La costruzione del sè on-line: mito o realtà

Una comunicazione totalmente anonima non potrebbe mai dare luogo a relazioni sociali stabili e significative; al contrario, lo pseudonimato permette di tenere traccia, almeno parzialmente, delle interazioni passate pur lasciando all’individuo ampie libertà su cosa rivelare di sé. Vi sono casi in cui questa libertà viene utilizzata per ragioni molto importanti, direttamente attinenti la vita off-line.

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L’uso di uno pseudonimo in luogo del nome anagrafico permette uno scambio libero di opinioni, informazioni e sostegno a categorie di persone discriminate per vari motivi, che potrebbero avere timore di esporre la propria condizione in pubblico.
Anche nei casi in cui lo pseudonimo venga utilizzato senza un motivo preciso è costante la tendenza a non mutare facilmente e, anzi, a conservare nel tempo il nome o lo pseudonimo con cui si è conosciuti in rete. Parallelamente allo sviluppo di un reticolo di relazioni sociali su base più o meno ampia, questa tendenza produce un secondo effetto a livello ‘micro’: la nascita della persona on-line. E’ ben noto come il concetto di ‘persona’ derivi etimologicamente dall’etrusco phersu, ‘maschera’, ed è altrettanto nota l’importanza dell’utilizzo di ‘maschere’ rituali presso le popolazioni tradizionali di tutto il mondo.
La maschera costituisce ciò che oggi si chiamerebbe l’interfaccia, lo snodo di collegamento tra l’individuo e la società. Allo stesso modo, secondo la ricostruzione storica che ne fa Marcel Mauss [1950] in uno dei suoi saggi ormai classici, il concetto di persona è legato originariamente ai personaggi mitici rappresentati nei rituali attraverso le maschere; tale concetto evolve nell’ambito del diritto romano fino a indicare il titolare di privilegi e diritti individuali, tra i quali ritroviamo anche il diritto a fregiarsi di un sistema di nomi (il sistema di nomi romano, costituito da un nome, numen, sacro della gens e da un cognomen, soprannome, che finisce rapidamente con il confondersi con l’imago, la maschera di cera modellata sul viso dell’antenato morto, custodita nelle case delle famiglie patrizie). Il concetto di persona è quindi collegato ai nomi ed è anch’esso un fenomeno intimamente sociale, indicando un complesso intreccio di relazioni. E’ solo con l’avvento della morale cristiana che la ‘persona’ arriva a designare semplicemente il singolo individuo tout court, dando origine all’equazione attuale “un individuo, una persona”.
La riflessione sociologica sviluppata durante l’era moderna conserva, in parte, il significato originario del termine ‘persona’, utilizzandolo spesso per indicare implicitamente la componente più ‘sociale’ del soggetto. Il riconoscimento dell’esistenza di una simile componente è alla base di molte teorie classiche del rapporto tra individuo e società, dalla psicoanalisi freudiana (con i tre elementi dell’Es, Io e Super-lo) alla teoria del Sé (diviso tra l’Io e il Me) di Mead [1934] ed è evidente anche nella più recente categoria sociologica dell’attore sociale in quanto distinto dall’individuo e dal soggetto [Touraine 1992].
La crisi della modernità e la società dell’informazione recano anche una ridefinizione di questi concetti, proponendo l’idea di una identità multipla o frammentata, di un soggetto con più personae: si spalanca così una porta in realtà già socchiusa da pensatori del primo ‘900, come Simmel e Weber,  con l’avvento delle reti telematiche che, naturalmente, questa idea prende uno slancio definitivo e viene recepita su più vasta scala.
Lo sviluppo della persona on-line parte dalla volontà di comunicare. L’assunto cartesiano cogito, ergo sum non si applica alle relazioni di rete: chi non comunica, chi non manifesta la sua esistenza attraverso l’interazione, la partecipazione a una mailing list o la presentazione di una pagina web, letteralmente non esiste da un punto di vista sociale. La partecipazione deve essere continua (non necessariamente frequente) e deve essere associata a un nome/pseudonimo che consente a se stessi e agli altri di ripercorrere la storia di questa partecipazione: queste sono le condizioni necessarie per lo sviluppo di ciò che si può chiamare una ‘persona on-line’ [MacKinnon 1995;1997], con un’equivalenza terminologica ormai corrente (anche se probabilmente non del tutto giustificata), di un ‘Sé online’ [Aycock 1995; Walther 1996] o addirittura di un ‘ciberself’ [Waskul e Douglass 1997].
I meccanismi offerti dalla rete per costruire ed esprimere la propria persona sono molti e variano seguendo le diverse possibilità tecniche a disposizione. Considerata la stretta attinenza tra il proprio nome e la propria persona, però, non stupisce che una importanza particolare venga data al modo in cui si ‘firmano’ i propri interventi in rete. Qualunque tipo di software per la gestione della posta elettronica offre la possibilità di aggiungere automaticamente una firma alla fine di ogni messaggio inviato. Tale firma viene definita dall’utente e quasi sempre comprende anche altre informazioni, oltre al semplice nome o pseudonimo.
