Lo spirito della scienza

Intervista a Marcello Buiatti

La scienza di oggi con i suoi cambiamenti vorticosi e con le sue innumerevoli e “strane” applicazioni, dà una sensazione di ignoto e di magico

Professor Buiatti siamo, secondo Lei, oggi in un periodo di “sfiducia  nella ragione” e di fronte ad una “crisi della scienza” che richiede una concezione scientifica diversa dal passato nei confronti della vita? E’ questa la “scienza della complessità” di cui dibatte oggi il mondo scientifico?

Non direi che ci sia sfiducia nella ragione. Penso piuttosto che lo “spirito del tempo”, fondato sulla rimozione sia del passato che del futuro, su una strana convinzione di immortalità, sulla vita vissuta minuto per minuto in azioni non collegate fra di loro, influisca negativamente sul pensiero. Che è, al contrario, basato sul collegamento di dati, concetti, nozioni e sulla piena coscienza della dinamica e della storia. Direi anche che è sbagliato contrapporre una “scienza della complessità” ad una “scienza della semplicità”. Io direi invece che sono stati proprio i progressi compiuti con i metodi di indagine scientifica moderni, che ci hanno permesso di conoscere dettagliatamente i componenti dei sistemi naturali e quindi anche di quelli viventi, dandoci così gli strumenti

per comprendere poi che i sistemi reali non sono conoscibili solo attraverso quella via, ma necessitano anche di altri strumenti, ora in via di sviluppo. Questi nuovi strumenti concettuali, ma anche sperimentali, tengono conto della esistenza delle interazioni fra elementi e della imprescindibilità della inclusione della categoria tempo (della dinamica) per la acquisizione di un livello di conoscenza che tenga conto della diversità fra le macchine e la vita. Ciò nel senso che la vita usa proprio la sua capacità di versatilità e plasticità per restare tale, adattandosi e cambiando programma continuamente mentre le macchine non possono che degradare il loro progetto fatto una volta per tutte da un essere umano. Non c’é quindi contraddizione di sorta fra metodo “riduzionista” e scienza della complessità perché il primo è necessario per ottenere dati senza i quali gli strumenti della seconda non avrebbero materia su cui lavorare. Il problema semmai si pone quando qualcuno trasforma il metodo riduzionista in ideologia. Mentre infatti dal punto di vista metodologico è giusto dire che un sistema complesso si studia meglio analizzando le parti una ad una indipendentemente, è profondamente sbagliato dire che le parti sono indipendenti anche quando sono insieme. Fare questa ultima affermazione significa essenzialmente equiparare un sistema vivente ad una macchina mentre solo in quest’ultima lo stato di ogni singola parte non dipende dallo stato delle altre. Se infatti si leva un componente ad una macchina, questo, staccato, resta identico a come era inserito nella macchina. Tanto è vero che è possibile ricostruire la macchina, se se ne conosce il progetto, riassemblandola . Se invece si toglie una parte ad un essere vivente, mettiamo un occhio ad un uomo, la parte staccata muore e il resto del corpo ferito cambia notevolmente, in parte per cercare di riparare, il danno in parte perché l’uomo vede da un occhio solo.

Ci sembra abbastanza diffusa l’impressione che la nostra società, malgrado il suo incredibile sviluppo, abbia tuttavia paura della scienza. Secondo Lei da dove origina questa paura? Quali le responsabilità degli scienziati?

La maggiore fonte di paura per tutti noi è la sensazione dell’ignoto, dello strano, dell’inconoscibile che non è possibile valutare, prevedere e quindi controllare. La scienza di oggi, con i suoi cambiamenti vorticosi ed inaspettati e con le sue innumerevoli e “strane” applicazioni, dà una sensazione di ignoto e quindi di “magico”. Non a caso la gente si divide fra chi crede che gli scienziati siano “maghi buoni” e chi invece li vede come “maghi cattivi”. Gli scienziati sono in parte notevole colpevoli di questa situazione in quanto molti di loro si presentano veramente come maghi, promettendo continuamente “rivoluzioni” di natura tecnica capaci di salvare l’umanità. Questo succede da un lato perché può essere piacevole per alcuni essere visto come mago buono, perché è coerente con l’entusiasmo e direi quasi la fede nel proprio lavoro che ha chi opera in campo scientifico ed anche perché rende più facile la raccolta di danaro per nuovi programmi di ricerca e la brevettazione dei primi risultati. I mezzi di comunicazione di massa amplificano a dismisura queste posizioni sia perché vendono meglio la propria voce dando notizie sensazionali sia per coerenza della posizione dominante del nostro tempo che, magari delusa della politica, assegna alla tecnica il ruolo di salvatrice.

