Recensione – L’obbedienza

Giuliano Minichiello

L’obbedienza

Società editrice internazionale, Torino 2013,
pp. 170, € 13,00

Giuliano Minichiello

L’obbedienza

Società editrice internazionale, Torino 2013, pp. 170, € 13,00

Il tema dell’obbedienza, dopo il milaniano “l’obbedienza non è più una virtù”e dopo il “vietato vietare”, costituisce un tema di difficile declinazione pedagogica nella stimmung di un disincanto che vede sfiorire le grandi narrazioni nell’ombra di un nichilismo ormai compiuto e quasi assurto “a paradigma”. Evaporata l’idea di autorità (Bourillard), derubricato il tema della verità, con la ‘v’ più o meno maiuscola, rimossa la facoltà del libero arbitrio di un io “minimo e multiplo allo stesso tempo” (Cambi), all’obbedienza sembra oggi riservato un ruolo marginale, tutt’al più frutto di una coazione differita, come esecuzione di un comando a suo tempo ricevuto e a lungo rimosso (Freud). Eppure questo tema – come argomenta con spirito critico il volume di Giuliano Minichiello – rimane una questione ineludibile anche nella nostra società, dilaniata da polarità contrapposte: narcisismo prometeico, individualismo, autoreferenzialità da un lato ed etero-condizionamento, omologazione, persuasione occulta da un altro. Su questo fondo si delinea il difficile rapporto tra formazione e capacità di scelta, competenza, quest’ultima, che si pone a crocevia – apicale e critico – dello sviluppo di un soggetto in grado di autodeterminarsi in una sempre più compiuta libertà di giudizio, emancipatosi tanto da spinte conformative, di mera adesione al “tu devi” quanto affrancato da altre simmetriche pressioni contro-identificative, di una trasgressione fine a se stessa.

Nel volume, segnatamente nel primo capitolo, si articolano così posizioni esistenziali che pongono l’uomo, la sua responsabilità, la sua coscienza, la sua capacità di giudizio e il suo orizzonte pratico secondo momenti che si dispiegano in diversi ordini morali: posso ma non voglio; devo ma posso non fare; voglio ma non posso; voglio e posso. In essi il mistero della coscienza sopravanza di gran lunga quello dell’Autorità giacché è nella prima sfera che riposano le possibilità del soggetto di posizionarsi secondo modalità oppositive oppure di accettazione più o meno condizionata ad un ordine emanato da un Autorità.

I capitoli successivi declinano tale percorso di presa di posizione del soggetto di fronte ad un ordine, un modello, una suggestione attraverso una fenomenologia di comportamenti antropologicamente eterogenea: dall’obbedienza distruttiva (esemplificati da Milgram e incarnati da Eichmann) fino a quella oblativa, del Cristo nell’orto di Getzemani (sia fatto il Tuo, non il mio volere).

Il volume si sviluppa in cinque capitoli e in una sezione antologica, che riporta in modo più esteso alcune delle principali fonti bibliografiche utilizzate. L’Autore dipana il suo ragionamento attraverso un indice che, a partire dal tema del Fondamento dell’Autorità (cap. I) analizza l’Obbedienza all’’Autorità (cap. II); Obbedienza e responsabilità (cap. III); L’obbedienza al Padre (cap. IV), l’Obbedienza al Maestro (cap. V).

In questo percorso la dimensione normativa del congegno pedagogico trova una pluralità di articolazioni: da quella esistenziale, frutto dell’accettazione o del rifiuto delle identificazioni primarie (Minichiello legge in questo senso il rapporto di Kafka con il padre) fino quella politica e pratica, con le eventuali degenerazioni dell’obbedienza ad esse associate, ove “la burocrazia sociale precipita in una burocrazia della mente che porta a sua volta a una responsabilità de-somatizzata, orfana delle implicazioni relazionali di persone che si incontrano/scontrano e colonizzata da doveri impersonali che si pongono come antecedenti all’esperienza, cercando di assoggettarla” (p. 33).

Un libro, quello di Minichiello, che invita alla sorveglianza, alla critica vigile, alla non facile adesione ai miti e alle mode del momento.

Andrea Bobbio