Precari con la valigia

Sono gli insegnanti italiani inseriti nelle scuole croate e slovene. Privilegiati agli occhi dei colleghi stranieri, di fatto degli esclusi dal sistema scolastico italiano

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E’ in corso da otto anni, nelle scuole della minoranza italiana di Slovenia e Croazia, un’esperienza pedagogica e professionale di notevole interesse.
Si tratta dell’intervento educativo di una quarantina di giovani docenti inviati dall’Italia in Istria e a Fiume a supplire alle gravi carenze di organico venutesi a creare nell’ultimo decennio nelle scuole statali -di ogni ordine e grado- slovene o croate con lingua di insegnamento italiana.
Tale progetto(1) si è reso necessario da quando, a partire dagli ultimi anni Ottanta, il disfacimento dell’ex Jugoslavia, la guerra, la gravissima crisi economica e degli stipendi, le spinte nazionalistiche nelle due giovani repubbliche, hanno indotto un gran numero di insegnanti connazionali a cercare sicurezza economica e personale in Italia. Per sostituire tali docenti ed essendo la comunità nazionale italiana in Istria troppo piccola per tale scopo, l’unico modo è stato quello di rivolgersi al mondo del precariato scolastico triestino.
Il quadro sociologico di riferimento, cui i giovani supplenti (quasi tutti triestini ed alcuni dei quali, ormai, con sette, otto anni di esperienza continuata) hanno dovuto far fronte, si è subito presentato assai complesso, caratteristico della particolare realtà sociale, economica, culturale e politica di quei due paesi in guerra o in post-guerra.
Bastino pochi esempi per illustrare la situazione. Gli allarmi anti aerei nelle scuole nella guerra del’90; le angosce e le crisi umane dei ragazzi con i padri al fronte nella guerra civile serbo-croata del’94-’95; la paura degli stessi studenti di essere chiamati al fronte alla fine del ciclo scolastico; le iscrizioni in massa di giovani serbi o bosniaci, di famiglie da decenni in Istria, terrorizzati dal dover frequentare scuole croate e slovene; le contraddizioni di una società appena uscita, formalmente, da un sistema socialista, ma incapace di indirizzarsi su modelli alternativi. Accanto a questi problemi, alcuni dei quali oggi meno pressanti, si sono manifestate subito, per i docenti inviati dall’Italia, delle notevoli difficoltà
nell’approccio linguistico e nell’impostazione della didattica (quest’ultima riferita ad un quadro normativo sostanzialmente diverso nei programmi, nell’organizzazione del lavoro, nella metodologia, nella docimologia).
Dal punto di vista linguistico, le scuole della minoranza rispecchiano le condizioni della comunità nazionale italiana in Istria e Fiume, laddove, non l’italiano standard, bensì il dialetto istro-veneto, con pesanti influssi slavi, rappresenta l’idioma comunicativo principale. Ciò comporta un sistematico deficit nella conoscenza della lingua d’insegnamento a tutti i livelli di scolarità, che si aggrava notevolmente in quelle scuole italiane – ormai la stragrande maggioranza – con un significativo numero d’iscrizioni di ragazzi di famiglie slavofone (2).
Un contesto scolastico, quindi, multiculturale e plurilinguistico, ma di non facile e immediata decifrazione.
Per quanto la presenza stessa degli insegnanti provenienti direttamente dall’Italia, e aventi quindi una padronanza adeguata(3) della lingua di insegnamento, è opportuno sottolineare come sia generalmente considerata in questo senso assai positiva. Ma il contesto di diversità linguistica venutosi a creare tra questi docenti e gli alunni, specie se slavofoni, ha creato di frequente delle situazioni relazionali assai problematiche.
Pur essendo il dialetto triestino poco difforme dall’istro-veneto (e ciò in parte ha mitigato i problemi relazionali specie con la componente italiana degli studenti) i persistenti problemi con la componente slava hanno indotto i giovani docenti – pochi dei quali con conoscenze precedenti dello sloveno e del croato – ad una risposta forte, per quanto non ortodossa. Da parte loro vi è stato uno spontaneo e diffuso sforzo nell’acquisire le basi della lingua slava della maggioranza. Ciò ha permesso a molti di loro un miglior inserimento nelle dinamiche ambientali, tanto all’interno della scuola, quanto all’esterno, e quindi una loro maggior accettabilità.
Significative in questo senso sono state le esperienze di alcune maestre elementari, assegnate dall’Italia a piccole sezioni pluriclasse di campagna (anche della prima e della quarta con una sola maestra) e costrette a confrontarsi con una realtà assolutamente bilingue di alunni e genitori. Per adeguarsi a tale situazione esse stesse hanno sentito il bisogno di imparare il croato a livello più che scolastico.
La diversità dei programmi e dell’organizzazione del lavoro rappresentano un altro grave ostacolo cui questo gruppo di docenti deve quotidianamente far fronte(4).
I programmi e i curricola scolastici risultano estremamente diversi dagli standard italiani, con conseguenti difficoltà anche in questioni molto pratiche, quali reperire in Italia libri di testo corrispondenti ed esaustivi. Spesso gli insegnanti dall’Italia hanno dovuto farsi carico di una vera e propria autoformazione, in particolare in quelle specifiche materie d’insegnamento al di fuori della normale preparazione dei nostri docenti(5), impegnandosi tra l’altro in opere di traduzione di testi, di compilazioni di dispense, nell’organizzazione di gruppi di lavoro, nella creazione e nella gestione di laboratori didattici.
Diverso, infine, anche il quadro valutativo, con un sistema che prevede cinque sole possibilità di voto (con un solo voto per l’insufficienza); in questo permangono gli esami di riparazione e la maturità è interna (in Croazia).
Un quadro pedagogico, dunque, estremamente complesso per chi proviene dall’Italia; un quadro, tra l’altro in continua evoluzione, causa l’instabilità da transizione nelle due repubbliche. Ogni anno nuovi programmi, nuove materie, nuovi orari, poche certezze.
E, a proposito di certezze che non ci sono, è necessario spendere alla fine alcune parole sul futuro professionale di questi docenti.
Per il nostro Ministero della Pubblica Istruzione non esistono. Pur se pagati con fondi del governo italiano, sono considerati dei normali dipendenti statali croati e sloveni, e come tali la loro esperienza non viene riconosciuta dalla normativa italiana(6). Allo stato attuale non hanno alcuna possibilità di poter accedere ad eventuali concorsi riservati a precari con esperienza educativa. Si potrebbe anzi giungere, in un prossimo futuro, al paradosso che, in eventuali corsi di specializzazione da anni nelle idee del ministero, a tali docenti sia richiesto un periodo di… tirocinio in classe(7).
Crediamo che il riconoscimento del servizio svolto sia il minimo che l’Italia possa fare per confermare la validità pedagogica dell’azione svolta da questi giovani docenti inviati in Istria per assicurare un futuro alle scuole dei nostri connazionali nell’ex Jugoslavia.

