Professione assistente sociale

L’etica professionale, tratta dai fondamenti e dai principi del Servizio Sociale, ha sempre indotto i professionisti a considerarsi soggetti tenuti al rispetto del segreto professionale; lo stile ed i contenuti che caratterizzano questa professione di aiuto hanno fatto sì che la riservatezza su quanto appreso facesse parte inscindibile del processo di aiuto, inteso questo, come funzione di sostegno e controllo, secondo un’etica di protezione, di tutela, dell’utente cliente.

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Il Servizio Sociale Professionale svolge compiti all’interno e a latere degli atti della vita e quindi si trova inevitabilmente ad interagire
nella sua funzione di attivatore delle risorse, a trasmettere informazioni utili a connettere in rete gli interventi dei diversi professionisti.
Nel linguaggio tecnico si sottendono contenuti di azione più ampi; questo in quanto, per l’assistente sociale, le parole chiave traducono sintetizzandoli, quelli che ora nelle professioni di aiuto a carattere sanitario sono denominati protocolli operativi.
La legge di riconoscimento della professione, con l’istituzione dell’Ordine e dell’Albo ha posto i fondamenti per riorganizzarne i contenuti e definirne il profilo nei dettagli. Un lavoro lungo e delicato, di studio e approfondimento.
Ciò premesso, in relazione al tema del segreto professionale vale la pena di riportare degli spunti dal Codice Deontologico varato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine nell’aprile 1998, e sentito come uno tra i primi e più importanti compiti istituzionali, le cui norme deontologiche nascono dall’esperienza di oltre 50 anni di impegno professionale. Insieme alla Legge 84/93 il Codice rappresenta e definisce il DNA dell’Assistente Sociale.
Il Capo III del 2° titolo, con i suoi 7 articoli, è interamente dedicato alla riservatezza e al segreto professionale; la professione dell’assistente sociale è impegnata sul fronte della giustizia sociale e dell’equità quindi, considera questi come diritti e doveri primari dell’utente/cliente. E’ dalla definizione di natura fiduciaria della relazione, che discende il corretto trattamento delle informazioni, necessario per il buon fine dell’intervento.
In questo senso Paola Rossi, Presidente Nazionale dell’Ordine, parla della necessità di tutelare con il riconoscimento legislativo, lo strumento di lavoro costituito dal rapporto fiduciario con la persona utente-cliente.
In altri articoli, viene sottolineata la cura che occorre prestare al materiale contenente i dati e le notizie che deve essere protetto, esigendo pari attenzione anche da parte di altri collaboratori o colleghi anche di diversi enti. Nel rapporto con i media, il professionista è parimenti vincolato nell’esercitare la tutela della riservatezza dei segreti conosciuti, compiendo così anche l’azione di tutela e il decoro e il prestigio della Professione.
Da queste norme discende il comportamento professionale nei rapporti con i colleghi (art.33, capo I Titolo IV) “improntati a correttezza, lealtà, spirito di collaborazione reciproci”(?) “promuove un sistema di rete integrato tra gli interventi”.
Per inciso, pare opportuno osservare come, in questo momento storico, l’intervento di rete sia ritenuto altamente specializzante per alcune professioni sanitarie ed è assurto agli onori delle Politiche Sociali Regionali e Nazionali. In verità è patrimonio di base, corredo fondante che discende dalla pratica della professione di assistente sociale e, solo successivamente, ne sussume gli aspetti teorici, per altro in Italia, per penna di un’assistente sociale (Lia Sannicola).
Infine, un’ulteriore implicazione del segreto professionale, la si trova nel capitolo che riguarda la responsabilità verso l’organizzazione di lavoro: nei confronti di quest’ultima una condotta di violazione della riservatezza e del segreto d’ufficio, potrebbe nuocere gravemente. Come si può cogliere, la questione del diritto/dovere al segreto e alla riservatezza permea la materia relativa all’esercizio deontologicamente corretto degli assistenti sociali.
I passaggi successivi individuati per ora sono stati:

  • la necessità di ottenere il riconoscimento legislativo, così come per i professionisti, previsti dall’art. 200 del C.C.P;
  • aggiornare la pratica quotidiana declinando questa norma deontologica negli interventi concreti.