Esistono firme brevi, contenenti per esempio solo il nome, l’indirizzo e- mail (comunque già presenti nelle intestazioni
dei messaggi), l’indirizzo Icq e l’indirizzo della propria pagina web personale. Più marcatamente indirizzato verso la costruzione di una specifica persona on-line è il caso delle firme contenenti motti, espressioni, aforismi che, nelle intenzioni del titolare, dovrebbero costituire i primi stimoli in grado di guidare il modo in cui gli altri lo percepiscono/costruiscono. Firme più articolate possono contenere quindi nell’ordine il nome (individuale o collettivo nel caso di gruppi di lavoro), l’indirizzo web ed e-mail, slogan politici attinenti alle campagne contro la censura in rete, ulteriori indirizzi web relativi a temi specifici e infine magari anche il Pgp key fingerprint, un codice univoco che identifica il mittente come utilizzatore e sostenitore del programma di crittografia a chiave pubblica Pretty good privacy (Pgp). Infine, in alcune firme tutte queste informazioni possono essere ?incastonate? in disegni stilizzati composti utilizzando esclusivamente i caratteri disponibili sulla tastiera (si tratta della cosiddetta ‘Ascii-art’).
Un altro aspetto interessante è quello che riguarda la presentazione di sé nelle home page personali. Si tratta di un fenomeno molto recente: mentre Internet e le varie forme di comunicazione elettronica esistono da molti anni, il world wide web è stato ideato solo nella prima metà degli anni ’90. Originariamente progettate per distribuire in modo efficace informazioni scientifiche (nello specifico relative alla fisica nucleare, essendo un prodotto dei ricercatori del Cern di Ginevra), il web ha costituito la risposta alle esigenze dell’utenza priva di specifica formazione informatica: è estremamente semplice da usare, non è legato ad architetture hardware o software specifiche (quindi può essere utilizzato con qualunque computer) e permette di aggiungere immagini, grafici, fotografie, suoni e video alla comunicazione tradizionale basata sul solo testo scritto.
Un’ulteriore caratteristica ha fatto la fortuna del web e lo rende così interessante anche da un punto di vista sociale: alla facilità con cui è possibile ‘navigare’ sul web, osservando i siti costruiti da altri, si affianca la facilità con cui è possibile, diventare a propria volta fornitori di informazione, costruendo un proprio sito. Il web è quindi cresciuto esponenzialmente come ragnatela dai contenuti molto eterogenei.
Proprio la facilità con cui è possibile costruire una pagina web o un intero sito ha dato luogo a un fenomeno imprevisto, che però rispecchia pienamente l’importanza, le ambiguità, le insicurezze e l’ansia connesse a una domanda vecchia come l’uomo ma che nella società complessa trova nuove ragioni per essere posta: Chi sono io? Le home page personali tentano di offrire una risposta a questa domanda. La risposta è rivolta a chi si trova a visitarle, ma è ovviamente anche una risposta che si tenta di dare a se stessi nel momento in cui si progetta e si mantiene una propria pagina web. Il web in quanto tale difficilmente può essere considerato il più interattivo dei mezzi di comunicazione in rete, ma le pagine web personali costituiscono un tassello di una costruzione interattiva più ampia. L’home page personale è una ?ribalta? [Goffman 1959] costruita con estrema cura e analizzabile con profitto attraverso la tradizionale prospettiva goffmaniana [Miller 1995].
L’analisi delle firme e delle home page personali viene spesso citata a sostegno di una visione del Sé frammentata e molteplice. Un individuo può costruire diverse ‘firme’, ognuna delle quali sarà usata per delineare altrettante persone in contesti e ambienti virtuali diversi. Analogamente, un’unica home page generale racchiude in genere più sezioni dedicate alle varie ‘maschere’ assunte dal titolare in momenti diversi della sua vita quotidiana.
Seguendo esattamente l’interfaccia a finestre dei più diffusi sistemi operativi per computer, l’identità viene definita ‘postmoderna’ nel momento in cui si scompone in diversi riquadri [Turkle 1995]. Tuttavia, sarebbe ingenuo pensare che ognuno di questi riquadri possa condurre un’esistenza indipendente dagli altri. L’esistenza di un canale comunicativo tra le diverse finestre è esattamente ciò che secondo la studiosa americana Sherry Turkle distingue l’identità frammentata postmoderna da condizioni patologiche come il ‘disordine da personalità multipla’ (multiple personality disorder) o alcune forme di schizofrenia.
La presentazione del Sé nelle home page costituisce senza dubbio una comunicazione atipica: oltre a essere difficilmente classificabile come comunicazione interattiva secondo una prospettiva di tipo interazionista [Miller 1995] e oltre a condurre solo con una certa difficoltà a relazioni di tipo comunitario [McLaughlin et al.1997], pubblicare sul web una propria pagina personale non ci dirà mai molto sulle motivazioni e le impressioni di chi l’ha visitata. La mancanza dell’elemento interattivo nella comunicazione via web è uno dei punti che vengono esposti per criticare alcune teorie sul ciberself e soprattutto alcune loro letture superficiali.
