Pensare alla rovescia

I servizi psichiatrici sono nati con l’obiettivo dichiarato di restituire ai malati di mente la dignità sociale e personale troppo a lungo negate negli ospedali psichiatrici e alla malattia mentale il diritto di non essere occultata. Quest’attenzione al paziente ha prodotto un innovativo rovesciamento del rapporto tra produzione di servizi e consumo: non è più l’offerta dei servizi a determinare i contenuti della domanda, ma è la domanda dei pazienti che crea i contenuti dell’offerta1.

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Basti pensare che su 1800 pazienti in carico al nostro servizio 1/5 sono i pazienti severamente disturbati ed è proprio sulla tipologia degli utenti che il servizio si organizza.
La centralità, comunque, della domanda ci costringe a pensare alla rovescia2.

In una riunione dell’équipe del CPS3 tutti parlano dell’ultima impresa di Dino. Il giorno prima si era recato in reparto (SPDC) dopo aver violentemente bussato alla porta, preso a pugni un infermiere, urlato improperi era fuggito via. Tutti provano paura per quell’omone grande e grosso, rosso di pelo, dalla barba incolta. Solo un operatore, quasi intimorito, esprime un “sentimento diverso”: “Dino mi appare un gigante buono, preso da un delirio di grandezza che nulla vuole per sé ma molto chiede per gli altri”. Infatti, dall’incontro con gli Ufo alle Bermuda avrebbe tratto un’energia salvify in grado di “cancellare dalla faccia della terra le malattie e la morte”.
Coglie quell’operatore il dolore e la rabbia di Dino nel vedere uccise le sue speranze dal ridicolo ghigno altrui “…questa non può essere una ragione sufficiente al prorompere di tanta collera?”. Queste parole generano un silenzio attento e curioso. Poi d’improvviso tutti sembrano vedere quell’aspetto fianciullesco dolente fragiIe della personalità di Dino insabbiata nella rabbia e nell’ira.
I servizi psichiatrici, al pari di ogni organizzazione produttiva, possono essere considerati come “sistemi caratterizzati da processi di trasformazione degli inputs ad opera dell’attività dei suoi membri”4. Nella riunione di équipe il processo di trasformazione dei dati “grezzi e incomprensibili” come la violenza di Dino consiste nel decifrare i messaggi dei pazienti severamente disturbati espressi con modalità confusive, ambivalenti, proiettive o come in questo caso agite in modo da ricostruire l’immagine del paziente e recuperare una reverie comune e condivisa da restituire al paziente.
La centralità del paziente, centralità che nella produzione di beni e servizi sta diventando un fattore organizzativo da cui è sempre più difficile prescindere, è un fattore necessario per costruire percorsi terapeutici individualizzati elle tengono conto dell’aureo criterio di “conoscere per progettare”.
“Le periodiche esplosioni di rabbia e di aggressività – considera il primario – sono considerate dall’équipe alla stregua di un evento naturale quanto ineluttabile. La relazione tra Dino e il servizio è sorda e declinata tra gioco e giogo: ricoveri obbligatori – sospensione dei farmaci a casa – ricoveri obbligatori. La possibilità di esperire Dino come un gigante buono avvia la possibilità di pensare e aiuta a decifrare l’aggressività di Dino come mezzo per rassicurarsi di fronte a terrifici vissuti di impotenza …. Ora si possono aprire nuove modalità di incontro e nuovi spiragli per altri approcci terapeutici”.
Il lavoro sul caso, dunque, avvia lungo binari progettuali condivisi un flusso di attività connesse tra loro da mutue interazioni e reciproche retroazioni.
Queste sequenze circolari di attività presuppongono l’attivazione di processi che comportano la relazione col paziente e presuppongono di fermarsi, di ascoltare5 e mobilitano negoziazioni, aggiustamenti ma anche l’accettazione di divergenze. Questo tipo di processi portano alla costruzione nel tempo della conoscenza del paziente proprio perché si procede per approssimazioni successive. I servizi orientati al cliente6 sono caratterizzate da modalità innovative di lavoro che non pongono soluzione di continuo tra fase progettuale e operativa. I progetti attuati secondo modalità circolari permettono un continuo rinnovamento delle motivazioni perché permettono di favorire nell’equipe cooperazione, condivisione, assunzione di responsabilità in modo integrato e collettivo.
“Nel rispetto delle competenze dì ognuno tutti ci sentiamo importanti per definire il progetto terapeutico…”. “Se penso a Dino come a un gigante buono – dice un operatore – penso sia giusto offrirgli uno spazio dove possa deporre tutti i suoi discorsi e la sua visione del mondo senza che nessuno rida di lui “. Un altro dice: “In questa fase è importante costruire una relazione di fiducia e non imporre farmaci…
C’è un tempo per ogni cosa.” “Accettare il diritto a delirare di Dino significa accettarlo come una persona … la sua dignità umana non è lesa dalla malattia…solo accogliendolo lo potremo aiutare “
Del resto il paziente può affidare più o meno consapevolmente parti di sé ad alcuni operatori e non ad altri e renderli così “portabagagli delle sue emozioni”7 e spesso inizia a parlare di sé con quell’operatore che per motivi empatici si trova sulla sua lunghezza d’onda e che viene percepito come il meno minaccioso.
