La musicoterapia

La musica come elemento di carattere terapeutico ha avuto svariate forme di utilizzo a partire da epoche antiche. E’ sicuramente indiscusso che le onde sonore prodotte dai rumori e dai vari stumenti musicali, arrivano a colpire tutto il nostro corpo e non solo l’apparato uditivo.

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Questo significa che tutti siamo recettori ed immagazziniamo suoni, sia in senso positivo che negativo. La musicoterapia si preoccupa di utilizzare il suono e le varie forme sonore per migliorare lo stato psicofisico delle persone alle quali è applicata. Come le altre persone, anche i ragazzi svantaggiati hanno un loro curriculum sonoro. Il lavoro del musicoterapista all’interno della struttura di recupero è rivolto alla scoperta di input musicali per cercare un contatto positivo e, se possibile, evolutivo, dell’utente a carico. Solitamente è preferibile e più proficuo l’utilizzo della musicoterapia in campo preventivo. Riuscire ad applicare una terapia per tempo significa avere maggiori possibilità di successo, ed in vari casi, il reinserimento nella società. Le persone accolte nel centro di recupero hanno spesso passato molti anni senza l’apporto di questo tipo di terapia e solitamente la scoprono per la prima volta. Questo, però, non impedisce al musicoterapista di compiere un percorso di riscoperta ed utilizzo positivo delle esperienze sonore passate e la proposta di nuovi orizzonti sonori. Anche l’utenza considerata grave può e deve essere agevolata da questa terapia. La musicoterapia è spesso una delle poche attività che vengono proposte a questo particolare tipo d’utenza. Molti di questi ragazzi si ritrovano ad essere esclusi dalla maggior parte delle attività del centro per mancanza di requisiti e così
tendono ad isolarsi e perdono le poche possibilità che hanno di comunicare con l’esterno.
I soggetti gravi sono sovente ragazzi che non parlano, non camminano, muovono gli arti con difficoltà, autistici, cerebrolesi con forte ritardo mentale. Sicuramente non si può sperare in una guarigione miracolosa e la musicoterapia non fa miracoli, ma, anche solo per instaurare un contatto di breve durata e provocare un loro momento di benessere relazionale, tutto deve essere sperimentato.
La musica, a suo favore, ha il linguaggio universale e da tutti può essere colta e recepita. La sfida del musicoterapista è la scoperta della giusta nota di collegamento capace di donare un risveglio empatico alla vita di queste persone. Sulla base di questa realtà ci si è resi conto della necessità di offrire, attraverso discipline espressive, degli stimoli di carattere relazionale e, possibilmente, cognitivo comunicativo. La musicoterapia raccoglie in sé queste caratteristiche, diventando così strumento indispensabile rivolto alla possibilità d’interazione, di questa particolare utenza, con il mondo circostante. Per cercare di raggiungere questi obiettivi, anche se può sembrare un controsenso, si tende ad isolare il ragazzo in terapia, prediligendo un rapporto duale. In questo tipo di setting l’attenzione dell’utente e dello stesso terapista è rivolta unicamente all’attimo senza interferenze di vario genere. Si crea una sorta di empatia attraverso lo stesso rapporto diretto, aumentando la recettività e l’attenzione reciproca Altro elemento rilevante per la consolidazione di questo rapporto privilegiato è il luogo. Il laboratorio dove si svolge l’attività di musicoterapia di tipo individuale, è scelto anche in relazione agli elementi di distrazione esterna. Si cerca di isolarsi per avere l’opportunità di sfruttare una maggiore gamma sonora.
Con alcuni tipi di patologie (es. autismo), si predilige l’uso dell’acqua ed il suono che produce, percossa con vari materiali o anche solo con mani e piedi. E’ ovvio che questa fonte sonora non è molto intensa ma è rilevante la reazione che si percepisce nel ragazzo in terapia. Avere più silenzio possibile all’esterno del laboratorio significa più input sonori all’interno, significa maggiori possibilità d’instaurare un canale privilegiato di relazione. è opportuno, logicamente, che il laboratorio sia sempre lo stesso e senza cambiamenti interni di qualsiasi genere. Questo perché le distrazioni non sono solo uditive ma anche visive, e il cambiamento di setting influisce sulla terapia come gli agenti disturbanti esterni.

