“Lo ha detto la televisione”

Quali sono gli effetti della tv sui bambini? Il risultato di un’indagine in una Scuola Elementare della provincia di Milano.

Il medium “televisione” più autorevole della parola scritta. La fiducia nel messaggio filmato e l’emulazione.

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Televisione: compagna di giochi e coadiuvatrice nella crescita, o mostro tecnologico freddo e omologante?
Il dibattito è aperto e da più parti oramai si assiste alla continua bagarre che ha visto scendere in campo sociologi, filosofi, pedagogisti, insegnanti, sacri guru del medium televisivo, tutti animati dal primordiale desiderio di rivalsa sugli altri, a dispetto della ragione e dell?evidenza. A farne le spese ancora una volta sono loro: i bambini.
In questi ultimi anni gli unici studi organici, tesi a verificare il reale “grado di dipendenza e omologazione comportamentale” nel rapporto tra medium televisivo e bambini, sono stati svolti negli Stati Uniti, per essere successivamente esportati ed adattati ai singoli casi nostrani.
Lo studio che in sintesi propongo qui di seguito rappresenta un serio tentativo di personalizzare e caratterizzare il fenomeno, circoscrivendolo alla nostra realtà.
La ricerca, i cui risultati sono stati integralmente pubblicati(1), è stata condotta con la supervisione dei professori Emanuele Ronchetti ed Emilio Mazza – entrambi docenti di Storia della Filosofia presso l’Università Statale di Pavia – su di un campione di 332 bambini di età compresa tra i sei e i dieci anni, della Scuola Elementare Anna Frank di Rho (Milano).
Gli obiettivi dello studio sono stati: “misurare” l’impatto emotivo della televisione nei ragazzi esposti al suo influsso e stabilire il reale fattore di influenza della televisione a livello comportamentale e di fiducia nell’informazione.
Ai bambini, suddivisi in due sottogruppi, sono stati mostrati due telegiornali appositamente registrati per l’occasione per poterne successivamente valutare l’impatto. I due reportage di cronacha mandati in onda, entrambi della durata di trenta minuti, riguardavano la costruzione di un nuovo centro commerciale al posto della scuola. In un caso si è inoltre aggiunto che tutti gli studenti sarebbero stati smistati in altre scuole del circondario di lì a due anni. Al secondo gruppo è stato invece fatto credere che si sarebbero trasferiti tutti quanti in un’altra scuola entro la fine dell’anno scolastico. I bambini di entrambi i gruppi erano propensi a credere alla rispettiva versione dei fatti giornalistici loro presentati, per il solo fatto che era stata la tv a riferirli. A questo punto è stato sottoposto ai due gruppi di bambini un manoscritto sotto forma di libro vero e proprio, che smentiva entrambe le versioni dei fatti in precedenza comunicati dalla televisione.
Il risultato è stato che solo il 19% dell’intero campione ha crededuto alla versione scritta della stessa informazione, mentre il resto del campione ha continuato a credere alle notizie comunicate dalla tv, nell’una o nell’altra versione fornita. Sui due gruppi sono stati misurati gli effetti della violenza indotta ed è stato testato concretamente quanto radicato fosse il messaggio televisivo interiorizzato dai due gruppi.
Per completezza di informazione va ricordato che entrambi i telegiornali sono stati realizzati con tecniche e mezzi elementari, senza l’aiuto di alcuna immagine o situazione spettacolare. Anche in questo caso la previsione non è stata smentita. I due gruppi, mostrando un atteggiamento molto aggressivo l’uno nei confronti dell’altro, hanno sostenuto la propria versione dei fatti, attaccando molto duramente, a livello verbale e in taluni casi ricorrendo anche alle mani, i compagni del gruppo opposto.
Il secondo esperimento ha invece più propriamente inteso verificare se esista davvero una correlazione diretta tra violenza trasmessa dalla televisione e quella innescata nei soggetti più giovani esposti al suo influsso e se questo tipo di relazione esista anche nel caso di un messaggio non violento.
In due fasi successive e distanziate nel tempo, abbiamo sottoposto i bambini, per più pomeriggi consecutivi e per più ore, ogni volta ad una programmazione televisiva operata ad hoc.