Al di là del dibattito a volte superficiale dei media e dei giornali, a proposito di “clonazione terapeutica” e di “clonazione dell’individuo”, non è che molte preoccupazioni esistano già nello stesso mondo degli scienziati?

I due tipi di clonazione sono molto diversi. Nel primo caso si tratta solo di far riprodurre cellule uguali per usare poi il tessuto derivato come sostituto di una parte malata del nostro corpo. Nel secondo caso invece si tratta di inserire un nucleo e cioè il patrimonio genetico di una cellula adulta in un uovo fecondato a cui sia stato tolto il DNA, inserire il prodotto in utero e fare sviluppare un essere umano con il patrimonio genetico del “donatore”. Per quanto riguarda la clonazione terapeutica il problema è quello di farla riuscire e anche di impedire che il tessuto impiantato proliferi in modo non controllato dando eventualmente un tumore. Personalmente penso che la seconda pratica invece non vada proprio fatta per la semplice ragione che l’individuo clonato, come Wilmuth, il creatore della pecora Dolly ha dimostrato osservando gli animali finora prodotti, non starà bene. Questo deriva dal fatto che i nuclei delle nostre cellule adulte hanno normalmente una parte dei geni bloccata e generalmente anche modificata per cui sono in grado di riprodurre bene il tessuto da cui provengono, ma non un individuo intero. Del resto la clonazione riproduttiva non potrebbe comunque raggiungere il risultato sperato per il fatto stesso che gran parte delle caratteristiche individuali degli esseri umani sul piano comportamentale, emotivo, affettivo ecc. non sono determinate dai geni ma dalla storia personale. E infatti il nostro cervello si organizza essenzialmente su stimoli dopo la nascita e cambia continuamente organizzazione fino alla morte proprio in risposta a segnali che vengono dall’esterno e soprattutto dagli altri esseri umani. Per cui il mio clone non sarebbe mai me stesso, ma una persona malata e con caratteristiche umane nettamente diverse da me .

E’ lecito, secondo Lei, usare embrioni umani per trovare nuove cure a terribili malattie? E ancora, considera legittimo vietare la ricerca sulle cellule staminali embrionali, come vorrebbe la Legge 40 sulla procreazione assistita? E’ giusto fermare la scienza?

La scienza si può e si deve fermare quando gli esperimenti arrecano danno agli esseri umani su cui vengono condotti. Ad esempio ovviamente, i medici nazisti che uccidevano gli ebrei con le loro sperimentazioni vanno assolutamente condannati. Tuttavia l’ovulo fecondato, che è tutt’altra cosa da un embrione essendo incapace, se non impiantato nell’utero, di dare origine ad un organismo umano, dal punto di vista scientifico non può essere considerato una persona. Le cellule che ne derivano saranno quindi utilizzate non per produrre un nuovo individuo, ma per dare origine ad un tessuto con i metodi e gli scopi che ho sommariamente descritto rispondendo alla domanda precedente. Le staminali embrionali e le staminali adulte hanno ambedue vantaggi e svantaggi ed è per questo che non si vede perché fermare la ricerca in ambedue i casi, dato anche che suscita speranze, ma è ancora agli inizi e necessita ancora anni ed anni di lavoro. Non sappiamo quali né quanti risultati si potranno veramente ottenere proprio perché non siamo maghi, ma ricercatori che ancora non sanno cosa troveranno. Da questo punto di vista secondo me, nuoce all’ immagine della scienza chi, magari in buona fede, dà fin da ora una serie di risultati come acquisiti e promette di salvare milioni di persone. La speranza c’è, ma davvero nessuna certezza proprio perché la scienza, a differenza della fede, non dà certezze ma verità parziali e risultati della sperimentazione.