La ricerca delle microespressioni

La possibilità di avere un rapporto privilegiato in ambiente il più possibile idoneo alla musicoterapia, permette al musicoterapista l’attenta osservazione di ogni minimo cambiamento espressivo da parte dell’utente. Questi cambiamenti possono essere manifestati in modo chiaro e diretto, ma spesso sono il frutto di microespressioni. Il battito delle mani quando si ascolta un certo tipo di musica, il movimento degli arti (quando è possibile) e l’emissione di vari suoni vocalici, sono chiaramente manifestazioni di partecipazione. Ci sono, però, altre forme espressive che non sono sempre facilmente colte ed hanno rilevante importanza per arrivare ad instaurare una possibile relazione. Il ragazzo, mentre ascolta la musica proposta, può avere un lieve cambiamento della sua abituale postura, può muovere mani e piedi anche se non in modo evidente, può dare uno sguardo di traverso che potrebbe rilevarsi significativo, oppure semplicemente sospirare. Anche l’uso della voce è molto importante. Spesso questi ragazzi non parlano ed emettono solitamente suoni considerati stereotipati. L’attento ascolto di questi suoni nel trattamento musicoterapico, può cogliere lievi inflessioni che possono rivelarsi profique ai fini terapeutici. Scopo importante, legato a tutti gli altri, è quello di stabilire una comunicazione tra i fanciulli ed il mondo esterno. Ciò suppone che essi possano contemporaneamente percepirlo ed esprimersi… si tratta cioè di indicare loro dei mezzi per uscire da se stessi….
Per mezzo della musica si dà impulso soprattutto alla emissione della voce e all’udito che è il suo completamento. Il canto infatti è precedente alla parola. I bambini piccoli canticchiano o cantano molto prima di saper parlare. Ciò è naturale, poiché l’intonazione, la melodia, sono un fatto soprattutto emotivo, mentre la parola richiede una grande partecipazione dell’intelligenza…. Per ora posso dire che, quando il fanciullo comincia a modulare uno o due suoni e ad imitare modulazioni di questo genere, ha già fatto un primo passo verso l’apertura sul mondo esterno.
I ragazzi inoltre possono essere attratti dal suono o avere moti di repulsione. Possono cercare di coprirsi le orecchie o chiudere gli occhi, a volte anche sorridere. Le reazioni al suono e alla musica sono delle più disparate e anche una particolare attenzione non sempre basta alla completa e minuziosa osservazione. La ricerca di queste microespressioni è molto impegnativa e di maggiore difficoltà ne è l’interpretazione. Il musicoterapista deve con caparbietà percorrere questa via per arrivare tramite la musica ad aprire un possibile canale di relazione.

Il setting

Ho già esposto della necessità di un’attenzione particolare per l’utenza considerata grave e comunque sottolineo la specificità della stuttura del setting di laboratorio. Importante e necessaria è la sensazione di benessere che l’utente deve trovare nel locale adibito all’attività. Si deve creare una condizione di ambiente protetto e familiare pur facendo attenzione a non introdurre nel setting elementi disturbanti. Necessario è anche non cambiare significativamente e più volte l’arredamento del locale. Ci deve essere un continuum di conoscenza e ritrovamento caratterizzante l’ambiente. I materiali consigliati sono l’utilizzo dello stumentario Orff e di strumenti musicali di vario genere, un lettore C.D. per l’ascolto di musiche e vari materiali per relazionarsi con l’utente.
Per quanto riguarda il setting operativo, gli obiettivi generali a cui mira il laboratorio sono: favorire una condizione di benessere, instaurare un canale privilegiato di comunicazione e relazione, sollecitare una situazione di autostima, favorire uno stato di rilassamento, diminuire l’ansia di prestazione, proporre interventi di carattere educativo, integrare attività riabilitative, proporre attività cognitive attraverso il rispetto di regole. Questi obiettivi sono di carattere generico, ogni specifico intervento prevede l’eventuale raggiungimento di alcune di queste potenzialità, scegliendole sulla base delle specifiche peculiarità dei casi in questione. L’attuazione di questi obiettivi viene applicata in un setting operativo che tiene conto delle varie scuole di pensiero arrivando a suddividere l’attività in tre momenti fondamentali.
Espressione corporea: tramite l’uso di musiche con forte carattere ritmico viene sollecitata l’espressività corporea attraverso la realizzazzione di movimenti liberi e coreografici. Questo permette di entrare nel vivo del setting favorendo un clima di accoglienza.
Fase cognitiva: attraverso l’utilizzo dello strumentario Orff e di oggetti sonori artigianali, si sollecita una partecipazione attiva per favorire la ricerca di potenzialità nascoste. Recupero e rilassamento: quest’ultima fase è caratterizzata dall’ascolto di musiche che favoriscono il ristabilirsi di una condizione di recupero dell’energia utilizzata nelle fasi precedenti e l’instaurarsi di uno stato di benessere. Il setting è un elemento importante e va pensato e preparato con la massima attenzione per permettere alla musica di esercitare pienamente il suo ruolo nella vita quotidiana di questi ragazzi, come espone significativamente T.Hirsch: “Oltre alla passione per la musica, io ho una particolare curiosità per quest’arte che, fin dalle origini della storia dell’uomo, è stata considerata come un fluido capace di guarire, secondo le testimonianze dei Greci, degli Arabi, degli Ebrei, degli Indù. Anche le culture africane e quella, per la storia nostra, del Medioevo, ci offrono esempi del potere magico del suono e del ritmo. La musica, inoltre, è un’arte completa, che esercita un ruolo importante nella vita quotidiana, e che fa appello a tutte le nostre facoltà”.

*musicoterapista

Bibliografia
J.Alvin, La terapia musicale per il ragazzo autistico, Armando, 1981
T.Hirsch, Musica e rieducazione, Armando, 1967
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Franco Angeli, 1995
G.Bianchi, Educazione col suono e con la musica, Essegiemme, 1985