Metafisica, etica, pedagogia dello sport

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Le cose belle sono difficili

(PLATONE, Repubblica 435c)

Introduzione

La pedagogia autentica, intesa alla promozione della persona, ha come oggetto di studio l’uomo, centro di creatività e “concentrato di responsabilità” (VERZÉ, 2002, p. 18); tende a costituirsi come “scienza dell’educabilità umana”, come discorso sull’“intero educativo” (VICO, 2002, p. 83); presuppone una “filosofia dell’azione”, una “teoria analitica dell’azione”, cioè una integrazione di filosofia analitica, epistemologia ed ermeneutica (RICOEUR, 1990, pp. 93-94; cfr. BECKERS, 1996, pp. 203, 219).

Riflettere sul potenziale educativo dello sport significa comprenderne il fondamento metafisico ed etico. Ciò implica una riflessione sulle strutture della pedagogia dello sport, in particolare filosofia ed epistemologia. La pedagogia dello sport, secondo quanto afferma Peter Röthig, può essere definita come una scienza che integra tre livelli: teoretico, tecnico e pratico. La ricerca pedagogica, qui limitata all’etica dell’educazione in ambito sportivo, è estremamente difficile, non potendo essere neutrale (RÖTHIG, 1987, pp. 51-52 e 54); pur riferendosi a principi e valori, deve però presupporre una metodologia dialettica , che significa “libero e ordinato esercizio della razionalità senza steccati o preclusioni” (VERZÉ, 2002, p. 16; cfr. STOLL, BELLER, 2003).

Migliorare la qualità del movimento umano, le relazioni interpersonali e il benessere dell’umanità, infatti, non implica soltanto una gestione di informazioni, cioè una spiegazione, ma la comprensione della situazione globale della persona che agisce (RÖTHIG, 1987, p. 55; cfr. SCHEMPP, 1993 e 1996).

1. Fondamenti epistemologici: riflessione e azione, teoria e prassi

L’azione pedagogica, anche in ambito sportivo, non può dunque costituire l’affrancamento di una teoria della praxis rispetto alla filosofia teoretica. Come afferma Paul Ricoeur, la praxis “non può riassumere tutto l’uomo” poiché la theoria è “anche la sua ragione di esistere”, una theoria fondatrice, “dalle matematiche all’etica”, “dalla scienza all’ontologia” (RICOEUR, 1955, pp. XXXIV e 266). L’educazione, secondo la definizione di Ricoeur, non è forse altro che il “gioco dell’adattamento e del disadattamento” nella formazione umana, cioè “il giusto ma difficile equilibrio fra l’esigenza di oggettivazione – cioè di adattamento – e l’esigenza di riflessione e di disadattamento”, un “equilibrio teso che mantiene in piedi l’uomo” (ibidem, pp. 266 e 260).

Perfino la formazione “più utilitaria”, per esempio quella di carattere sportivo, possiede anche un valore culturale, dal momento in cui, come sostiene Ricoeur, “subordina l’abilità manuale ad una conoscenza teorica”: attraverso lo sport, “può essere restituito in modo nuovo il contatto perduto con la natura, con la vita” (ibidem, pp. 264-265). La grandezza dell’uomo consiste infatti, secondo Ricoeur, nella dialettica di lavoro e parola: “Il dire e il fare, il significare e l’agire sono troppo mischiati perché un’opposizione durevole e profonda possa essere istituita fra theoria e praxis” (ibidem, p. IX).

In tal senso, è significativa la riflessione di Italo Calvino a proposito della morale del fare poetico, per cui occorre “far scaturire le linee d’una morale dall’attività pratica, dal fare tecnico ed economico, dalla produzione, dal lavoro”, dall’attività sportiva stessa. Attraverso il confronto con la natura è possibile inoltre rendere attuale la morale del limite umano: alcune attività mostrano come l’etica e la poesia dello sport possano davvero contribuire ad “accrescere i poteri dell’uomo”. La stessa morale della ricerca, nel considerare la scienza come via di conoscenza totale per un “umanesimo completo”, deve dunque tener conto delle riflessioni del ricercatore e dell’etica del metodo. Calvino perciò si interroga sulla possibilità che l’individuo come persona possa esprimere un “valore esemplare” non tanto in rapporto a particolari attività o situazioni, quanto per un peculiare modo di vivere la propria vita e usare l’esistenza come mezzo di espressione (CALVINO, 1960, pp. 149-153). In questo senso, l’educazione attraverso lo sport costituisce una delle possibili risposte, quando implica altruismo e autorealizzazione, integrazione di morale pratica e filosofia del pratico, cioè di prassi e teoria.