E’ secondo Lei pensabile che, in un prossimo futuro, una nuova vita umana possa essere valutata così a fondo da poter conoscere, con largo anticipo, quali malattie potrà sviluppare nel corso della sua esistenza e quale potrà essere la sua speranza di vita?

Direi proprio di no perché il numero di malattie che sono determinate dai geni in modo univoco è alto (vedi ad esempio il morbo di Huntington o la talassemia) ma enormemente più frequenti sono le cause di malattie e di morte la cui incidenza dipende in modo determinante dalle storie di vita che, ovviamente non sono prevedibili a priori. Bisogna anzi sfatare la equivalenza di una predizione in termini di probabilità e la certezza nel senso che, anche dire ad una persona che ha, mettiamo una probabilità di contrarre un particolare tipo di tumore dell’80%, non significa in alcun modo dirgli che lo avrà senz’altro e tantomeno che ne morirà dato che al giorno d’oggi di tumore si può veramente guarire.

Considerato lo “sprint” della ricerca scientifica e la difficoltà con cui si muove oggi la formazione dei docenti e la didattica, quale visione del mondo vivente, secondo Lei, la scuola riesce a trasferire? Quale contributo, dal punto di vista pedagogico, può portare oggi ai giovani una formazione scientifica seria nei contenuti e nel metodo?

Io credo che, come sempre, anche adesso la scuola abbia non solo la funzione di apprendimento ma anche un ruolo profondamente educativo. Sarebbe molto importante quindi che vi fosse insegnata la nuova Biologia che ha sfatato la visione meccanica della vita che ancora domina purtroppo nei mezzi di comunicazione di massa e nello spirito
del tempo attuale. Questo perché i nostri comportamenti sono fortemente influenzati dalla concezione che abbiamo di noi stessi. Per fare un esempio che traggo dal mio campo di lavoro , dire che siamo completamente determinati dai geni implica anche affermare che se uno di noi è un assassino non è colpa sua perché gli sono capitati i geni dell’assassino. Inoltre una affermazione di quel genere apre la strada alla selezione “del migliore” che, data la struttura delle società umane, tende ad essere sempre quello che al momento comanda, mentre nell’adattamento e nella evoluzione della vita non vince il migliore in assoluto, ma chi è tanto plastico da riuscire ad adattarsi a diverse condizioni. Infine, inevitabilmente dire che tutto dipende dai geni ci porta a pensare che le caratteristiche etniche siano anch’esse determinate da geni ed a risvegliare orrende concezioni razziste. Detto questo , mi rendo conto che non è per niente facile per la Scuola italiana, date le terribili condizioni in cui versa, aggiornarsi non solo sulla scienza, ma anche sulle implicazioni che le concezioni scientifiche hanno a livello individuale e sociale. Siamo infatti in un momento storico in cui la scienza dell’immaginario scientifico propagandata come ho detto dai mezzi di comunicazione di massa, ma anche da molti scienziati che amano sentirsi maghi per varie ragioni, è molto diversa dalla realtà della scienza attuale. Gli stessi libri di testo e non solo della scuola, sono arretrati, a basso contenuto di conoscenza e tutti pervicacemente mono-disciplinari  come a formazione mono-disciplinare è la stragrande maggioranza degli insegnanti. Detto questo, non è davvero il caso di rinunciare, anche perché facendolo la scuola abdicherebbe al suo ruolo maggiore. Si tratta di costruire percorsi didattici che siano veramente interdisciplinari, di fare sì che l’aggiornamento sia basato sulla discussione dei percorsi, piuttosto che su serie spesso defatiganti di lezioni frontali da parte del sapiente universitario di turno, di collegare le nozioni scientifiche alla discussione del loro effetto educativo per gli insegnanti stessi e per gli alunni, di cambiare continuamente cercando di stare al passo non solo con il libri, ma con le discussioni che agitano il nostro Mondo e che vertono sempre più spesso  su argomenti scientifici. Si tratta infine di evitare lo sbandieramento di opinioni contrapposte ma di ascoltarle ambedue in modo da essere in grado di criticarle e di trasmettere quindi una visione del mondo non apodittica, ma critica alle ragazze ed ai ragazzi che stiamo formando.

Professore Ordinario di Genetica

Università degli studi di Firenze