Recensione – Dove va il mondo?

Edgar Morin

Dove va il mondo?

Armando, Roma 2012, pp.120, €14,00

Edgar Morin

Dove va il mondo?

Armando, Roma 2012, pp.120, €14,00

Come ricorda Françoise L’Yvonnet nella Prefazione, la proposta principale del libro è la ricerca di un nuovo umanesimo planetario, che è poi il tema-chiave di tutta la produzione moriniana degli ultimi anni. Ad una concezione scientifica riduttiva Morin sostituisce una concezione complessa per cui passato e presente si modificano ripetutamente nel loro interagire, modificando inevitabilmente l’interpretazione degli avvenimenti storici e la stessa conoscenza del futuro. Morin utilizza il metodo dialettico per spiegare la realtà in cui viviamo, in opposizione a un percorso evolutivo di tipo lineare e deterministico. La dialettica comporta un gioco continuo di inter-retroazioni tra i vari fattori sociali (tecnici, economici, politici, culturali, ecc.) che dipendono da «un principio policausale». In altri termini alla base dell’evoluzione della vita e delle società storiche vi è una causalità complessa, attraverso cui tutte le innovazioni/creazioni costituiscono delle devianze che si impongono sulle tendenze dominanti producendo così nuove norme e valori. L’idea di progresso che abbiamo ereditato dalla scienza e dalla tecnica viene messa in discussione: non a caso Morin parla di crisi e di incertezza a proposito del presente e del futuro. Il XX secolo descritto in questo libro è il secolo delle crisi, ma a suo avviso il concetto di crisi non significa soltanto perturbazione in un sistema apparentemente stabile, ma anche accrescimento dell’alea, delle incertezze. Il punto di vista da cui osserva la crisi del secolo è la lotta tra le due superpotenze, USA e URSS, ed è proprio a partire da un’attenta riflessione sulle cause della Guerra Fredda che possiamo comprenderne le conseguenze per il Terzo Millennio in cui viviamo. La sua analisi si concentra maggiormente sul socialismo reale soprattutto per l’assenza di democrazia e per
il potere assoluto del Partito/Stato in esso vigente. È l’idea stessa di sviluppo che va riformulata includendovi al suo interno l’elemento opposto. È la legge stessa della physis infatti che crea ordine a partire dal disordine, e l’organizzazione attiva non può fare a meno delle perturbazioni e dell’alea per svilupparsi. Qualsiasi progresso produce inevitabilmente regresso, ma è proprio dei sistemi viventi e delle società storiche utilizzare il negativo in modo positivo per rigenerarsi creando nuove forme. Riprendendo Freud, Benjamin e Marcuse, Morin analizza la civiltà in cui viviamo includendo il suo opposto, la barbarie. Perciò è necessario associare il concetto di crisi come “progressione delle incertezze” a quello di civiltà. La sua è una dialettica delle contraddizioni che non può risolversi definitivamente alla maniera hegeliana.

La vera sfida per l’uomo di oggi è affrontare le conseguenze della “crisi della planetarizzazione”.  Per andare in direzione di un autentico sviluppo dell’umanità, secondo Morin è necessario costruire una confederazione di Stati-nazione. Noi siamo appena agli inizi in quanto, per usare due formule che ama ripetere sempre, “siamo ancora nella preistoria dello spirito umano” e “nell’età del ferro planetaria”. Gli Stati-nazione moderni, che hanno assunto la loro fisionomia completa alla fine del XVIII secolo nei paesi occidentali, nel corso del XX secolo si sono diffusi nel resto del pianeta in seguito alla decolonizzazione. L’autentica degenerazione della forma Stato-nazione si realizza con i totalitarismi e la concentrazione del potere nelle mani del Partito-Stato. La sua concezione catastrofista degli Stati-nazione come minaccia dell’umanità sarà in parte rivista con l’implosione dell’URSS e la fine della Guerra Fredda, mantenendo però il “principio di incertezza” da cui l’umanità non può prescindere guardando al futuro. Un altro concetto che utilizza in modo nuovo è quello di rivoluzione che, a suo avviso, non indica più il compimento finale di un percorso (come per il marxismo), ma semmai un nuovo inizio problematico: “Non si tratta tanto di appropriarsi collettivamente dei mezzi di produzione, bisogna depropriarli (déproprier) collettivamente e donare autonomia alle collettività”.

Il compito etico-politico più urgente, per evitare la catastrofe, è “far emergere l’umanità”. Il nemico principale da affrontare è una nuova forma di violenza (che definisce “folle”) che si manifesta nel terrorismo oppure in attentati verso obiettivi indiscriminati. Coerentemente con la sua etica, Morin non propone delle soluzioni repressive ma piuttosto la reintegrazione degli ex violenti nella società a partire dal perdono delle vittime che, a suo avviso, può aiutare a far emergere il pentimento dei carnefici in nome della fratellanza umana. Per questo il libro si conclude con la suggestiva metafora politica dell’accoppiamento delle balene ripresa da Michelet: come, dopo sforzi infruttuosi, le balene riescono finalmente, quasi per caso, ad accoppiarsi, allo stesso modo il lavoro infaticabile degli uomini, dopo aver ripetutamente provato senza riuscita, potrà davvero costruire una società migliore. Non c’è alcuna garanzia che questo avvenga, ma vale la pena scommettere per la salvezza di tutti.

Giovanni Coppolino Billè