La mediazione familiare nel contesto legale

Quando ho cominciato a occuparmi di mediazione familiare, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, in Italia, salvo pochi autori che hanno avuto il merito di portare a nostra conoscenza studi ed esperienze prevalentemente nordamericane, c’era poco altro.

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Esisteva però, forte e diffusa in un crescente numero di operatori, magistrati, psicologi, alcuni avvocati e, ovviamente, in tanti genitori separati, la sensazione di una procedura di separazione oggettivamente bellicosa, capace com’era di lasciare pesanti e duraturi strascichi di animosità, rancori, sentimenti di ingiustizia e danni permanenti alle relazioni tra genitori e tra genitori e figli.
Quando ancora non c’era il Telefono Azzurro, era il 1979, con i giudici minorili Moro e Battistacci, con il pediatra Nordio, la psicoanalista Renata de Benedetti Gaddini e il neuropsichiatra infantile Caffo, avevamo fondato l’Associazione Italiana per la Prevenzione dell’Abuso all’Infanzia. In quella sede, avevo perorato la causa dell’introduzione di strumenti pacifici nelle cause di separazione tra genitori, proprio per evitare il crearsi di abusi all’infanzia a causa delle guerre familiari.
Nelle mie intenzioni non c’era alcuna volontà di mettere in discussione “la sopravvivenza stessa del sistema giuridico”, ma di denunciare le storture di quel sistema, storture alle quali assistevamo ogni giorno come giudici, avvocati, psicologi e genitori. Quelle storture sono rimaste. Ce n’è memoria in migliaia di fascicoli processuali, ce ne è testimonianza nella vita di migliaia di bambini e genitori, ce n’è esperienza nel nostro lavoro di avvocati, psicologi e magistrati.
Ridurre la questione ad uno scontro tra chi vuole degiurisdizionalizzare del tutto il diritto di famiglia e chi questa prospettiva rifiuta, non mi convince del tutto, tanto più quando in questo scontro finisce con l’andar di mezzo la mediazione familiare che gli uni vorrebbero sostitutiva dell’intervento legale e gli altri vorrebbero modesta ancella del sistema legale stesso.
La mediazione familiare, almeno nelle intenzioni di alcuni di noi, non è né sostitutiva del sistema legale né sua ancella. La mediazione familiare ha oggi conquistato l’interesse di filosofi, sociologi, legislatori, operatori, stampa, televisione e, mi spiace dirlo, oltre a persone serie e competenti, sono sempre di più coloro che mi insegnano cos’è la mediazione familiare senza avere la benché minima esperienza pratica e la capacità di riflessione che sarebbero necessarie a chi pretende di essere maestro.

Riscoprire la responsabilità

Considero la mediazione uno strumento di pace essenziale per mantenere viva ed efficiente una democrazia, soprattutto perché fa appello alle componenti adulte e responsabili delle parti coinvolte.
Per quanto riguarda la mediazione in ambito familiare, occorre premettere alcune considerazioni.
La sopravvalutazione della famiglia come patria comune, la “voce del sangue”, i doveri di lealtà familiare, finiscono con il trasformare la famiglia nel luogo del “dovere”, delle relazioni imposte e burocratizzate, dei ruoli fissi e immutabili come maschere nel tempo. Se così vanno le cose, nella famiglia viene a mancare il piacere della scelta e dunque dell’amore, I cui vincoli – se non li si vuole mutare in veri e propri ceppi -dovrebbero essere sempre il frutto di una libera scelta.
I genitori nel momento in cui decidono di mettere al mondo un figlio, dovrebbero sapere che ciò comporterà un mutamento radicale nella loro vita, non fosse altro che per la necessità di assumersi una comune responsabilità di protezione dei piccoli e di promozione del loro potenziale di sviluppo.
Molto spesso la parola “responsabilità” evoca immagini plumbee: sacrifici, rinunce, limitazioni di libertà e via soffrendo. In realtà, molti padri e molte madri potranno confermare che la nascita di una figlia o di un figlio li arricchisce, aggiunge senso alla loro esistenza e consente di immaginare un futuro al di là dei limiti temporali della loro vita.
A proposito di responsabilità, nessuno ragionevolmente può considerare responsabile di alcunché un neonato: la sua totale dipendenza dagli adulti gli preclude ogni possibilità di scelta. Quella medesima totale dipendenza fa sì che una totale responsabilità ricada sugli adulti dai quali dipende il suo sviluppo fisico e psicologico e, più in generale, su tutti quegli adulti che con lui stabiliscono relazioni. Nel corso dello sviluppo il bambino conquista nuove autonomie, riduce la dipendenza iniziale, altre dipendenze si creano, si riducono e scompaiono, sempre più sarà un individuo che sceglie, che è responsabile, che sul bisogno d’amore cercherà di innestare una scelta d’amore.
La
famiglia è dunque anche questo: un luogo in cui apprendere a convivere con il contributo, con le differenze, dove imparare che la fertilità, – quanto, cioè di più vicino alla felicità l’essere umano possa conquistare in questo mondo – è possibile nella relazione tra diversi, che l’identità si conquista con il confronto e anche con l’opposizione, che non c’è nulla da temere nel riconoscersi differenti(1).