Il recente riconoscimento del ruolo della teoria anche in ambito della pedagogia dello sport consente dunque, secondo Paul G. Schempp, uno “svezzamento” o dissuefazione da quella esasperante abitudine di identificare la ricerca scientifica con i metodi utilizzati: si tende a un livello intellettuale superiore, sebbene la metodologia resti un sostegno fondamentale per un’autentica attività di studio e di ricerca (SCHEMPP, 1993, p. 4; cfr. ARNOLD, 1997, p. 8).

In tale ambito, analizzare la conoscenza entro la cornice metodologica del concetto di “autoriflessione”, come afferma Schempp, potrebbe inoltre significare non soltanto cercare di comprendere come le strutture sociali esistenti mantengano e riproducano forme di sapere istituzionalizzato [teachers’ knowledge], ma soprattutto cercare alternative che conducano educatori ed educandi, anche nel settore dello sport, a pratiche emancipatorie fondate essenzialmente su principi di giustizia sociale (SCHEMPP, 1993, p. 4; cfr. LANDAU, 1996, pp. 225-227; HABERMAS, 1973).

La possibilità per l’uomo di spiegare e comprendere la realtà nelle sue varie forme implica pertanto autoriflessività, etica del metodo e morale del limite umano. Principi e valori possono fondare la conoscenza scientifica, le scelte e le azioni della persona, se presuppongono autoriflessione e condivisione e se l’aspetto intrinseco prevale su quello esterno. Diversamente, come afferma Werner Heisenberg, l’aumento della potenza materiale e spirituale dell’uomo, per la sua maggiore possibilità di conoscere e agire/fare, non necessariamente costituisce un progresso: “Con l’estensione apparentemente illimitata della sua potenza materiale, l’umanità viene a trovarsi nella situazione di un capitano la cui nave è così saldamente costruita d’acciaio e di ferro, che l’ago magnetico della sua bussola si dirige ormai solo verso la massa ferrosa della nave e non più verso il nord”. Una nave simile navigherà solo in cerchio e sarà abbandonata al vento e alla corrente. Per raggiungere una meta sarà dunque necessario usare nuovi tipi di bussola, che non reagiscano alla massa ferrosa della nave, oppure orientarsi, come in passato, con le stelle, la cui visibilità
non dipende dall’uomo: “Comunque la consapevolezza che la speranza nel progresso incontra un limite include già il desiderio di non vagare in circolo, ma di raggiungere una meta” (HEISENBERG, 1955, pp. 55-56).

Questa metafora, che illustra il necessario collegamento tra il fine e il metodo, tra il valore e gli strumenti, tra l’uomo e la conoscenza, richiama l’oggetto dell’ammirazione e venerazione di Immanuel Kant: non soltanto “il cielo stellato sopra di me”, come elemento accidentale, ma “la legge morale in me”, in quanto universale e necessaria (KANT, 1788, p. 161).

Il legame tra principi e valori, tra “legge universale” e “legge morale” consente di comprendere in modo autentico il significato profondo del limite come valore e del valore come limite anche in relazione a sport ed educazione, simbolo e metafora della vita umana. A sostegno di questo nesso imprescindibile tra teoria e prassi, tra essere e divenire, tra ontologia ed etica, tra metafisica ed esperienza, su cui dovrebbe fondarsi anche la pedagogia dello sport, è perciò essenziale il concetto di riflessione, come Ricoeur lo definisce: “L’appropriazione del nostro sforzo di esistere e del nostro desiderio di essere, attraverso le opere che di questo sforzo e di questo desiderio sono testimonianza” (RICOEUR, 1969, p. 31).