Wynn e Katz [1997], per esempio, fanno ragionevolmente notare che l’idea di un Sé variegato non è affatto nuova né originale, ma costituisce al contrario una nozione basilare della teoria sociale comunemente accettata. Allo stesso tempo contestano l’ipotesi che l’anonimato del mezzo di comunicazione elettronico possa consentire il controllo totale e assoluto del Sé da parte dell’individuo, che sfuggirebbe così all’influenza della società.
Attaccando esplicitamente i lavori di Turkle, di Stone e di Haraway, queste critiche si richiamano quindi alla riflessione sociologica fenomenologica e interazionista più classica [Berger e Luckmann 1966; Goffman 1959; Schutz e Luckmann 1973] per dimostrare come le dinamiche dell’interazione sociale in rete non costituiscano nulla di particolarmente nuovo rispetto a quanto hanno già avuto modo di osservare i più acuti sociologi di questo secolo. Le teorie postmoderne vengono bollate come ‘psicologismi’, troppo centrate su una dimensione di scelta e di costruzione individuale, incapaci di cogliere come sia la societa nel suo complesso, e non tanto il singolo individuo, il principale responsabile dei processi di costruzione dei fenomeni sociali stessi (è evidente qui anche il richiamo antiriduzionista alla sociologia durkheimiana). E ancora seguendo Durkheim e la sua monumentale opera sul suicidio [Durkheim 1897] che viene criticata l’idea della rete come possibilità di fuga dalla ‘prigione’ dei legami sociali tradizionali: i legami sociali costituiscono in genere risorse cui attingere e non limitazioni cui sfuggire a favore di una solipsistica adorazione di se stessi.
Critiche di questo tipo [Miller 1995; Whitley 1997; Wynn e Katz 1997] hanno l’indubbio merito di riportare il senso della misura tra le speculazioni spettacolari sui ?Sé virtuali? di cui si legge talvolta sui giornali e contribuiscono sicuramente a fare luce sui limiti degli approcci postmoderni troppo legati alla psicologia e alla psicoanalisi. Tuttavia prendendo visione della letteratura sorge il dubbio che accanto a oggettive differenze teoriche vi siano anche alcuni equivoci terminologici. Dove alcuni parlano di ‘identità’, altri parlano di ‘Sé’ e altri ancora di ‘persona’; molti usano questi termini quasi come fossero sinonimi. Pochi tentano di definirli esplicitamente e spesso si tratta di definizioni comunque generiche.
Le differenti convenzioni terminologiche non sono causate semplicemente da uno scarso coordinamento tra gli studiosi , ma sottendono in realtà un cambio di paradigma molto vasto. La difficoltà e l’insicurezza con cui usiamo certi termini non si risolvono con soluzioni convenzionali in quanto sono direttamente legate a una direzione di mutamento, nella quale ?vecchi? termini continuano a essere utilizzati per ‘nuovi’ fenomeni, dove il ‘vecchio’ e il ‘nuovo’ non sono definiti dal loro esistere oggettivo bensì dal rapporto che li lega con il mutare delle nostre forme di conoscenza.
Ritengo comunque utile preferire il termine ?persona? per indicare il complesso di pratiche di presentazione di un Sé specifico in rete. I concetti di ‘Sé’ e di ‘identità’ rimangono senz’altro più complessi e i loro rapporti con la tecnologia altrettanto interessanti. Riprendendo le teorie di Foucault, per esempio, si è parlato di ‘tecnologie del Sé’ come dei dispositivi, meccanici o di altro tipo, che rendono possibile la costruzione sociale dell’identità individuale [Aycock 1995]. Estendendo in termini ancora più generali il problema del rapporto tra identità e artefatti/tecnologia, Bateson [1972, trad. li. 1976, 157] scrive: “Supponiamo che io sia cieco e che usi un bastone. Cammino toccando le cose: tap, tap, tap. In quale punto incomincio io? Il mio sistema mentale finisce all’impugnatura del bastone? O finisce con la mia epidermide? Incomincia a metà del bastone? O alla punta del bastone?” La risposta a questa domanda è difficile in quanto il bastone, cioè lo strumento che permette al cieco di esplorare la realtà,
non è né fuori né dentro il suo sistema cognitivo [Mantovani 1998]. Il problema è che siamo tutti, in un certo senso, ‘ciechi’, perché tutti abbiamo bisogno di strumenti, materiali e cognitivi, per vivere, esplorare ciò che ci circonda ed esprimere un’identità, che quindi non può essere facilmente racchiusa entro confini precisi.

Tratto da:
L. Paccagnella, La comunicazione al computer, ed. Il Mulino, 2000, pp.209,

Riferimenti bibliografici all’interno del volume
Per gentile concessione dell’Autore e dell’Editore