Una macchina per pensare?
In altri paesi del mondo, e in particolare negli Stati Uniti, è da tempo che il computer viene considerato non solo un mezzo per la didattica – i lavori del pioniere della cybernetica Seymour Papert al MIT Media Lab ne sono testimonianza – ma una vera e propria macchina per pensare, che può divenire il centro di una radicale trasformazione dell’intero sistema scolastico. As we may think si intitolava, d’altronde, il pionieristico articolo di Vannevar Bush che nel luglio del 1945 anticipava l’intuizione del personal computer. Attraverso la fantasiosa ma realistica descrizione di una macchina per pensare – il Memex – Bush ipotizzava la creazione di uno strumento di apprendimento e approfondimento che potesse liberare ed agevolare il pensiero, renderlo più plastico e creativo. Oggi possiamo affermare che questo strumento esiste: si tratta del computer inteso come un vero e proprio tool multimediale. Questo strumento è dunque destinato a modificare radicalmente le strategie di insegnamento e la stessa organizzazione scolastica.
Le nuove tecnologie e la scuola
Che la rivoluzione digitale dovesse prima o poi toccare anche uno dei settori più delicati dell’organizzazione sociale italiana – e uno di quelli che probabilmente si prestano maggiormente a un processo di radicale evoluzione interna – sembrava a tutti pressoché inevitabile, tanto più considerando l’organizzazione scolastica italiana nell’ottica della unificazione europea e della necessità quindi di adeguare quanto più possibile gli standard nazionali con quelli internazionali. Ciò che invece rappresenta un dato di maggiore interesse e complessità è l’impatto diretto che le nuove tecnologie didattiche hanno e avranno sui soggetti del percorso, ossia gli operatori, i docenti e infine gli studenti stessi.
Per quanto riguarda questi ultimi, comunque, la loro immersione progressiva nell’era digitale è in qualche modo ormai ‘naturale’, soprattutto per le generazioni dei giovanissimi. Quella che possiamo infatti chiamare la net generation – i ragazzi fino a dodici-tredici anni – manifesta una naturale predisposizione alle nuove tecnologie. L’uso quotidiano di strumenti sempre più sofisticati
di comunicazione e telecomunicazione, l’interazione con realtà virtuali proposta dai videogiochi è ormai parte integrante del vissuto individuale di queste giovani generazioni, come dimostrano ad esempio gli studi della psicologa della percezione e guru della rivoluzione digitale del M.I.T Sherry Turkle (La vita sullo schermo, Apogeo, 1997). L’apprendimento dei nuovi sistemi è nel loro caso in qualche modo “spontaneo”, connaturato alla velocità della loro percezione: da qui l’enorme impulso allo sviluppo di prodotti specificamente dedicati al mondo dei ragazzi (traduzioni ipermediali di fiabe, racconti, giochi) e del settore dei giochi in 3D, ovvero dei ‘simulatori’ di realtà, dedicati ad un settore più ampio che riguarda anche una larga fascia di adulti.
Se vogliamo calcolare quindi l’impatto che le nuove tecnologie avranno con il mondo della scuola e l’entità delle trasformazioni “in fieri”, la misura non va calibrata sugli studenti – che si fanno portatori nella scuola del loro vissuto digitale “individuale” – quanto soprattutto sugli addetti e sulle loro attuali metodologie di lavoro. E’ su questo terreno, infatti, che si gioca la scommessa di evitare un vero e proprio scontro di paradigmi tra i giovani alfabetizzati alle nuove tecnologie e un sistema formativo che rischia di rimanere arretrato.
Gli insegnanti restano la variabile sulla quale si sta e si deve concentrare una profonda ma attenta opera di formazione, di aggiornamento, in qualche caso di riqualificazione, con la definizione progressiva ma inevitabile di nuovi parametri di valutazione dei processi e l’accoglimento dei nuovi paradigmi della comunicazione. L’uso di strumenti avanzati e di tipo multimediale, quelli che la recente maturazione della tecnologia informatica mette oggi a disposizione di un’utenza sempre più vasta (ad oggi sono più di 11 milioni le connessioni a Internet in Italia) definisce per sua stessa natura nuovi criteri di lavoro, mentre disegna ampi orizzonti di riflessione e discussione.
