che fanno richiesta di adozione molto più numerose dei singoli, quelle finirebbero per avere la precedenza, potendo garantire una famiglia costituita da un papà e da una mamma, piuttosto che da una persona sola. Si potrebbe però ampliare le posssibilità di adozione da parte del singoli, purché vi sia una disponibilità in riferimento a situazioni particolarmente compromesse del minore, dal punto di vista della salute o sociale. Per ciò che riguarda la differenza di età tra adottanti e adottandi, si tratta di trovare un saggio compromesso tra chi vorrebbe genitori di un minore persone addirittura anziane e chi considera che l’età in cui si diventa genitori si è elevata.
M.P.:Parlando ancora della legge 184/83, accanto all’articolo 1 ?Il minore ha il diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia? si ripropone il corrispondente diritto della famiglia in difficoltà economiche di essere aiutata dalle istituzioni. Ciò implica una forte integrazione tra i vari servizi interessati, soprattutto a livello di enti locali. Cosa ne pensa della organizzazione socio-sanitaria vigente in Lombardia?
L.P.: Porre la questione soltanto sotto il profilo economico è un po’ poco. I servizi servono a dare sostegno per situazioni degradate: sostegno materiale, ma non solo materiale. Posso dire che la diffusione dei servizi sul nostro territorio è capillare, anche se questi non funzionano benissimo dappertutto, certamente a causa di scollamenti che interrompono il coordinamento tra le varie agenzie.
M.P.: Quale pensa sia stato, in realtà, il cosiddetto ?effetto volano? e, in ultima analisi, quale l’efficacia della Legge Turco in relazione, ad esempio, al sostegno alla relazione genitori-figli? Che suggerimenti intende dare agli operatori dei servizi che vi sono preposti?
L.P.: Suggerimenti di carattere generico è bene non darne. Se vi sono delle difficoltà che riguardano l incapacità educativa temporanea dei genitori si dotrà ben intervenire perché questi siano più responsabili, più attenti e facciano tutto ciò che è necessario per il benessere dei loro figli. Trattandosi di situazioni più complesse, si seguiranno le vie ordinarie per la tutela dei bambini, in caso di inidoneità dei genitori. I servizi devono attrezzarsi per dare alle famiglie sostegni di natura materiale, ma anche psicologica. Alcuni servizi, soprattutto in Lombardia, hanno già delle iniziative in corso e svolgono un attività di prevenzione abbastanza interessante. Devo ammettere che non è facile organizzare un’attività di prevenzione su un territorio che presenta tanti bisogni a cui si deve rispondere. E’ una situazione che va seguita con attenzione e interesse.
M.P.:Neldifficile dibattito intorno alla tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza quale dovrebbe essere il ruolo della scuola?
L.P.: La scuola è diventata un agenzia primaria di educazione al pari della famiglia, quindi ogni tipo di riforma va visto nell’ambito di questa primarietà. L’attività congiunta di servizi sociali e scuola è una grossissima opportunità di crescita anche professionale della scuola stessa, in maniera diversa da come è stata fino ad oggi concepita. La scuola, deve mantenere il suo ruolo di luogo dell’insegnamento, però oggi non può mantenersi assolutamente fuori da una realtà che impone un continuo dialogo, un continuo dibattito, una continua attenzione anche alle esigenze famigliari dei ragazzi che la frequentano. Quanto allo spostamento dei limiti di età in basso e in alto, penso che dipende da come sarà organizzata la scuola, da cosa si vorrà fare nella scuola a tutti i livelli.Penso alla dispersione scolastica nel periodo dell’adolescenza. La scuola deve avere la possibilità di accompagnare i ragazzi, non solo con lo studio mattutino, ma anche attraverso una presenza pomeridiana. Occorre tenere conto dei mutamenti della vita quotidiana e che l agenzia scuola deve integrare il suo ruolo con altre istanze sociali. Credo che a questo possa servire studiare non tanto il prolungamento della vita scolastica, ma quegli strumenti che possono servire a individuare il disagio e a provvedervi. Non credo che allungando o accorciando si risolvono i problemi, bisognerà vedere che cosa la scuola farà al suo interno.
M.P.:E che cosa pensa riguardo al fatto che la legge 182 sull’adozione non è mai stata divulgata nelle scuole?
L.P.: Credo che nella scuola ci debba essere consapevolezza di questi problemi da parte degli insegnanti, che preparerei ad avere attenzione e ad accogliere le manifestazioni di richiesta di aiuto da parte dei bambini. D’altra parte, inviterei gli insegnanti stessi a rendere partecipi delle loro preoccupazioni tutti gli organismi che insieme con la scuola sono responsabili della tutela dei bambini, non solo dal punto di vista educativo.
M.P.:Parliamo di molestie e abusi. Lei pensa che sia utile affrontare questi argomenti con i bambini?
L.P.: Credo che occorra educare i bambini ad avere un rapporto sereno e di fiducia con l adulto, insegnando loro le cose positive. Naturalmente non nascondendo al minore i pericoli o le insidie che possono avvicinarlo. Dopodiché, credo anche che non è terrorizzando i bambini che si ottengono dei risultati. Non è tanto un problema di condivisione col bambino delle preoccupazioni dell adulto. Il bambino deve vivere la sua vita di bambino e dobbiamo creargli per questo le condizioni, non caricandolo di problemi che non sono suoi. D altra parte, esistono delle comuni regole di prudenza che non devono essere scambiate con mancanza di fiducia verso il mondo degli adulti.
M.P.:In questo senso lei pensa di più al ruolo della scuola o al ruolo dei genitori?
L.P.: Penso che ognuno debba svolgere il proprio ruolo, integrandosi. Il soggetto è il bambino, noi dobbiamo fornire gli strumenti perché possa esplicare la sua personalità e crescere nel modo più sereno. Credo che spesso noi adulti tendiamo a comportarci come una sorta di irresponsabili, perché pensiamo di caricare sui soggetti che vogliamo difendere tutto ciò che invece è nostro dovere fare.
M.P.:I genitori oggi chiedono di più, sono più competenti e c è richiesta di informazione.
L.P.: Certo, è vero. Ma in futuro ci troveremo a fare i conti anche con problemi più complessi. Infatti, essendoci un indice di sviluppo demografico molto basso, dovremo misurare la nostra capacità di aiuto e ascolto nei confronti di famiglie multietniche, con problemi moltiplicati dalla varietà delle provenienze. E questo è soprattutto un problema prevedibile per Milano, dove crescono comunità di soggetti appartenenti ad altre culture.