La funzione pedagogica della legge

Quando si pensa alla Legge vengono di solito in mente frasi come La Legge è uguale per tutti o Dura lex sed lex, immaginando che siano questi i principi sui quali si fondano il Diritto e le Leggi; in effetti questi sono solo dei corollari dei veri principi che sono alla base del Diritto.

Per il nostro sistema giuridico i principi fondamentali sono quelli incisi sulla facciata del Palazzo di giustizia di Milano: Honeste vivere, neminem laedere, suum cuique tribuere. A questi va aggiunto un altro principio, che è quello dello Stare pactis.

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E’ di tutta evidenza che i principi di cui parliamo, prima ancora che un valore giuridico, hanno un valore etico e, pertanto, sono svincolati dai limiti spaziotemporali, essi sono validi in ogni tempo ed in ogni luogo. Essi non sono che una esplicitazione di bisogni-diritti che ogni essere umano sente propri: il diritto alla vita ed alla integrità fisica, il diritto alla libertà, il diritto alla proprietà. Essi, nel momento in cui sono stati riconosciuti e sanciti da una norma, diventano regole di vita civile, poiché ciò che è riconosciuto all’uno questi deve riconoscere agli altri.
Il Diritto rende chiara a tutti la dignità dell’essere umano, del cittadino e indica a ciascuno come fare perché questa dignità sia sempre riconosciuta e rispettata, come fare per vivere in una società sicura ed ordinata: honeste vivere, neminem laedere, suum cuique tribuere.
A questi principi si rifà la nostra Costituzione che, elencando i diritti dei cittadini, legittima le azioni esperibili per la loro tutela.
Honeste vivere non significa soltanto non commettere reati, significa rispettare tutte le leggi che regolano i rapporti fra i cittadini e fra questi e lo Stato, inteso anche come Pubblica Amministrazione (artt. 1 a 54 Costituzione).
Neminem laedere significa non soltanto non uccidere o non ferire, significa riconoscere l’altro come uguale, come portatore di esigenze, aspirazioni e diritti uguali ai nostri e, pertanto, rispettarne l’integrità fisica e morale, oltre che i beni (Codice penale).
Suum cuique tribuere non significa soltanto non sottrarre ad un altro le cose di sua proprietà ma, soprattutto riconoscergli tutti i suoi diritti.
Stare pactis, infine, significa tener fede agli impegni assunti dai cittadini fra loro, dai cittadini e lo Stato, dagli Stati fra loro.
L’apparato normativo che vige nello Stato altro non è che una particolareggiataesposizione dei principi di cui si è parlato finora, ma anche una descrizione del modo in cui i diritti vanno esercitati perché possano essere tutelati, una elencazione di comportamenti da tenere o non tenere, la previsione di una sanzione, nel caso di violazioni.
Lo Stato, quindi, attraverso le leggi insegna al cittadino le regole di comportamento, così come un educatore chiarisce all’educando le regole alla base dei rapporti personali e sociali. Infine l’apparato normativo, nella consapevolezza che l’essere umano è certamente un animale sociale, ma ha dentro di sé istinti che possono prevalere sulla ragione, affida ad un terzo super partes, il giudice, la risoluzione dei conflitti fra i cittadini, vuoi per evitare l’esercizio della vendetta privata, vuoi per garantire il rispetto dei diritti dei cittadini più deboli (per età, costituzione fisica, sesso, censo, cultura) che potrebbero essere
prevaricati dal più forti.
Nella nostra società moderna la dimensione pedagogica della legge non viene più vissuta e perciò l’apparato normativo che regola la vita dei cittadini è percepita come persecutorio ed oppressivo.
Certo vi è una sovraproduzione di leggi, anche tenendo in considerazione la complessità della vita moderna e ciò contribuisce non poco a dare, al cittadino, una sensazione di incertezza e di forte limitazione della libertà, ma è pur vero che per converso, vi è una sempre più forte richiesta di disposizioni che, specie in materia penale, regolino in maniera particolareggiata la convivenza sociale.