In considerazione della costante attualizzazione dell’intervento sociale alle nuove forme dei bisogni e ai nuovi utenti clienti, nonché all’aggiornamento cui devono far fronte le professioni di aiuto, la Commissione Deontologia dell’Ordine lombardo ha promosso un lavoro specifico.
Per quanto concerne il primo punto, a fronte delle numerose proposte di legge presentate, si è tenuto a Roma nello scorso mese di marzo, promosso dal Consiglio Nazionale in collaborazione con alcuni parlamentari Democratici di Sinistra, un incontro dal titolo “Il diritto alla tutela della riservatezza nei servizi alla persona”. Alcuni di questi parlamentari, conoscitori ed estimatori della professione, sono sostenitori convinti dell’indispensabilità di tale riconoscimento legislativo, nonché della necessità di arrivare alla promulgazione della Legge Quadro sull’Assistenza, definendone, oltre ai contenuti, anche le professioni del Sociale, per regolamentare, finalmente, il proliferare di pericolosi ibridi.
Il convegno, ha visto la presenza di esperti giuristi: il prof. Ugo De Siervo, componente dell’Autorità del Garante per la tutela dei dati personali, ha fornito informazioni sui contenuti della ormai famosa L.675 e della sua applicabilità, ricordando che il “Bene Tutelato”è la dignità della persona (art. 2 della Costituzione Italiana).
Sono state presentate dotte relazioni, anche da parte di colleghi assistenti sociali, componenti dei consigli nazionali e regionali, e da assistenti sociali esperti che hanno aperto un breve, ma significativo spazio di confronto sullo specifico professionale.
In estrema sintesi, il Segreto Professionale sta nei limiti di ciò che si deve conoscere dell’esercizio professionale allo scopo di esercitarlo, ed inoltre pone all’attenzione del professionista:

  • ciò che è di pubblico dominio
  • ciò che ha natura di segreto
  • ciò che si ha l’obbligo di non divulgare se non vi è l’autorizzazione della persona interessata, e tra questo, di rilevanza, è solo ciò che è necessario rivelare al fine della prosecuzione dell’intervento.

Questo è importante per il valore e lo spessore della professione, quindi l’assistente sociale assume ,responsabilmente, il discernimento tra ciò che è necessario rendere noto per esercitare la relazione d’aiuto; è in questo senso che possiamo parlare di scienza e competenza su base etica.
L’incontro ha messo in luce i punti nodali sui quali riflettere: il rapporto con le Magistrature, l’interesse dell’utente-cliente, la necessità diffusa anche tra gli altri professionisti di far chiarezza su cosa secretare, ed infine è stato ricordato il tema del difficile rapporto con la stampa ed i media. Si è rilevato ad anche; come il concetto di Welfare, sia sempre interpretato solo come tema inerente le pensioni, ed ancora come, il sociale allarmante, quello che fa notizia sia oggetto del maggiore interesse da parte dei media.
Come già detto è stato avviato un lavoro specifico con un gruppo di colleghi in seno all’Ordine lombardo, la proposta discende dalla Commissione deontologia, attiva dalla costituzione del I Consiglio Regionale. A partire da allora, è stata data risposta ai circa 91 quesiti pervenuti dall’entrata in vigore del Codice Deontologico.
Sull’onda di questa interessantissima ed appassionante esperienza, si è valutata l’esigenza di creare uno spazio di riflessione aperto agli iscritti, che venisse arricchito dal loro contributo.
Il risultato del lavoro svolto ed i suoi contenuti verranno divulgati compiutamente al termine dei lavori, con probabilità il materiale sarà pronto per il prossimo autunno.
Anticipiamo volentieri alcuni spunti.
Oltre ai punti cruciali già sopra evidenziati, si sono approfonditi i seguenti temi:
– rapporto tra etica, norma etica e norma giuridica;
– osservanza del segreto professionale nel lavoro con altri professionisti e tra colleghi;
– segreto professionale nel rapporto con la Magistratura in relazione alla tipologia dell’utente minore e/ o adulto e al mandato dell’Ente o Associazione per cui opera il professionista;
– l’obbligo di denuncia penale;
– l’obbligo di testimonianza;
– raccolta della documentazione con particolare riguardo alla cartella sociale;
– segreto e riservatezza nell’organizzazione di lavoro. Limiti consentiti e limiti opportuni;
– segreto professionale tra sostegno e controllo.
Come è possibile intuire, la questione del rispetto del segreto professionale e del diritto alla riservatezza e al consenso informato, comporta una continua riflessione sui modi di agire ed esercitare il proprio lavoro.
L’individuazione degli spazi di autonomia non può essere disgiunto dal rispetto per le libertà delle persone, aspetto questo che accomuna tutte le professioni al servizio dei cittadini.
A maggior ragione sarebbe doveroso che su questo tema si desse l’avvio ad un confronto tra i professionisti d’aiuto. Sarebbe una collaborazione necessaria sia in relazione ai cambiamenti sociali in atto che in ordine alle nuove Politiche Sociali.
Un obiettivo pragmatico, e degno di una rete di professionisti, potrebbe essere il verificare la coerenza tra Politiche Sociali e un autentico rispetto dei principi costituzionali.

Bibliografia

Lia Sannicola, a cura di, L’intervento di
rete, Ed. Liguori, Napoli, 1994
Lia Sannicola, a cura di, Reti sociali e intervento professionale, Ed.
Liguori, Napoli, 1995