*Insegnante di matematica e fisica al liceo Ginnasio Leonardo da Vinci – Buie (Croazia)

Note
1 Coordinato dal consulente pedagogico del ministero degli Affari Esteri per le scuole italiane dell’ex Jugoslavia in accordo con l’Unione Italiana (organismo che associa tutti i trentamila italiani di quelle terre) e l’Università Popolare di Trieste (ente morale che da trent’anni si è assunto il ruolo di mantenere vivo il collegamento tra la nostra minoranza e l’Italia), il progetto è oggi finanziato dal governo Italiano con fondi della legge 295/95.
2 Cfr. per esempio: G.Filipi, “Situazione linguistica istro-quarnerina”, Ricerche sociali, 1 1989, p.73-83; e, N.Milani Kruljac, “La comunità italiana in Jugoslavia fra diglossia e bilinguismo”, tesi di dottorato, facoltà di Zagabria, 1985, edita in Etnia del centro di ricerche storiche di Rovigno, vol.1, 1990. Per un’ampia bibliografia sull’educazione linguistica nelle scuole italiane dell’Istria e di Fiume si veda L.Bogliun Debeljuh, “L’identità etnica. Gli italiani dell’area istro-quarnerina”, edita in Etnia del centro di ricerche storiche di Rovigno, vol.1, 1990.
3 Il colloquio per la selezione a tale incarico verte, infatti, soprattutto sulle esperienze precedenti e sulle capacità linguistiche del candidato. La Commissione giudicatrice è composta da uno staff di consulenti pedagogici e di presidi delle scuole italiane in Istria.
4 Tanto la Slovenia che la Croazia hanno sinora mantenuto sostanzialmente invariata l’organizzazione scolastica ex jugoslava. Il ciclo dell’obbligo, ottennale, è chiamato scuola elementare (osnovna skola) ed inizia a sei anni, per quanto, di solito, i bambini vi accedono avendo già frequentato le scuole materne, molto diffuse e a gestione comunale. La scuola elementare è suddivisa nel ciclo quadriennale “inferiore” (un’unica insegnante di classe e poche materie di base) e nel ciclo quadriennale “superiore” (numerose materie, ognuna con il relativo docente). Il ciclo della scuola media (srednja skola) può essere triennale o quadriennale, a seconda che si tratti di corsi professionali (ben organizzati, molto seri e assai diffusi nell’ex sistema jugoslavo, strutturati su una forte interazione tra scuola e mondo del lavoro) o di corsi tecnici per periti e licei. In questi ultimi due casi il diploma di quattro anni permette di accedere alle università, quasi tutte a numero chiuso e con screening di accesso che tiene conto delle valutazioni ricevute alle medie.
5 Per fare solo alcuni esempi: storia e geografia della Slovenia e della Croazia, storia dell’arte mondiale e nazionale slovena e croata, etica e sociologia.
6 Cfr. P.Rumiz,”Vento di Terra. Istria e Fiume, appunti di viaggio tra i Balcani e il Mediterraneo”, OTE-MGS press, 1994, p.71. Ma anche gli insegnanti comandati dall’Unione Popolare, pur fornendo un supporto entusiastico e insostituibile, diventano un problema. Rispetto ai colleghi locali sono superpagati, quindi appaiono dei privilegiati; in rapporto allo standard italiano, invece, sono solo dei precari senza ferie retribuite, senza inserimento nelle graduatorie e con trasferte da fame.
7 C’è addirittura il rischio che si ripeta anche il prossimo anno ciò che avvenne due anni fa al provveditorato di Trieste, quando, nella formulazione delle graduatorie per le supplenze, fu loro riconosciuto solo metà punteggio annuale, per generiche attività culturali in favore della comunità italiana nell’ex Jugoslavia.