2. Fondamenti filosofici: principio ontologico e fondamento etico dello sport

Per configurare l’ontologia – in particolare, l’ontologia dell’attività umana – come “terra promessa”, si rende necessaria una giustificazione teoretica della morale e della stessa pedagogia, anche in ambito sportivo. Le ragioni dell’essere costituiscono perciò una “premessa alla deontologia”, cioè la matrice ontologica del divenire e del dover essere: una “filosofia prima” essenzialmente pratica, una “filosofia dell’atto” in cui il discorso etico e morale incontra quello metafisico e ontologico (cfr. JERVOLINO, 1995, pp. 36, 45, 48-49). La Metafísica Genética, teorizzata da Fernando Rielo (cfr. RIELO, 2001), per esempio, si pone come tentativo di integrazione tra biologismi e metafisica, privilegiando la componente esperienziale, in cui l’esistenza dell’uomo trova il suo autentico significato (ROMERO FERNÁNDEZ, 2000, p. 140; cfr. AYALA, 1998).

È necessario in proposito ricordare che, come afferma María Teresa Russo, se spesso alla cosiddetta filosofia prima si rimprovera “l’astrattezza lontana dalla vita”, è perché non la si intende correttamente: “È dunque necessario recuperare quel ‘pensiero concreto’, che corrisponde all’autentica natura della metafisica” (RUSSO, 2000, p. 149; cfr. VERZÉ, 2002, p. 16).

Lo spessore umanistico dello sport, come di ogni altra attività umana di valore, consiste perciò nell’agire e pensare secondo norme universali. Secondo María Teresa Russo, il rigore, cioè l’oggettività scientifica (del particolare), e l’afflato, cioè la dimensione filosofica (la totalità), collocano la scienza pratica in posizione di confine tra natura, scienza e arte, in una unità di conoscenza teoretica e di sapere pratico che consenta un inquadramento ontologico e metafisico del suo sapere e del suo oggetto (RUSSO, 2000, p. 148). Anche la pedagogia dello sport, come scienza pratico-poietica, può collocarsi in tale posizione di confine.

Se da un lato, infatti, la dimostrazione scientifica fornisce una conoscenza vera ma contestuale e perfettibile, si richiede una “nuova competenza di tipo epistemologico ed ermeneutico” (RUSSO, 2000, p. 147; cfr. BECKERS, 1996). Tale esigenza, come afferma María Teresa Russo, trova espressione, piuttosto che in una Evidence Based Education, in una Best Evidence [Education]: una formazione di carattere sia pedagogico che filosofico relativamente alle professioni emergenti (RUSSO, 2000, p. 147), anche nell’ambito delle attività motorie e sportive (cfr. VAN DER MARS, 1996, p. 57). La rilevanza e la contestualità delle “prove di efficacia” risultano pur sempre necessarie nel combattere dogmatismo, fallibilismo e dilettantismo, per richiamarsi però a un “fondamento extraempirico” e giungere a “formulazioni universali sulla realtà” (RUSSO, 2000, p. 147).

Lo sport come attività umana di valore strettamente connessa alla morale implica, secondo Peter J. Arnold, una riflessione sul proprio potenziale educativo. Essendoci dunque una relazione tra sport ed educazione, è necessario delineare un quadro di riferimento ontologico ed etico per riflettere su alcune questioni morali in ambito sportivo, in particolare: competizione, universalismo, fair play e sportspersonship (ARNOLD, 1997).

Il concetto di sportspersonship, esaltando il concetto di persona, riassume in sé il valore della lealtà attraverso azioni e comportamenti sportivi e si pone come sfida alla complessità, come forma di collaborazione sociale, come mezzo nella promozione dei momenti ludico-ricreativi e come forma di altruismo (ARNOLD, 1988 pp. 73-89 e 1997 pp. 54-64; cfr. MCNAMEE, 2003, pp. 4-5). Padronanze motorie e schemi di comportamento consentono infatti di conseguire risultati anche sul piano della formazione globale dell’uomo. Lo sport non va perciò inteso come pura proiezione di doti esclusivamente fisiche ma come attitudine mentale e come aspetto educativo degno di seria considerazione, per una concezione unitaria della persona umana. (ENRILE, 1977, pp. 907-908 e 912; cfr. GRUPE, 1961; GRUPE, KRÜGER, 1996, pp. 159-160).

