Recensione – La religiosità della terra

Una fede civile per la cura del mondo

Duccio Demetrio

La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo

Raffaello Cortina Editore,

Milano 2013,

pp. 257, € 13,00

Duccio Demetrio

La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo

Raffaello Cortina Editore,

Milano 2013,

pp. 257, € 13,00

Appare chiaro fin da subito, a chi si appresti alla lettura di questo nuovo ed originale contributo di Duccio Demetrio, che l’autore intende rilanciare laddove sia umanamente possibile “una fede civile per la cura del mondo”. Ed ancora balza agli occhi fin dall’antefatto riferito alla stupefacente crescita delle lenticchie proposta dal padre e magicamente vissuta dal figlio pervaso da una “frenetica curiosità”, che di un simile argomento è praticamente impossibile scrivere qualcosa di significativo se non lo si vive intensamente.

Demetrio ci dice, anzitutto, che prendersi cura della terra vuol dire anche raccontarla perché “la terra non lo sa, ma ha bisogno di essere narrata, che qualcuno la ricordi, che qualcuno la canti”. L’amore per la terra, infatti, è parte di un legame profondo che supera la pur encomiabile sensibilità ecologista per ricollegarsi alla “religiosità della terra”, un legame laico e spirituale ad un tempo, che può unire credenti e non credenti, “oltre i confini di ogni materialismo o spiritualismo”.

E quale creatura può meglio rappresentare il collegamento fra la terra e il cielo, se non gli uccelli che “…il narratore biblico volle indicare come i primi esseri i quali, esploratori e vedette, scoprirono che la terra tornava ad essere abitabile”? Così Demetrio sceglie di dedicare a loro, impreziositi dalle immagini del pittore americano John James Audubon, le prime pagine del libro e l’apertura di ciascun capitolo, concedendo al lettore un incontro straordinario con la tortora americana e la gazza, il crociere fasciato e la ghiandaia azzurra americana, il cardinale rosso e il picchio. Ma anche con il tordo marrone e la poiana ali larghe, il parrocchetto della Carolina e il passero del vespro, il pellicano bruno e il piccione migratore fino all’epilogo con la tanagra rossa.

Il cielo e la terra si alternano nelle considerazioni dell’autore che accompagna il lettore in un cammino di riscoperta del valore della natura, in cui ognuno possa ritrovarsi; come quando ci dice: “…ecco perché la mia è una religiosità della terra attraversata dal cielo bianco, azzurro, carminio o rosato”, o ancora “La terra, lo percepisci all’istante, ti penetra nei pori, nelle narici, in bocca, tra i capelli, e sai che le appartieni…”. E ciascuno può così rievocare i suoi pur timidi incontri con la natura ed i suoi abitanti: a me è capitato, ad esempio, rievocando un merlo dal becco giallo che saltellava dinanzi ai miei scarponi, una lucertola ferma sul muro al sole e un altro piccolo uccellino dalle zampette esili incontrati durante una breve escursione dietro casa.

Dalla ricerca dei numerosi indizi di una vocazione orientata alla terra –“custode del passato, coabitatrice del presente, voglia di avere ancora un futuro” – il testo passa al richiamare la presenza di una fede civile ispirata ad un profondo senso di laicità, non senza dedicare passaggi molto significativi al rapporto con il sacro ed in particolare con la spiritualità francescana, perché proprio Francesco seppe “immergersi nell’anima delle cose” e legare così profondamente la sua figura alla cura del mondo.

Ma è l’ecologia narrativa (o meglio l’econarrazione) a rappresentare il messaggio più potente che Demetrio intende lanciare: “La terra sembra dirci che non è più sufficiente battersi per la diffusione delle energie alternative, per la green economy, per la bioagricoltura, per le leggi lungimiranti contro le devastazioni del paesaggio, della fauna o della flora”, ma occorre essere econorratori in quanto studiosi delle storie della terra ed ancor più “militanti di un progetto eco narrativo”. Occorre cioè “promuovere tutto ciò che possa metterci nella condizione di saperla narrare agli altri (la terra), valorizzando le memorie personali e collettive, contadine e metropolitane, che alla terra riconduciamo per esperienza diretta o da altri affidateci.

Vorrei aver detto qualcosa di “leggero come una piuma” – proprio io, con la mia stazza poderosa –, spero  però che almeno qualche seme (e le parole sono i semi del libro, ci dice Demetrio) “vitale come la terra” possa volteggiare nel cielo in balia del vento e chissà che qualche pettirosso volenteroso, intercettandolo,  non possa trasportarlo laddove la volontà vacilla. Rinvigorendo in tal modo la fede civile a sostegno della terra, che è “madre” perché ci accoglie quando veniamo al mondo ma che è anche “figlia” di cui dobbiamo prenderci cura durante la nostra esistenza affinché la vita dell’uomo sulla terra non debba concludersi anzitempo, con largo anticipo.

Giorgio Macario