Se infatti il dibattito e la problematizzazione delle nuove dinamiche formative non sono certo nuovi (risalgono infatti alla prima metà degli anni ‘80 e alla comparsa dei primi sistemi di PC o di rete) è solo nella seconda metà degli anni ‘90 – con l’avvento di sistemi completi sotto il profilo della gestione di tutti i vettori sensoriali – che si genera un sostanziale cambio di passo nel raccordo delle nuove tecnologie con il mondo della scuola.
Il quadro inoltre si completa (o si complica, a seconda dei punti di vista) se si considera l’enorme diffusione e standardizzazione dei sistemi di comunicazione telematica. Sia individualmente che a livello di gruppi di lavoro, un sempre maggiore numero di operatori si accosta alle reti (locali o globali), sperimentando progressivamente le potenzialità che esse racchiudono e contribuendo così a definire un nuovo quadro relazionale tra questi strumenti e le esigenze del mondo della scuola.
La scuola italiana peraltro, sotto l’impulso degli interventi del governo (un’azione che, come vedremo, è finalmente integrata a più livelli), sembra avere trovato la strada per la valorizzazione di alcune delle sue risorse interne e, pur con gli inevitabili ritardi dovuti alla complessità di trasformazioni di questa portata, sembra in grado di iniziare un percorso di aggiornamento e rinnovamento sostanziale.
L’introduzione delle nuove tecnologie è insomma un motore di trasformazione del quale la scuola non può fare a meno né tantomeno disinteressarsi. Le chiusure e le resistenze rispetto a queste dinamiche, che trovano sostanzialmente alimento nei ritardi stessi che la scuola ha accumulato nei riguardi della società, sono comunque destinate ad evidenziarsi sempre più e a produrre rapidamente un gap talmente marcato da generare, in quelle realtà che non sapranno in tempo affrontarlo, seri rischi di sopravvivenza come istituzioni formative.
Come cambia la metodologia dell’insegnamento
La trasformazione profonda delle metodologie didattiche si sta determinando per due motivi convergenti: in primo luogo, perché le metodologie didattiche tradizionali (la lezione frontale, la classe come unico ambiente formativo, la centralità assoluta dell’insegnante, il testo come ‘manuale’ omnicomprensivo, il sapere come accumulo lineare e cosi via) risultano ormai inadeguate rispetto alle esigenze e ai problemi di apprendimento delle giovani generazioni. In secondo luogo, perché le nuove tecnologie sono così pervasive e si stanno diffondendo con una tale rapidità che non solo impongono l’adozione di nuovi schemi didattici ma tendono a indurre, come ha notato Derrik De Kerckhove nel suo Brainframes, una trasformazione vera e propria delle nostre modalità di conoscere e comunicare il mondo.
Un esempio può essere ricavato dall’applicazione di tecnologie ipertestuali alla didattica. L’ipertestualità e l’ipermedialità nella didattica modificano radicalmente il ruolo dell’insegnante e quello dello studente. Per quello che riguarda l’insegnante, ad esempio, il suo ruolo si sposta verso quello di compagno più esperto, una sorta di “personal trainer”. L’ipertesto cioè, come afferma anche George Landow – uno dei padri della teoria dell’ipertestualità (Ipertesto. Il futuro della scrittura, Bruno Mondadori, 1998) – trasferisce una parte del potere degli insegnanti e della loro autorità agli studenti. L’insegnante tende infatti a doversi porre sempre più come un coach, un “allenatore”, che non come un “signore” direttivo dell’apprendimento. L’organizzazione a rete e multicodicale dei nuovi media, inoltre, induce una serie di trasformazioni, ad esempio impone all’insegnante di accostare alla tradizionale monologicità alfabetica del libro una pluralità di approcci basati su diverse forme comunicative, verbali ma anche iconiche e sonore. Ciò favorisce anche la progettazione di una didattica “realmente“ interdisciplinare, poiché i differenti codici portano alla necessità di una stretta collaborazione e integrazione tra insegnanti di differenti discipline.
