Segni e creatività

Proviamo a intenderci su questo termine ‘creatività’, tanto usato che si finisce con l’abusarne. Se ci intendiamo, è forse possibile individuare entro quali limiti si possa parlare di gioco ‘liberamente creativo’ e di gioco con finalità didattiche.

Per me ‘creare’ è forzare i limiti della realtà utilizzando i dati della realtà stessa in forme e modalità insolite.

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Un grande psicologo russo, Vigotskij, sosteneva che ogni creazione dell’immaginazione si compone sempre di elementi presi dalla realtà e già inseriti nell’esperienza passata dell’individuo. Se l’immaginazione potesse creare dal nulla, scriveva, o se avesse per le sue creazioni altre fonti che l’esperienza passata, si tratterebbe di un (improbabile) prodigio. Per spiegare cos’è la creatività, utilizzava una fiaba popolare della sua terra, in cui si descriveva una capannuccia che poggiava su zampe di gallina. Nessuno ha mai avuto esperienza di una costruzione del genere se non attraverso la fiaba e gli elementi (la capanna + le zampe di gallina) con cui questa immagine è stata costruita fanno parte della reale esperienza umana. Soltanto la loro combinazione reca l’impronta della creazione dell’immaginazione, quella felice non- corrispondenza con la realtà a noi nota che ci trasporta nel mondo fantastico della combinazione insolita di elementi di realtà.
E’ vero che “nulla si crea e nulla si distrugge”, ma l’essere umano è in grado di percepire, utilizzare e modificare il reale in forme molto personali. Questo è uno degli aspetti più affascinanti e talvolta inquietanti dell’esistenza che, senza questa nostra illusione di lasciare un segno nel reale, sarebbe ben piatta e scialba.
Se creare è forzare i limiti, è necessario che questi limiti siano presenti, e non parlo soltanto delle nostre evidenti limitazioni di esseri umani, ma anche delle norme della nostra cultura, dei suoi stereotipi, dei suoi pregiudizi. Non c’è creatività senza limiti da superare, barriere da infrangere, ostacoli da superare. Creare è trasgredire all’ordine che impone che una capanna non poggi su zampe di gallina.
Per questo la vita dei creativi non è mai stata facile: sono instancabili cercatori di nuovi sensi in un mondo che per lo più si rifugia nell’ovvio e nello scontato. Non esiste dunque quella che chiamano la ‘libera creatività’. Il bambino è messo in condizione di liberare il suo naturale potenziale creativo se gli si evitano, nel gioco, due estremi: il primo, quello dell’assoluta mancanza di regole, gli impedisce di crescere misurandosi con una realtà che non è a sua completa disposizione e resiste al cambiamento. Il secondo, quello della costrizione, dell’autoritarismo, della sopraffazione che non gli consente alcun movimento intellettuale e lo rende conformista e schiavo.
Bambine e bambini – lo sanno bene gli adulti che ne hanno cura nei primi anni di vita – non hanno alcun bisogno di lezioni di creatività. Narra la leggenda del principe Siddharta che la nascita del futuro Buddha sia stata accompagnata da una serie di prodigi stupefacenti: i suoi primi passi, ad esempio. Siddharta è già in grado di camminare appena venuto al mondo. Si muove su un verde prato e sotto i suoi piedini si schiudono fiori di loto, simbolo dell’uscita dall’oscurità e dall’apertura spirituale, dal manifestarsi delle potenzialità presenti nel germe iniziale.
Senza essere un piccolo Buddha, ogni bambino ha un potenziale di fertilità che gli consentirebbe, se messo in condizioni minimamente favorevoli, di far schiudere molti fiori di loto. Se questo avviene molto dipende da chi, da come e da dove bambine e bambini sono accolti in questo mondo.
I bambini si avviano nel mondo con occhi sgranati. Cose, persone, odori, rumori, sapori, sensazioni tattili non hanno ancora trovato le collocazioni e le interpretazioni più o meno stabili attraverso le quali l’adulto crede di conoscere il mondo. La percezione del mondo è ancora guidata sostanzialmente dalla spinta a fare esperienza, un’esperienza che almeno all’inizio non ha pregiudizi né convenzioni:
tutto può essere tutto. Crescendo, almeno durante l’infanzia, si attenua, ma non scompare completamente per fortuna, la convinzione che tutto ciò che ci circonda sia dotato di mille sfaccettature, di infinite possibilità di interpretazione alternative a quella prevalente.
Bambini e bambine crescono immergendosi in un mondo pullulante di segni vocali, gestuali e scritti, naturali e convenzionali, iconici e arbitrari. Il segno, almeno nella sua accezione di “tutto ciò che ha il potere di richiamare l’attenzione, oltre che su sé stesso, anche su un’altra cosa”, ha tutte le caratteristiche per affascinare i bambini. Così le orme umane sulla sabbia che rivelano il passaggio di un altro essere umano (amico? nemico??), le nubi che annunciano il possibile arrivo della pioggia, un gesto carico di significati, sbuffi di fumo in lontananza (incendio? un treno a carbone? una ciminiera? segnali dei nativi americani??).
A questo mondo ci si accosta meglio se si adotta lo stesso atteggiamento che Stéphane Mallarmé invocava per la poesia:
“nominare un oggetto significa scoprire tre quarti del godimento di un poema che è fatto del piacere di individuare poco a poco; suggerire l’oggetto, ecco il sogno”. La scoperta graduale, mossa dalla curiosità e dallo stupore che derivano dallo svelarsi, dietro a ogni segno di una realtà nascosta e affascinante.
Di tutto ciò che ci viene presentato, ammesso che sia possibile, completamente disvelato, noi possiamo impossessarci, ma non conoscerlo. Per conoscerlo, abbiamo bisogno di scoprirlo a poco a poco, farne esperienza come fanno i bambini prima di decidere se ciò che è stato esplorato così a fondo è degno di interesse e perfino di amore o se, invece, va scartato e respinto. Non si può amare, coltivare, proteggere, valorizzare ciò che non si conosce. Possiamo arrivare a dire che la curiosità, l’esplorazione, la conoscenza dunque, sono le premesse perché si possa giungere ad amare la conoscenza e il sapere.
‘Scoperta’ è la parola chiave perché evoca esperienze decisive dei nostri primi anni di vita: ‘curiosità’, ‘esplorazione’, ‘avventura’, ‘ricerca di ciò che è nascosto’ e infine ‘sorpresa’ e ‘stupore’ per ciò che abbiamo trovato.
Segni per vivere, dunque, ma anche segni per crescere.