Qualsiasi operatore, indipendentemente dal ruolo e dalla sua professionalità, può contenere alcuni “segreti” del paziente8, ma indispensabili per fornire una chiave di lettura del paziente. Quell’operatore ha il diritto/dovere di serbarli dentro di sé e di restituirli all’équipe contribuendo al processo elaborativo.
“…è come se tutti i frammenti di racconti, emozioni dei pazienti più gravi che ogni operatore serba dentro di sé, nelle riunioni di équipe si ricomponessero come in un puzzle per dare un’immagine o una rappresentazione più integrata del paziente.”
Il paziente induce l’organizzazione ad assumere una prospettiva pluriprofessionale in quanto nella gestione dei malati cronici ci si occupa non solo della malattia ma anche della persona malata. Quindi nel disease management molte sono le figure professionali coinvolte (medici, infermieri, assistenti sociali, etc). Il paziente poi induce il servizio psichiatrico ad articolarsi in modo complesso, decentrato e multicentrico in quanto vari sono i luoghi di cura di cui la persona malata necessita. Così può accadere che quanto avviene in reparto (SPDC), come nel nostro caso, viene utilizzato in un altro luogo (CPS) per costruire una rappresentazione del paziente che può essere restituita all’équipe allargata per sviluppare in tutti gli operatori la capacità di far crescere, sostenere e mantenere i rapporti con i pazienti più gravi “senza farli scivolar via”.
“Da alcuni mesi Dino accetta la terapia serale, non ha più bisogno di ricorrere a modalità relazionali discontinue e fatte di rotture e agiti. Mantiene seppur più circoscritto il suo delirio.”
La centralità del paziente severamente disturbato determina quindi nei servizi psichiatrici sia la pluriprofessionalità dell’équipe che l’architettura organizzativa.
Infatti al polo ospedaliero costituito in genere da un reparto (SPDC) si affianca ed è parte integrante il polo territoriale costituito da una serie di agenzie differenziate. Il CPS, il fulcro delle attività esterne, è il luogo centro dell’attività di accoglimento, della diagnosi e della presa in carico ed è il centro dell’attività domiciliare. Il CRT è una comunità terapeutica a medio termine, mentre l’attività riabilitativa diurna si svolge al centro diurno. Le comunità protette a vari gradi di assistenza sono adibite ai pazienti più gravi con scarsa autonomia e privi del sostegno familiare.
L’Unità Operativa di Psichiatria è una struttura decentrata, policentrica e flessibile con un’organizazione dipartimentale che congiunge fortemente il territorio all’ospedale e viceversa.
“Il servizio psichiatrico è come una mano: dita diverse concorrono tutte a formare la mano! Diversità e unità insieme!”
il legisIatore nazionale ha posto l’accento sulla struttura dipartimentale e sulla stretta connessione tra ospedale e territorio, sulla unitarietà e poliedricità funzionale di tutto il servizio psichiatrico; per questo su tutti i progetti obiettivi per la salute mentale l’organizzazione psichiatrica viene definita col termine dipartimento di salute mentale (DSM). Il legislatore regionale in Lombardia e in altre 4 regioni ha, invece, ritenuto opportuno evitare denominazioni specifiche privilegiando almeno nel termine l’integrazione con gli altri servizi specialistici ospedalieri. I servizi psichiatrici vengono allora chiamati Unità Operative di Psichiatria allo stesso modo in cui oggigiorno si chiamano tutte le divisioni ospedaliere.
Le differenti denominazioni non devono distogliere dalla sostanza che è comune e consiste nello sviluppare percorsi terapeutici diversificati e molteplici a seconda dei bisogni dei pazienti. Così è possibile immaginare varie combinazioni di trattamento e varie fasi: dal trattamento residenziale a quello semiresidenziale per arrivare a quello esclusivamente ambulatoriale. E’ utile considerare anche i clienti indiretti (le famiglie o i caregiver): il nucleo familiare infatti può presentare difficoltà di fronte alla gestione di un paziente cronico ed è necessario offrire un adeguato e competente sostegno. Negli ultimi trent’anni la mission delle UOP si è evoluta non più e non solo indirizzata al controllo sociale, ma anche e soprattutto alla promozione del benessere e al superamento di ogni forma di assistenzialismo.
“Il paziente non è solo famelico e avido. Qualche volta siamo noi che lo rendiamo un tiranno narciso e capriccioso”. “Dobbiamo cercare misure che rafforzino e promuovano un’iniziativa autonoma e attiva … non solo dei nostri pazienti ma anche dei farmiliari “.
Una concezione premoderna della solidarietà sociale intesa come beneficenza lascia il posto a una moderna dove la solidarietà è considerata coinvolgimento dei cittadini nella produzione di beni e servizi.9
“Utilizzare risorse per produrre risorse – dice un operatore- fa sì che noi lavoriamo per il raggiungimento del massimo di autonomia possibile per quel paziente lì e per la sua famiglia” . “Da quando sono nell’associazione dei familiari -dice un padre – non ho più vergogna, ho patito tanto … ora so che è servito per essere utile ad altri .. ora organizziamo momenti ricreativi e soggiorni vacanza … mi sento utile. Promuovere risorse, competenze e salute è appunto pensare alla rovescia e fare dei nostri punti di debolezza dei punti di forza! ”

