Mediazione familiare: quale formazione?

Chi come l’Associazione GeA da più di dieci anni si occupa di mediazione familiare guarda con particolare soddisfazione alla diffusione che la pratica ha conosciuto in questo periodo e al numero sempre crescente di servizi di mediazione avviati o in fase di progettazione in tutto il Paese.

L’aumento progressivo delle separazioni coniugali (62.000 circa nel 1998) ha posto con urgenza la necessità di offrire interventi di aiuto specifico alle coppie in separazione; inoltre, l’alto numero di figli coinvolti nelle separazioni (circa 100.000 nel 1998) ha sviluppato una maggior sensibilità rispetto al rischio dei danni, spesso difficilmente rimediabili, arrecati da conflitti coniugali devastanti.
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In questa situazione un merito particolare va alla Legge Turco 285/97 (“servizi di sostegno alla relazione
genitori-figli”) che ha valorizzato esplicitamente la mediazione familiare come intervento utile alla coppia di genitori per essere protagonista della separazione e raggiungere autonomamente accordi soddisfacenti per sé e per i figli, per prevenire il danno provocato nei bambini dalla cessazione del dialogo tra gli adulti e dalla rinuncia al ruolo dei genitori, per tutelare i figli attraverso un accordo di separazione che tenga conto dei loro bisogni fondamentali.
Se da un lato, quindi, di mediazione si parla sempre di più e i mediatori si fanno sempre più numerosi, dall’altro si pone con urgenza il problema di garantire a chi se ne occupa una formazione specifica, organizzata da scuole accreditate per esperienza consolidata, rigore metodologico e qualificazione dei docenti. Per questo, nella realtà italiana, dove accanto a esperienze operative serie e scrupolose, stanno nascendo operazioni spericolate e spregiudicate di riciclamento, è indispensabile tutelare gli utenti e gli operatori più seri e meglio formati, garantendo standard minimi di alto livello per la formazione dei mediatori familiari.
L’Associazione GeA ha organizzato i primi corsi di formazione nel 1989, proponendo fin dall’inizio un percorso di notevole impegno: c’è sempre stata la convinzione che, data la delicatezza e la complessità del tema, mediatori non ci si può improvvisare o riciclare anche da parte di chi in precedenza si è già occupato di famiglie in difficoltà. I corsisti, dal canto loro, hanno contribuito a rinforzare questa convinzione: la richiesta di formazione in questi anni si è strutturata sempre meglio, portando con sé aspettative e motivazioni ben definite.
La proposta di formazione si caratterizza, quindi, su qualità ritenute irrinunciabili:
-formazione rigorosa nei metodi, verificata in itinere e supervisionata alla fine;
– formazione garantita dalla competenza dei docenti, competenza non derivata dalla conoscenza teorica seppur approfondita della materia, ma garantita da pratica reale e a lungo sperimentata della mediazione familiare;
– formazione rigorosa nei contenuti, quindi esclusivamente riferita alle caratteristiche specifiche della mediazione familiare, senza sconfinamenti o divagazioni di comodo in altre pratiche (terapia, consulenza, ?);
– formazione riservata solo a operatori (psicologi, assistenti sociali, educatori laureati, psichiatri e neuropsichiatri infantili) in possesso dei requisiti di accesso richiesti perché l’aula di formazione sia un luogo di apprendimento reale, di partecipazione attiva di tutti e di arricchimento reciproco;
– formazione che rispetta e valorizza precedenti esperienze professionali, ma è in grado di fornire una competenza nuova chiaramente caratterizzata.
Tutto l’iter della formazione, 30 giornate suddivise in 15 moduli di due giornate consecutive per un totale di 180 ore, è finalizzato all’acquisizione di nuove conoscenze e abilità, come tutti i processi formativi, ma non trascura l’obiettivo di far maturare anche nuovi atteggiamenti.
Un compito arduo aspetta chi vuole formarsi alla mediazione familiare: dovrà imparare a mettersi a fianco dei genitori per aiutarli a capire i loro bisogni e a trovare autonomamente le possibili soluzioni; dovrà essere capace di mantenerli adulti e responsabili in ogni fase della separazione; sarà colui che li guiderà alla scoperta di nuove risorse personali per riorganizzare la vita dopo la separazione. Soprattutto la formazione deve preparare il mediatore a ricoprire un ruolo difficile e importante nello stesso tempo: quello di assumere temporaneamente la rappresentanza del bambino, non certo per sottrarlo alla responsabilità dei genitori, ma per portare in primo piano, nel momento di crisi più grave, i suoi reali bisogni, i suoi punti di vista, le sue domande, restituendo però subito ai genitori la ricerca delle soluzioni e dei rapporti possibili e validi per quella coppia e quel bambino.
Nelle giornate di formazione docente e allievi, insieme, lavorano per costruire una nuova figura di operatore: neutrale, ma capace di empatia e di ascolto; autorevole nel far rispettare i patti impliciti nella mediazione, ma flessibile e attento alle caratteristiche della coppia di genitori che ha davanti; ottimista, ma con l’ottimismo della ragione; realista, cioè in grado di valutare obiettivamente la mediabilità della coppia; sufficientemente sicuro di sé da saper accettare il fallimento di una mediazione; concentrato sulle relazioni future, quindi immune dal rischio di indagini nel passato; disposto a mettere da parte l’abituale ruolo di esperto per diventare animatore di risorse altrui.
La formazione proposta dall’Associazione GeA procede in questo percorso con gradualità, coinvolgendo fin dall’inizio i corsisti in simulazioni e ruoli attivi per inserirli quanto prima nel contesto specifico della mediazione familiare, lasciando ampi tempi di riflessione e di rielaborazione autonoma tra un modulo e l’altro; sempre e comunque ai corsisti si richiede al disponibiltà a mettersi in gioco personalmente, ponendo in discussione ruoli e identità professionali acquisiti nel tempo, relazioni con colleghi consolidate negli anni, atteggiamenti e riferimenti culturali. La formazione, infatti, vuole essere anche un momento nel quale gli allievi riflettono con strumenti nuovi sul proprio lavoro e sul proprio modo di pensare rispetto alla separazione.
Si intende questo quando, tra gli obiettivi della formazione, viene indicata anche l’acquisizione di nuovi atteggiamenti e di conseguenza di una nuova cultura della separazione: il buon mediatore è colui che fa propria e trasmette all’esterno, con il suo modo di pensare e di fare, una diversa cultura della separazione. In questa cultura la separazione è la fine di un mondo, non la fine del mondo; è il fallimento di un progetto di vita, non di se stessi interamente; è un conflitto che può essere devastante, ma che è anche possibile contenere per far emergere risorse nuove; è un’esperienza potenzialmente distruttiva, ma può diventare l’occasione per costruire nuovi e positivi rapporti. Almeno seicento persone in questi anni hanno frequentato le aule dell’associazione per corsi destinati ai futuri mediatori o per iniziative di sensibilizzazione e aggiornamento: grazie anche al loro impegno è stato possibile far conoscere e apprezzare l’utilizzo di uno strumento di pace nel campo, troppo spesso, di battaglia della separazione tra genitori.