Fair play significa essenzialmente correttezza di comportamento, equità e lealtà; implica dunque giustizia e autostima. Secondo Sigmund Loland, il fair play non è un anacronismo, anzi un ideale attuale [a topical ideal]: impegnarsi in un discorso etico, cioè realizzare e mettere in pratica un’idea morale per coltivare ciascuno il proprio senso di fair play dall’interno (LOLAND, 1998, p. 102).

Fair play e sportspersonship costituiscono dunque una sfida pedagogica poiché implicano un impegno interiore (LOLAND, 1998, p. 102), una interiorizzazione delle gratificazioni [internalization of rewards] e una rilettura degli stessi concetti di benessere [wellbeing] e di salute [integrative health], che privilegia l’idea di corpo-soggetto rispetto a quella di corpo-oggetto (CHARLES, 2003).

Ogni atleta è sopratutto una persona e il suo corpo va inteso non soltanto come “patrimonio fisico” ma come “valore umano”. Come afferma Gianfranco Piantoni, gli educatori devono quindi essere capaci di far crescere contemporaneamente l’atleta e l’uomo, declinando l’individualità con le regole (creatività). Lo sport infatti, come activité e servizio piuttosto che emploi, può trasformare i veri sportivi in “cittadini del mondo” e la bravura può diventare un gesto di valore universale: il vero campione è colui che esalta le potenzialità umane in modo eccellente (PIANTONI, 1999, pp. 13-29, 159-162).

La competizione, essenza autentica dello sport, può implicare in tal senso un autentico confronto tra le persone: come forma di gioco istituzionalizzato, crea situazioni in cui i veri sportivi possono dimostrare sano agonismo e competenza a essere perseguendo obiettivi intrinseci (SIEDENTOP, 1987, p. 82; cfr. GAFFNEY, 2003).

Lo sport non ha dunque come traguardo soltanto il risultato tecnico ma concorre a costruire l’uomo attraverso l’atleta, attingendo livelli formativi, etici e sociali. Se il “movimento” è il “corrispettivo del sapere”, l’esercizio fisico e sportivo implica apprendimento e comunicazione (ENRILE, 1977, pp. 911-912). Attraverso il “movimento”, lo sport come forma di educazione consente di perseguire finalità e obiettivi intrinseci non strumentali, quali la felicità e la sua ricerca; la competenza e la sua acquisizione; la virtù morale e il suo sviluppo; la realizzazione di sé e la sua promozione (ARNOLD, 1988).

Per fornire un quadro di riferimento normativo entro cui lo sport dovrebbe essere insegnato e praticato, è necessario, come suggerisce Arnold, individuare il principio ontologico e il fondamento etico dello sport. Per poter essere giustificato in quanto forma di educazione, lo sport dovrebbe dunque essere perseguito per il suo valore intrinseco piuttosto che per scopi o interessi esterni, che rischiano invece di inquinarlo e corromperlo; rappresenta infatti un importante elemento culturale anche per le possibili conseguenze in termini di salute e benessere sociale (ARNOLD, 1997, pp. 17-18 e XVI; cfr. COURTWRIGHT, 2003).

Se la preoccupazione principale consiste nel perseguire gli obiettivi intrinseci piuttosto che quelli estrinseci, la visione dello sport come pratica, o visione “prescrittiva”, si differenzia in larga misura da quella “sociologica” o descrittiva. Lo sport si può intendere perciò come una pratica umana di valore, in quanto è caratterizzato dalla condotta morale dei partecipanti piuttosto che dalla ricerca di particolari abilità, standard ed eccellenza. Essendo ormai un fenomeno globale, lo sport possiede inoltre un valore transculturale (ARNOLD, 1997, pp. 1-5). Tale visione dello sport può offrire anche un parametro valutativo attraverso cui è più facile formulare giudizi su quale comportamento sia corretto in ambito sportivo. Essere capaci di praticare uno sport che meriti costituisce, secondo Arnold, un importante aspetto dello sviluppo umano, poiché attività come lo sport aiutano a costituire un modello di vita significativo e possono fornire i mezzi con cui gli individui diventano persone (ARNOLD, 1997; cfr. VICO, 2002, p. 111).

