Psicologia della memoria autobiografica

Nel far riemergere numerosi ricordi, chiamiamo in causa un particolare tipo di memoria, la memoria autobiografica o, nel caso di fatti specifici, la memoria episodica, che consentono di ricollegare una particolare informazione nel contesto del tempo, dello spazio e della presenza di chi ricorda: quella volta che” (il tempo) nel corridoio della scuola” (lo spazio) “si è verificato quel fatto” (la presenza di chi ricorda). Nella memoria episodica esiste un rapporto ben saldo tra chi ricorda e ciò che viene ricordato, cosicché chi ricorda ritiene di trovarsi di fronte a una sorta di replica del passato e compie un viaggio mentale per rivivere quella situazione. Per quanto appannato possa essere il ricordo di un lontano episodio, nell’atto di ricordare si compie sempre un viaggio nel passato senza vincoli col presente: per un momento ci si può distaccare dalla realtà in cui si è immersi e rivivere situazioni lontane.

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In generale, la memoria semantica appartiene alla categoria della memoria dichiarativa, costituita da una serie di fatti e di elementi di informazione specifici che possono essere esplicitati o “dichiarati”: nel momento in cui affermiamo per esempio che sotto casa passa la linea B della metro, ricorriamo alla memoria dichiarativa; la memoria semantica è invece di tipo cognitivo, esprime significati ed è generalmente collegata a un codice astratto di tipo linguistico.
Ma esiste una conoscenza che riguarda il fare, come guidare l’automobile, che appartiene alla memoria procedurale che, a differenza della memoria dichiarativa, è ben difficile tradurre in termini linguistici: si può apprendere in astratto a guidare l’auto? La memoria procedurale è coinvolta nelle abitudini, nei condizionamenti, nelle memorie di tipo motorio. In termini di evoluzione, la memoria procedurale è antica (cioè si presenta a partire da organismi primitivi come le lumache e altri invertebrati) è la prima forma di memoria che compare nel corso dello sviluppo umano, è infatti presente anche nel feto. Al contrario, la memoria di tipo semantico rappresenta una tappa tardiva dell’evoluzione (compare soltanto a partire dal mammiferi superiori) e si sviluppa più tardi rispetto a quella procedurale, nel corso dell’infanzia. La memoria di tipo associativoprocedurale dura sino alla tarda età ed è l’ultima ad essere colpita dalle malattie degenerative del cervello che si presentano nella vecchiaia, mentre la memoria semantica o dichiarativa, che dipende dal buon ftinzionamento della corteccia cerebrale, può andare incontro a deficit anche gravi nel corso della terza età.
La memoria episodica è in qualche modo intrecciata con quella semantica che, come abbiamo visto, implica una conoscenza di fatti, concetti, elementi linguistici che, a differenza della memoria episodica, non sono legati a un contesto. Ad esempio, quando affermo che Milano è a nord di Roma richiamo conoscenze che non sono contestualizzate, come invece può avvenire per un particolare episodio della mia vita. Gran parte della nostra vita si basa su memorie di tipo semantico, memorie costruite nel tempo, mattone dopo mattone, per costruire un edificio di conoscenze in cui ci è ben difficile, o totalmente impossibile, rintracciare le origini delle singole esperienze e ricordi; come ad esempio si verifica per la lingua che parliamo correntemente, frutto di complesse memorie linguistiche.
Il numero degli stimoli in grado di innescare una memoria diminuisce col tempo, così che il ricordo diventa sempre più sfocato: è quanto risulta dagli studi di una psicologa, Marigold Linton, che ha condotto su se stessa, uno degli studi più accurati in tema di autobiografie. Per quasi quindici anni ha messo per iscritto, giorno dopo giorno, la descrizione di almeno un paio di eventi di rilievo, o che almeno tali le parevano al momento: a distanze varie, mesi o anni, Linton ha riletto quei ricordi ed ha visto che, inizialmente, i ricordi sono vivi e non sono necessari molti suggerimenti per rievocarli, con il trascorrere del tempo i ricordi si affievoliscono. C’è bisogno di uno stimolo che combaci in modo quasi perfetto con la memoria di un tempo perché un antico ricordo venga ricuperato.