Anche il ruolo dello studente viene modificato dall’utilizzo dello strumento ipertestuale e ipermediale: egli si trasforma infatti in un “lettore attivo”, che può interagire con l’informazione o i contenuti che apprende ed estenderli o personalizzarli a piacere. Lo studente quindi è nella condizione, molto più che in passato, di abituarsi alla correlazione dei contenuti e con questo anche ad una loro maggiore comprensione critica. Nello stesso tempo, la caratteristica dell’ipertesto come costruzione collettiva facilita e agevola il lavoro di gruppo, favorendo il superamento del gap cognitivo tra gli studenti.
Questa è solo una rapidissima sintesi delle potenzialità degli ipermedia nella didattica, ma permette di comprendere l’entità della rivoluzione in atto, una rivoluzione che ovviamente non è immune da problemi e difficoltà quali ad esempio il “sovraccarico cognitivo” ed il “disorientamento”.
L’ipermedialità al lavoro
Ma qual è oggi la situazione, a livello operativo, del rapporto tra nuove tecnologie e didattica nel nostro paese? In questi anni stiamo assistendo a una grande crescita delle applicazioni e degli strumenti informatici in uso nel mondo della scuola e dell’impresa. Dopo anni di sperimentazioni e tentativi, sostenuti da un processo di elaborazione anche teorica, e di strutturazione e stratificazione delle esperienze, qualcosa si sta muovendo. I concomitanti processi di maturazione delle tecnologie hardware e software e gli interventi del governo volti a raggiungere l’obiettivo di “un computer per ogni studente” sembrano avere finalmente innescato un processo che non è più di mera sperimentazione ma possiede tutti i requisiti di un cambiamento strutturale, destinato a investire il mondo della scuola nella sua globalità.
E’ noto come l’informatica abbia investito il mondo dei processi produttivi e della divisione del lavoro. Le imprese hanno già da molti anni assunto, come dimostrano i lavori di Jeremy Rifkin (La fine del lavoro, Baldini e Castoldi, 1995, ma soprattutto L’età dell’accesso, Mondatori, 2000), i sistemi informatici e le nuove tecnologie come strumenti di progettazione e di gestione concreta de processi di produzione. Il ruolo prioritario dell’Information Communication Technology nell’economia americana ne è l’esempio più chiaro.
Faticosamente, anche nel mondo della scuola italiana il processo di alfabetizzazione alle nuove tecnologie si sta dispiegando e la velocità del suo dispiegamento determinerà il cambiamento che investirà la scuola nei prossimi anni.
La riforma della scuola e l’autonomia
scolastica come motore del cambiamento
La linea d’azione del Ministero della Pubblica Istruzione in questi ultimi cinque anni è stata quella di convogliare ogni intervento all’interno della riforma della scuola e del riordino dei cicli scolastici. Tra le iniziative destinate a preparare il campo e a definire meglio gli ambiti strutturali di intervento, tre sembrano i nodi principali che delineano margini di sviluppo e aree di discussione operativa:
– i provvedimenti per il decentramento amministrativo (autonomia scolastica);
– la definizione delle nuove “figure di sistema”, i manager della scuola;
– il Piano per lo sviluppo delle Tecnologie Didattiche.
I primi due temi costituiscono la premessa necessaria al ragionamento relativo allo sviluppo delle nuove tecnologie all’interno della scuola. Giunto in fase attuativa in quasi tutte le realtà, il complesso di norme relativo al decentramento amministrativo ridefinisce completamente le procedure ed i margini di intervento nella gestione delle singole realtà scolastiche. Di fatto, le istituzioni scolastiche vengono svincolate dalla rigida organizzazione centralizzata e diventano libere di autodeterminare la propria organizzazione interna e elaborare una propria autonoma strategia formativa. Il riordino del settore amministrativo dovrebbe quindi prevedere una progressiva razionalizzazione delle strutture con il disimpegno graduale del Provveditorato e l’assunzione di sempre maggiori responsabilità da parte degli Enti Locali, in specie della Provincia.