Mediazione e democrazia

Considero la mediazione familiare uno strumento necessario alla democrazia, non solo a quella familiare.
Agire oggi per difendere, realizzare, correggere la democrazia, presuppone una forte carica utopica perché si pensa e si agisce malgrado la realtà presente e contro le evidenze che non sono incoraggianti, perciò occorre studiare e sperimentare, nelle nostre relazioni private e pubbliche, tutte quelle forme di confronto e incontro tra le parti che servono a salvaguardare il valore del conflitto impedendo che esso si trasformi in guerra. Il conflitto è necessario e fertile ma può essere negato per quieto vivere oppure può trasformarsi in accanita battaglia tra nemici che tendono all’eliminazione del conflitto attraverso l’eliminazione dell’avversario.

Rafforzare la componente adulta

Tutto questo sembra evidente, ai limiti dell’ovvio. Ebbene, la mia esperienza di lavoro con genitori in guerra mi ha insegnato che responsabilità, democrazia, accettazione del diverso, diventano belle parole quando la vita ci mette alle strette. La mediazione familiare cerca di dare concretezza alle idee appellandosi alle componenti adulte dei genitori troppo spesso infantilizzati dalla logica di guerra (vittoria o sconfitta) e dalla delega della tutela dei propri interessi -individuali e cogenitoriali – ad avvocati, magistrati, forze dell’ordine, operatori psicosociali, famiglie d’origine, nuovi partner, eccetera. Quando parlo di “componenti adulte” e di “infantilizzazione” non intendo in alcun modo svalutare l’infanzia e sopravvalutare l’età adulta. Mi riferisco invece a quanto ho detto in precedenza parlando di responsabilità. I genitori sono – o dovrebbero essere – adulti autonomi (avere cioè in se stessi la norma del proprio comportamento), indipendenti (capaci cioè di sussistere e operare in modo autonomo e consapevole) e responsabili (consapevoli cioè delle conseguenze delle proprie azioni a breve, medio e lungo termine). Nei figli invece, autonomia, indipendenza e responsabilità compaiono gradualmente nel corso della crescita, anche grazie all’influenza di genitori adulti.

L’emergenza familiare

Vediamo, in estrema sintesi, come la mediazione familiare può essere utilizzata efficacemente nelle separazioni altamente conflittuali (cioè in presenza di interruzione del dialogo tra genitori e quando ogni altra forma di comunicazione è, di fatto, veicolo di ostilità) valorizzando le componenti adulte dei genitori.

La famiglia “intatta”

Semplificando al massimo una situazione complessa come quella familiare proviamo a isolare un’ipotetica “famiglia intatta”, un’unità di affetti e di interessi economici che si riconosca come tale e condivida dunque un comune progetto di sviluppo.
Una famiglia intatta è normalmente conflittuale essendo composta da diversi per sesso, età, esperienze di vita, cultura, sogni, desideri. Non mancano tensioni e bisticci, ma non manca nemmeno la ricerca del recupero e del mantenimento di un flusso equilibrato di relazioni tra i diversi componenti del gruppo familiare(2).

La famiglia “spezzata”

Quando le relazioni tra padre e madre si guastano al punto da non riconoscersi più in un progetto familiare comune, il conflitto tende a irrigidirsi e a trasformarsi in guerra: vittoria o sconfitta, amico o nemico, mors tua vita mea. Il forte squilibrio conseguente all’interruzione di relazioni costruttive e normalmente conflittuali tra padre e madre pone un indebito sovraccarico sui figli.

La mediazione familiare come intervento di emergenza

Qui può intervenire la mediazione familiare, che si presenta come intervento di emergenza tanto più efficace quanto più è tempestivo oltre che, com’è ovvio, messo in atto da operatori competenti.
Come dopo la piena di un fiume, per ristabilire le comunicazioni interrotte, si crea un ponte provvisorio, così, dopo una separazione, occorre creare una via di comunicazione tra madre e padre e attivare le loro risorse per ricostruire su basi solide e durature le loro relazioni post-separazione, alleggerendo in tal modo il sovraccarico che grava sui figli per la guerra tra genitori.

Dopo la separazione

La mediazione familiare è un intervento limitato nel tempo di straordinaria importanza come lo sono gli interventi di protezione civile. Tende a trasformare il vissuto di fine-del-mondo spesso presente nei protagonisti di una separazione bellicosa in vissuto di fine-di-un-mondo, apre cioè prospettive costruttive per il postseparazione, riattiva risorse individuali e comuni a entrambi i genitori e rimette in moto processi vitali che rischiano di spegnersi nella logica di muro contro muro.
I figli non hanno bisogno di un genitore vittorioso e di uno sconfitto, ma – salvo eccezionali casi di indegnità o di forza maggiore – di entrambi i genitori che continuano ad essere corresponsabili dei loro figli anche dopo la cessazione della relazione coniugale.