Il ruolo degli stimoli-suggerimento è quindi molto diverso nelle memorie di lunga data o in quelle più recenti; d’altronde, il rapporto tra stimolo e ricordo non è statico ma varia nel tempo; così, tra i tanti stimoli che possono fare affiorare un ricordo, ne vengono selezionati alcuni o altri a seconda del modo in cui il ricordo viene ristrutturato nel tempo. Gli stessi stimoli non garantiscono inoltre le stesse reazioni in una stessa persona o in persone diverse, cioè non richiamano le stesse memorie e in particolare quelle autobiografiche. Uno psicologo inglese, Frederic Bartlett, ha studiato come la memoria dipenda dalle caratteristiche della personalità, dalle esperienze e dagli interessi individuali. Per comprendere quali strategie sono alla base della memoria autobiografica vengono utilizzati diversi approcci: uno dei quali è quello proposto dallo psicologo Herbert Crovitz: si pensi a una memoria di qualsiasi periodo della propria vita che venga innescata dalla parola tavola. Quando la si è rintracciata, si cerchi di datare quel ricordo specifico. In genere, le persone che sono state studiate da Crovitz ricordavano eventi abbastanza recenti della loro vita; era invece più difficile che i ricordi fossero legati al passato più lontano. Due psicologi, Conway e Rubin, indicano che quando parliamo del nostro passato ci riferiamo generalmente a tre diversi tipi di “strutture” autobiografiche: i periodi della nostra vita, che vengono misurati in anni o decenni, ad esempio gli anni dell’infanzia; gli eventi a carattere generale, che vengono misurati in giorni, settimane o mesi; infine i singoli episodi che vengono anche definiti col termine di ricordi personali, fatti specifici di breve durata associati a un fatto singolo. Queste diverse strutture autobiografiche possono essere richiamate da uno stesso stimolo che, a seconda delle situazioni, può fare affiorare periodi della vita, eventi generali, episodi ma anche ricordi semantici o immagini percettive generiche. Come avviene che i diversi tipi di ricordi autobiografici lascino tracce diverse nella nostra mente? Perché ricordiamo di più gli eventi a carattere generale, piuttosto che altri ricordi? Se domandiamo a una persona di parlarci dei suoi ricordi, o se riflettiamo sul nostro passato, ci renderemo conto del fatto che questi grandi “contenitori” e non episodi singoli, scandiscono la nostra vita. La buona memoria per questi ricordi generali dipende in gran parte dal fatto che essi “connotano” aspetti importanti della vita e vengono ripetuti: sono ricordi che parlano della nostra identità, degli anni in cui la nostra personalità ha preso corpo, come avviene per gli anni dell’adolescenza, della gioventù, della prima maturità. Anno dopo anno ci ripetiamo questi ricordi ed essi lasciano una traccia stabile che difficilmente viene intaccata dall’amnesia. I ricordi legati ai periodi della vita hanno invece un’altra funzione: servono per inquadrare in maniera più generica fasi del nostro passato per poi passare al livello degli eventi generali. Ad esempio, se qualcuno ci chiede di raccontargli la nostra vita, non inizieremo certamente da singoli episodi che darebbero un’idea frammentaria del nostro passato, e probabilmente non inizieremo da ricordi troppo vasti, cioè dal periodi della vita, ma procedendo a ritroso, o dall’infanzia ad oggi, riferiremo di questi eventi generali sui quali ci si sofferma per comunicare agli altri alcuni aspetti della nostra identità, mentre i ricordi specifici possono rappresentare un approfondimento successivo.