Lo sport, come sottolinea anche Warren P. Fraleigh, va insegnato e compreso come pratica di libertà, che richiede l’esercizio delle virtù morali in vista di benefici interni. Sebbene agire con coraggio e onestà, in base a norme intrinsecamente fondate sui concetti di giustizia e uguaglianza, possa talvolta significare ridurre la possibilità di vincere, consente in realtà di conservare intatto lo sport ed è un risultato comunque positivo: significa perseguire l’eccellenza. La stima reciproca tra gli sportivi, oltre a garantire l’integrità dello sport, facilita infatti generosità e amicizia, qualità desiderabili nell’ambito dei rapporti umani (FRALEIGH, 1997, pp. VII-IX; cfr. JONES, 2001a, 2001b).

Queste riflessioni presuppongono dunque l’idea del bene come principio ontologico, gnoseologico e deontologico, costitutivo quindi regolativo. Secondo Platone, infatti, nulla di imperfetto può essere misura di alcunché, perciò non soltanto mediante l’educazione fisica ma soprattutto attraverso lo studio [???????] è possibile raggiungere quella conoscenza che è più importante anche della giustizia stessa, cioè l’idea del bene, senza il quale è inutile il possesso di qualsiasi cosa (PLATONE, Repubblica 504c-505a). Etica e pedagogia risultano migliori se presuppongono una metafisica. Un’autentica metafisica infatti può condurre immediatamente a intuizioni eticamente valide (KRETCHMAR, 1998, p. 19).

Conclusioni

L’interesse per lo sport è dunque teoretico e non soltanto pratico, come dimostra la riflessione sulla sua valenza educativa. La pedagogia dello sport come human life science costituisce inoltre una possibile risposta alla necessità di promuovere il dialogo tra scienze naturali e scienze umane, tra spiegazione e comprensione, tra epistemologia ed ermeneutica, per comprendere e non soltanto descrivere o spiegare lo sport come pratica umana di valore culturale e pedagogico, come atto educativo integrato (cfr. RUSSO, 2000, pp. 144 e 143).

In tale contesto la metafisica si affianca alle scienze della vita per ispirare il “valore uomo” attinto ai principi primi. Tra i fondamenti filosofici di un umanesimo attuale, per un rinnovamento della metafisica sia come disciplina che come prospettiva, anche in questo ambito il “pensiero concreto” costituisce la capacità e la possibilità di integrare, in una sintesi efficace e autentica, fatti e valori, l’essere e il dover essere, il fare e l’agire; consente inoltre l’integrazione delle conoscenze biologiche con la ricerca filosofico/metafisica; postula una metodologia dialettica e la unitarietà dell’uomo: corpo, intelligenza e spirito sono dimensioni inscindibili dell’unica realtà umana (VERZÉ, 2002; cfr. AYALA, 1998; GRUPE, 1996, p. 155).

Come afferma Platone, i giovani anche nella ginnastica vanno educati molto bene fin dall’infanzia, per tutta la vita [??¦ ????], poiché un’anima buona, per la sua stessa virtù, può perfezionare il corpo in misura straordinaria e la cura stessa del corpo si potrebbe affidare all’intelligenza, una volta che sia stata sufficientemente sviluppata, attraverso un corretto modo di vivere [??????] improntato ad austerità: la semplicità [¡??????] genera attraverso la ginnastica la salute fisica (PLATONE, Repubblica 403d-404e). È forse il caso di quell’uomo che piantava gli alberi, Elzéard Bouffier, un “atleta di Dio”, perché “il lavoro calmo e regolare, l’aria viva d’altura, la frugalità e soprattutto la serenità dell’anima avevano conferito a quel vecchio una salute quasi solenne” (GIONO, 1980, p. 36). La salute, non soltanto fisica ma interiore, cioè la “serenità dell’anima”, si fonda su un principio ontologico, il bene, presupposto metafisico dell’attività sportiva, umana e dunque di valore.

Professore Associato di Pedagogia generale e sociale, Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione

Università degli Studi di Perugia

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