Cosa non è la mediazione familiare

Ritengo opportuno che la mediazione familiare mantenga la sua caratteristica di intervento di emergenza e non venga confusa con altri interventi pur apprezzabili ma con premesse e obiettivi ben diversi. In particolare, la mediazione familiare – non è psicoterapia, anche se un buon intervento di mediazione familiare può avere effetti terapeutici, come di solito avviene quando si riceve un aiuto efficace nei momenti di grave crisi. Infatti la psicoterapia può essere definita come un “processo interpersonale, consapevole e pianificato, volto a influenzare disturbi del comportamento e situazioni di sofferenza con mezzi prettamente psicologici, per lo più verbali, ma anche non verbali, in vista di un fine elaborato in comune, che può essere la riduzione dei sintomi o la modificazione della struttura della personalità, per mezzo di tecniche che differiscono per il diverso orientamento a cui si riportano”(3).
Se accettiamo questa definizione di psicoterapia, il mediatore, anche se provvisto di formazione ed esperienza psicoterapeutica di qualsivoglia orientamento, dovrà volente o nolente abbandonare certe sue abitudini professionali impegnandosi nel lavoro di mediazione (…). Infatti, molte volte è proprio l’abbandono dell’impostazione terapeutica o di consulenza familiare, unita al riconoscimento di dover gestire il conflitto facendo riferimento alla sua dimensione oggettiva e concreta, che consentono di sbloccare situazioni altrimenti troppo confuse per non risultare nocive ai protagonisti(4).
Malgrado una diffusa opinione, la mediazione familiare non è un mezzo per “risolvere” i conflitti né per stabilire chi ha ragione. Essa punta invece a mettere le parti in condizione di uscire da situazioni di impasse che le vede bloccate in stallo, ad evitare o ridurre gli effetti di un conflitto distruttivo; è indipendente dal sistema giudiziario. In particolare, anticipo qui il mio dissenso sulle proposte di “mediazione coatta”, cioè imposta dal giudice ai genitori: “(…) se una mediazione vuole davvero condurre a una reale assunzione di responsabilità, non potrà non svolgersi all’insegna del massimo rispetto della libertà propria e altrui (…). La mediazione richiede di non decidere per gli altri: gli antagonisti devono trovare essi stessi per loro stessi la (…) via di uscita dalla propria impasse”. Mediatore e genitori devono sentirsi in ogni momento liberi di porre termine al loro impegno nella mediazione familiare se la motivazione – per qualunque insindacabile ragione – viene a mancare.
Benché contrario alla “mediazione coatta”, sono invece molto favorevole a prevedere per legge la possibilità di usare questo strumento di pace, la definizione del profilo professionale del mediatore familiare e gli standard minimi della sua formazione. Almeno finché la materia della separazione e del divorzio sarà di loro competenza, mi auguro che i magistrati esigano una buona volta che sul loro tavolo arrivino proposte per il periodo post-separazione elaborate in comune dai genitori. Se i genitori potranno contare su qualificati servizi di mediazione familiare pubblici e privati sarà per loro un’opportunità che tuttavia non devono essere in alcun modo obbligati a sfruttare – non è un “negoziato” (anche se i genitori, nel corso della mediazione, hanno molte occasioni per negoziare tra loro), non è un “arbitrato” ma, soprattutto, non è consulenza legale, finanziaria, psicopedagogica o comunque tecnica. Il mediatore non è un consulente al quale rivolgere domande per ottenere risposte sui problemi che affliggono
e/o dividono i genitori. Il mediatore è invece un facilitatore, un animatore (o rianimatore) della comunicazione tra le parti. I problemi posti sul tappeto dai contendenti, possono essere di varia natura, e di solito aspetti affettivi, legali e finanziari sono intrecciati. Il mediatore darà il suo contributo aiutando le parti a lavorare attorno a uno o più di questi problemi (… ), ma non si sostituirà in alcun modo ad avvocati, giudici, medici, consulenti finanziari, psicologi e psicoterapeuti. La mediazione familiare punta in primo luogo alla responsabilizzazione delle parti, mira a fare sì che esse non si perdano di vista, conservino cioè una chiara percezione degli interessi comuni che sarebbe sciocco sacrificare in nome della vendetta.

* prima parte dell’intervento al Convegno “Famiglia in crisi: quali interventi?” A.I.A.R. (Assoc. Ital. Avvocati per la Famiglia e per i Minori) Milano, Palazzo di Giustizia, 13-14 giugno 1997. La conclusione dell’intervento verrà pubblicata sul prossimo numero di Pedagogika.it

Note bibliografiche:
1 F.Scaparro, Talis pater. Padri, figli e altro ancora, Milano1996, Rizzoli; F.Scaparro, Emergenze In famiglia, in: “Aduttità”, III, aprile 1996, 131-139.
2 Da qui in avanti – e più in generale sulla mediazione, non solo familiare – si veda l’ottimo lavoro di Stefano Castelli, La mediazione, Cortina, Milano 1996 e Talis pater di F.Scaparro, Milano1996, Rizzoli.
3 U.Galimberti, Dizionario di psicologia, Torino1992, Utet, 783.
4 Da qui In avanti, le citazioni si riferiscono – salvo altrimenti indicato – al testo di S.Castelli (v. nota 3).