Note bibliografiche

1 Brunod M. e Olivetti Manoukian F., Costruire servizi in psichiatria, FrancoAngeli, Milano, 1998.
2 Marazzi C., Il posto dei calzini, edizione Casagrande, Bellinzona 1994.
3 L’unita Operativa di Psichiatria (UOP) si articola in: Centro Psicosociale (CPS), Centro di Terapia Riabilitativa (CRT), Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC), Centro Diurno (CD).
4 Butora, L’orologio e l’organismo, FrancoAngeli, Milano, 1984.
5 Lanzara D., Noi siamo un colloquio e possiamo ascoltarci, Rivista Sperimentale di Freniatria, n.2 1994.
6 Olivetti Manoukian F., Cambiamenti organizzativi e ricerca della qualità nella psichiatria territoriale. FrancoAngeli, Milano, 1996;
Crozier M. e Normann R., L’innovazione nei servizi, Edizione Lavoro, Roma, 1990;
Eigler P., Langeard, Il marketing strategico dei servizi, McGraw-Hill, Roma, 1990.
7 Racamier P.C., Il genio delle origini, Raffaello Cortina, Milano, 1993.
8 Zapparoli G.C., Psicosi e il segreto, Bollati Boringhieri, Torino, 1987.
9 Amartya K. Sen, La libertà individuale come impegno sociale, Laterza, Bari, 1998.