Tutto è interculturale?

E’ indispensabile ricordare che, anche a livello di convenzioni lessicali internazionali e non soltanto di assunti maturati nell’esperienza, siamo in presenza di vita interculturale a tre condizioni:

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1) – Quando da un incontro tra individui di diversa origine linguistica, e pertanto anche etnica, nonché di diversa appartenenza sia religiosa che di consuetudini, credenze civili, abitudini dalle forti declinazioni sul piano del rapporto con i valori del tempo, dell’abitare e del convivere, della sessualità, ecc., si determina un reciproco schiudersi.
Quando cioè tra rappresentanti e possessori di saperi diversi si determinino manifestazioni di scambievole attenzione ed interesse, generatrici non soltanto di folkloristiche curiosità, bensì di vera e propria pro-tensione conoscitiva.
Il che comporta che l’incontro, se interculturale, dia luogo a sospensione di giudizio, alla corealizzazione di una zona conversazionale “franca” e forse fittizia per la messa tra parentesi delle rispettive identità. E’, se vogliamo, il darsi di uno spazio potenziale, e per questo necessariamente illusorio.
Dove, in quanto zona di germinazione, può originarsi quel mixage di ragioni ed emozioni che diviene luogo di nuova gestazione; luogo del possibile e del pregiudizialmente imponderabile. Nelle mille e mille storie di métissage che l’incontro tra culture ha, nel corso dei secoli, inventato, andrebbero vieppiù individuati questi carrefours esistenziali dove, ogni volta, nella coscienza o nell’incoscienza di nascite meticce, sono stati i reciproci pre-giudizi ad entrare in crisi.
L’evento interculturale è perciò area di superamento di quanto tende ad occupare l’altrui storia o l’altrui sapere, per fagocitarlo senza poi ammetterne i debiti contratti; è negazione della supremazia ed incipit di un patto di reciproca utilità tra universi culturali che sanno comprendere la convenienza mutua di quanto è già divenuto un progetto di fertile contaminazione.

2) – Ne consegue che è interculturale soltanto ciò che è il risultato di un’ibridazione di modelli cognitivi, di linguaggi, di sperimentazioni artistiche, dove non si possa più essere uguali a prima e uguali a sé stessi, dove talune dimensioni del pensiero, della spiritualità, delle usanze non possano più, se non con operazioni storiografiche o filologiche, essere ricondotte alle loro matrici originarie. Ben oltre la sfera del commercio e del consumo, queste contaminazioni germinano nel loro entrare a far parte di una vasta collezione di risorse e beni durevoli, nella ricerca di significato del proprio essere al mondo.
è dove, oggi, le culture occidentali sono in grave perdita: fino al punto di dover attingere, ormai tutto avendo venduto e comprato, alle risorse per l’anima (il soprannaturale, il desiderio di dio), nate presso altre esotiche latitudini.
3) – Infine interculturale può dirsi ciò che invoglia a farsi portavoce delle altrui culture, divenendone difensori e divulgatori con o senza autorizzazione di chi ne è legittimo portatore. Quando si scopre che l’insieme di manifestazioni, o soltanto qualcuna di queste è mezzo di comunicazione, di baratto, di autorealizzazione personale o civile.

Dalle idee ai programmi

Il discorso interculturale, quando si fa educativo, ha intrinsecamente necessità di essere interpretato, quindi, come una manifestazione sociale, o meglio socialmente utile; dal momento che:
-l’interculturalità si fonda sullo scambio sociale e sulla creazione di relazioni tra individui appartenenti a comunità diverse e comunità dissimili;
– l’interculturalità mira ad alleviare situazioni di disagio dovute ad esclusione, separazione, segregazione e a superarle ponendo al centro occasioni di integrazione e interazione;
– l’interculturalità “accompagna” socialmente una cultura alla scoperta dell’altra e viceversa.
E’, insomma, un non senso concepire un’educazione interculturale individuale o individualizzata. Essa nasce da premesse socialmente orientate e cerca verifiche dello stesso segno: lavora per la socializzazione dei saperi e per la creazione di incontri capaci di istituire agorà.
Per questo è indispensabile passare dall’ascolto alla parola; dalla risposta alla domanda: per ingaggiare e suscitare processi che travalichino la mera erogazione di servizi di cui gli immigrati, grandi o piccoli, necessitano.
Occorre mostrarsi, all’insegna di una più profonda consapevolezza di ciò che significa contribuire alla costruzione di una società interculturale (e non solo multiculturale dove, se va bene, al massimo ci si rispetta, comunque nel predominio della cultura autoctona e locale), più attori e con assai minor supinità nei confronti di quei valori altrui che per la nostra migliore tradizione, la linea rossa dei diritti universali e civili, non possiamo di certo condividere.
Educazione interculturale è educare ed educarsi non solo al rispetto.
E’ andare oltre: è dibattimento e sfida per il superamento di comportamenti che nelle culture ostacolano la valorizzazione delle libertà individuali. Prima ancora quindi di costituirsi in quanto educazione interculturale, la prospettiva di cui andiamo parlando mette al primo posto l’idea di individuo e la sua sacralità. Prima delle culture divise e contrapposte vengono – lo ribadiamo – i diritti umani, già così lesi ed offesi nella nostra stessa cultura e quindi i diritti alla realizzazione della propria storia soggettivamente consapevole. Il che rende i messaggi dell’educazione interculturale messaggi volti ad inspirare, in ogni dove, il senso di sé nella più radicale separazione dei diversi sé sociali, culturali o famigliari di cui ogni società è intessuta e che da facilitanti la realizzazione personale, ancora troppospesso sono, invece, talvolta ostacolanti, inibitori, coercitivi.
Se le culture sono fatte di individui – e questo dobbiamo mostrare alle altre culture nella reciproca convenienza di principio – ecco allora che l’educazione interculturale prima di ragionare su talvolta inconsistenti ricerche delle identità culturali specifiche, è forse chiamata a chiarire il posto e il ruolo di soggetti di origine diversa nella società che non è ancora pienamente degli individui (per usare la felicissima formula di Norbert Elias) perchè è più spesso degli individualismi e degli egocentrismi, ovvero dei localismi più chiusi ed etnocentrici.

Per approfondire C. Demarchi, N. Papa, N. Storti (a cura di), Per una città delle culture. Dialogo interculturale e scuola, Milano,
Angeli, 1999 D. Demetrio, G. Favaro, Immigrazione e pedagogia interculturale, Firenze, La Nuova Italia, 1999 (5°ediz.) D. Demetrio (a cura di), Nel tempo della pluralità, Firenze La Nuova Italia, 1997 D. Demetrio, Agenda interculturale. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi, 1997 M. Giusti (a cura di), Ricerca interculturale e metodo autobiografico, Firenze, La Nuova Italia, 1998 L. Pepa (a cura di), Immigrati e comunità locali. Azioni, interventi e saperi, dall’emergenza al progetto, Milano, Angeli, 1996 M. Tarozzi, La mediazione educativa, “mediatori culturali” tra uguaglianza e differenza, Bologna, Clueb, 1998