Questa suddivisone può apparire banale ma ci parla di punti di vista diversi per rappresentare la memoria autobiografica più vasti, intermedi o più focalizzati il che suggerisce che ogni ricordo della nostra vita non dipenda da una singola “traccia”, o engramma, in quanto le esperienze del passato dipendono da un complesso lavoro di rimpasto di “frammenti” relativi a diversi livelli autobiografici. Come i singoli ricordi dipendono dalla ricostruzione di un puzzle composto da diversi frammenti (ad esempio percezioni visive, uditive, olfattive, criteri semantici ecc.), così le memorie della nostra vita dipendono dal ricomporre frammenti disparati. Questa concezione della memoria autobiografica deriva anche dall’osservazione dì quei pazienti che sono stati colpiti da forme di amnesia retrograda che hanno portato alla scomparsa di “frammenti” del loro passato. Come abbiamo visto, essi possono conservare il ricordo di anni lontani ma hanno perduto i ricordi di eventi specifici o degli anni più recenti: confrontandosi con le persone di famiglia e apprendendo, come se fosse la prima volta, fatti specifici relativi al loro passato ed eventi generali più recenti, i pazienti amnesici devono ” inserirli” nella trama della propria memoria autobiografica per ricostruire il proprio passato. Questi elementi della propria Al autobiografia appresi dagli altri vengono vissuti con un senso di distacco e di estraniazione. Eppure essi contribuiscono al processo di ricostruzione della propria continuità autobiografica, al significato della propria esistenza. Infatti, la persona che ha perduto parte dei propri ricordi incorpora le nuove informazioni e le utilizza per “raccontarsi storie” sulla propria identità. Qualcosa dì simile avviene in tutti noi: ci raccontiamo storie sul nostro passato e man mano ristrutturiamo il significato dei singoli ricordi, cosicché la realtà delle memorie diventa progressivamente meno importante rispetto alla sua ricostruzione “di parte” che implica distorsioni, abbellimenti, omissioni, trasformazioni, anche se il pensiero autobiografico rappresenta un’esperienza importante, un’avventura dai molti significati che, come nota Duccio Demetrio, può procurare benessere psicologico.

Consideriamo ora un altro aspetto della memoria autobiografica e cioè quanto essa sia veritiera o comporti una costruzione
di dubbia verità. L’accuratezza delle nostre memorie è fuori discussione se ne consideriamo gli aspetti generali. Invece numerosi particolari ed aspetti specifici possono essere più dubbi, modificarsi lentamente col passare del tempo. Ad esempio, sono stati condotti studi in cui alcuni volontari dovevano annotare su un diario eventi critici della loro vita quotidiana. A distanza di tempo uno psicologo rileggeva loo brani del diario che avevano scritto chiedendo se ricordavano gli avvenimenti descritti. In alcuni casi lo psicologo modificava ad arte il testo (dattilo scritto), anche in modo sostanziale: più lungo era l’intervallo di tempo trascorso, maggiore era a possibilità che gli studenti riconoscessero come propri ricordi gli eventi falsi descritti nel “loro” diario.
Un altro aspetto delle memorie autobiografiche riguarda la nostra capacità di datarle con una qualche precisione. Per studiare questo aspetto che riguarda quella che viene definita come psicologia del tempo, gli psicologi possono porre domande del tipo “quando è stata l’ultima volta che” oppure “quante volte hai”. In genere, abbiamo la sensazione che gli eventi si siano verificati tanto più frequentemente quanto più valida è la nostra memoria. Perciò gli eventi più recenti vengono -ovviamente datati con maggior precisione, e vengono considerati più frequenti, quelli più lontani nel tempo vengono datati in modo approssimativo e ritenuti più rari di quanto sì siano verificati in realtà. Gran parte degli errori di datazione derivano dal fatto che il nostro “tempo interiore” e il tempo fisico non coincidono: se siamo attivi e impegnati in numerose attività, gli eventi relativamente vicini ci sembrano più lontani mentre il contrario avviene quando siamo inattivi o poco impegnati: questo avviene spesso negli anziani che giudicano più lontani avvenimenti che hanno avuto luogo pochi giorni prima. Uno dei meccanismi che regolano la “precisione” della datazione dei nostri ricordi è l’associazione tra le memorie individuali e i punti di riferimento collettivi. Ad esempio, possiamo ricordare bene qualcosa che ci è accaduto “nel momento in cui”, “il giorno che”, “l’anno in cui”, si è verificato un fatto memorabile cui è agganciato il nostro ricordo. In mancanza di questi punti di riferimento la datazione dei nostri ricordi può essere molto imprecisa, il che contribuisce a sminuire la loro “fedeltà”, sino a suscitare in noi stessi dubbi sull’affidabilità di alcuni eventi della nostra vita.