Molti cittadini, attualmente liberi da una serie di limiti che in passato erano generati da gravi problemi economico-sociali e da eventi bellici, ritengono che la loro sfera individuale ed i loro diritti privati siano più ampi di quelli che questa nostra società, così come è organizzata, loro riconosce; altri che, non volendo far valere i propri diritti con gli strumenti della giustizia civile, delegano allo Stato tale compito, richiedendo un intervento penale; altri infine, che si ritengono titolari di diritti, ma non di doveri e che pertanto richiedono più tutela di quanta non spetti loro.
A tutto ciò va aggiunta la lentezza dell’intervento della giustizia in ambito civile nonché l’estremo tecnicismo che gli operatori del diritto hanno acquisito, che porta spesso al rispetto della lettera della legge violandone però lo spirito. Ecco perché monta nell’opinione pubblica il bisogno di legge penale, di carcere e di repressione; ecco che l’altro non è considerato come titolare di diritti anch’egli, in quanto essere umano e cittadino e nei suoi confronti si invoca la gogna e l’eterna segregazione.
Nel momento in cui si mette in ombra la funzione pedagogica della legge la si utilizza soltanto come uno strumento di repressione, si fugge dalle proprie responsabilità e dalla libertà. Occorre che tutti, in particolare le persone chiamate a produrre le leggi, ad applicarle ed a sanzionarne le violazioni, ricordino che le norme non servono a regolare questioni contingenti, ma che esse debbono proiettarsi nel futuro ed a fare evolvere la società.
Occorre che tutti imparino a ragionare sulle leggi, sul loro significato e sul loro senso profondo, vigilare sulla loro corretta applicazione perché la regolazione del caso concreto non si discosti dallo scopo che la regola generale voleva raggiungere.
Il nostro ordinamento costituzionale ha previsto le forme di controllo che i cittadini possono esercitare, stabilendo che i processi siano pubblici, che le leggi siano emanate dai rappresentanti dei cittadini eletti al Parlamento, infine che gli stessi cittadini attraverso il referendum, possano far abrogare una legge non più rispondente al comune sentire della società. Questo sistema è democratico e, ancora una volta, insegna ai cittadini che è la volontà dei più a prevalere su quella dei pochi.
Ma non vi è democrazia nel pretendere con chiacchericci o urla, che il Legislatore emani leggi o le modifichi secondo le idee di pochi; bisognerebbe guardare alle leggi nate o abrogate in una tale situazione, solo per raccogliere consensi come a vere minacce per la democrazia. In materia penale, in particolare in materia penale minorile, è inaccettabile che si cerchi di forzare lo spirito delle leggi sull’onda di contingenze che, connotate da forti emozioni, ne impediscono un esame obiettivo e il reperimento di soluzioni adeguate e durature del problema.
La sicurezza sociale è un bene primario che si tutela meglio insegnando a tutti che bisogna rispettare le leggi. Bisogna impegnarsi per rimuovere le cause che possano fornire a chi delinque alibi che lo giustifichino di fronte a sé stesso, considerando la repressione e la segregazione come extremae rationes, specie quando si tratta di minorenni.
I ragazzi imparano la vita dagli adulti, hanno paura dei futuro e di sé stessi; la società deve aiutarli a superare queste paure prestando loro tutta l’attenzione che loro spetta (Convenzione di N.Y. 1989), spiegando il perché di concessioni e divieti, dimostrando concretamente, con l’esempio quotidiano e diffuso che il rispetto delle regole, di se stessi e degli altri è iI solo modo per ricevere rispetto: honeste vivere, neminem, laedere, suum cuique tribuere.
Non lasciamoli soli a combattere con la paura della vita e degli altri ma facciamo sentire a ciascuno quanto è prezioso ed unico ed irripetibile per la società tutta. Quando la famiglia, la scuola, i datori di lavoro, il territorio, in breve la società, avranno fatto ciò, solo allora potremo legittimamente emarginare il minore deviante.