L’esposizione al medium televisivo si è verificata durante l’arco di due settimane per un’ora al giorno. Si è poi proceduto ad una fase di “decantazione” di un mese, prima di esporre nuovamente i ragazzi ad un’altra programmazione con le stesse modalità e tempi della prima volta.
Nel primo caso è stata loro mostrata una serie di cartoni animati e telefilm dove erano presenti in notevole percentuale atti di violenza palese e incitamento all’azione. Nella seconda tornata abbiamo invece fatto l’esatto opposto, trasmettendo un’intera serie di cartoni animati e telefilm dove i messaggi predominanti erano amore, amicizia, affetto, invito alla solidarietà e così via.
L’intenzione era di verificare se – come dimostrato da altre ricerche internazionali, come ad esempio quella di Charles S.Clark (2) – solo gli aspetti violenti avessero presa sul subconscio del bambino. I risultati sono stati molto divergenti. In effetti, subito dopo la messa in onda della programmazione “violenta”, soprattutto nei maschietti, si è verificato una sorta di risveglio collettivo che ha portato ad emulare le gesta, verbali o d?azione vera e propria, dei personaggi che avevano popolato i cartoni animati o i telefilm trasmessi poco prima.
Mentre l’ambiente esterno, le figure autoritarie, hanno mantenuto un atteggiamento neutrale, né di repressione o controllo né tantomeno di invito alla violenza o compiacimento, procedendo con la visione dei programmi, le reazioni aumentavano per intensità e durata, coinvolgendo in parte anche le bambine del gruppo.
Nel secondo caso, di fronte a una programmazione “non violenta”, le manifestazioni evidenti, diffuse sia tra bambini che bambine, sono state soprattutto di natura verbale molto pacata (di solidarietà nei confronti del protagonista, un’azione “buona”, o di disapprovazione nei confronti del “cattivo”), o emotiva (lacrime e pianto). Il protrarsi dell’esperimento per le due settimane non ha dato particolari dati di rilievo, soprattutto per ciò che riguarda l’intensificarsi delle reazioni e la loro durata. A distanza di tempo dalla messa in onda delle trasmissioni è stato verificato il grado di memoria dei contenuti delle trasmissioni e dei messaggi contenuti a livello latente o palese. I risultati in questo caso sono stati divergenti e sorprendenti. Il messaggio “violento” o “d’azione” aveva lasciato nei bambini un ricordo vivido ed acceso: è bastato ricordare loro un personaggio o un momento di particolare suspence per scatenare in loro reazione molto vivaci e aggressive.
La risposta alla sollecitazione attraverso il ricordo di immagini non violente è stata molto più pacata. Si è comunque evidenziato che se i bambini vengono seguiti e sollecitati di continuo, anche i messaggi “buoni” possono condizionare il loro comportamento. L’operazione ha richiesto molta pazienza e tempo, ma alla fine si è potuto stabilire con assoluta certezza che anche un messaggio “buono” può penetrare il subconscio del bambino.
I bambini sono stati sollecitati singolarmente per misurarne il grado di reazione in presenza di estranei. In questo caso si è potuto vedere come tutti i maschietti di età compresa tra i sei e gli otto anni non dimostrassero alcuna inibizione nei nostri confronti, e che addirittura il 73% dei bambini in esame non ha avuto remore nel proporre un comporatamento violento a fronte della sollecitazione. Questa percentuale è invece caduta al 39% nel caso di bambini tra gli otto e i dieci anni. Si è invece notato come, nel caso di una sollecitazione “nonviolenta”, solo il 23% dei bambini, comprese quindi anche le bimbe, hanno risposto in modo positivo, mentre la restante fetta ha dimostrato una gamma di sentimenti che andavano dall’indifferenza, al semplice commento verbale pacato, all’incomprensione del messaggio di fondo contenuto nella programmazione televisiva.

Note
1) C. Dramis, Il monito di Orwell nel pensiero di Popper, Arcipelago, coll. Linee, Milano, 1998.
2) C.S. Clark, A Study on Television Violence on Children, Center for Media and Public Affairs, University of California, USA, 1992.