La scuola necessita, inoltre, di interventi correlati che incidano profondamente nel tessuto della sua organizzazione, con la creazione di figure di gestione sulla base di competenze e risorse già disponibili al suo interno e finora scarsamente riconosciute ed utilizzate. E’ in questa chiave, coniugata peraltro a strategie operative per la lotta alla ‘dispersione scolastica’ (abbandoni, ritiri, mancata osservanza dell’obbligo di scolarizzazione), all’individuazione delle aree di ‘disagio formativo’ e alla definizione di interventi finalizzati al ‘successo formativo’, che vanno anche intesi i progetti che hanno portato all’introduzione di nuove figure professionali, le cosiddette “figure di sistema”. Si tratta di docenti titolari di progetti specifici (approvati dagli organismi collegiali dei singoli istituti e dal Provveditorato) cui vengono concessi permessi speciali che prevedono il distacco dall’insegnamento; essi cioè si dedicano a tempo pieno alla gestione di progetti mirati di formazione divenendo in questo modo veri e propri manager della formazione.
Il Piano di sviluppo delle Tecnologie Didattiche
L’autonomia e gestione manageriale della formazione e delle scuole sono state anche le premesse necessarie per l’introduzione delle nuove tecnologie nella scuola, dal momento che i tempi dell’innovazione tecnologica richiedono interventi rapidi coordinati ed efficienti. Il Piano di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche ha costituito lo strumento che il Ministero ha individuato come motore del cambiamento. Il Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche del Ministero è stato varato con la Circolare Ministeriale 282 del 17 Aprile 1997 che definisce un intervento dello Stato nel settore scuola completamente dedicato al tema delle nuove tecnologie e alla loro introduzione come strumento didattico primario (non come ausilio). Il piano prevedeva il finanziamento in tre anni di circa 15.000 scuole italiane di ogni ordine e grado con l’esplicita finalità dell’introduzione degli strumenti multimediali nella didattica.
L’entità del finanziamento è stata di 740.762 miliardi in cinque anni.
Il progetto è diviso in due parti, denominate ‘Progetto 1A’ e ‘Progetto 1B’.
Il progetto 1A
Il Progetto 1A prevedeva il finanziamento di quelle realtà scolastiche del tutto prive di risorse e di conoscenze, ed era quindi strettamente finalizzato all’introduzione degli strumenti e ad un primo aggiornamento degli operatori. Prevedeva quindi un finanziamento di circa 11.200.000 di lire per ogni scuola (dei quali nominalmente 2.000.000 dovrebbero essere finalizzati all’assistenza tecnica); veniva anche suggerito l’acquisto di un sistema di gestione data-broadcasting per non meglio specificate ‘comunicazioni a distanza’ tra il Ministero e le singole scuole. Nessun sistema di questo tipo era invece previsto per i Provveditorati agli studi. Altri 3.000.000 erano destinati al finanziamento dell’aggiornamento primario dei docenti.
Il Progetto 1B
Esso prevedeva invece un finanziamento ‘medio’ di circa 42.000.000 per scuola, da destinarsi a quelle realtà già in possesso di risorse e di competenze, che avessero prodotto un progetto di completamento delle strutture esistenti o di allestimento di nuovi spazi o laboratori da destinarsi specificamente all’uso didattico delle nuove tecnologie. In entrambi i casi grande rilievo veniva dato al collegamento in rete locale e ai collegamenti telematici.
Il Ministero ha approntato un apposito comitato e un nucleo operativo per la gestione del progetto e ha suggerito ai Provveditorati agli studi di creare comitati simili a livello provinciale.
Per stabilire le procedure e coordinare l’intervento delle scuole sono stati
svolti tre incontri con tutte le scuole che hanno ricevuto i finanziamenti
(17/18 Luglio 1997, Novembre 1997), sono state individuate 23 Scuole di riferimento delegate alla comunicazione con realtà decentrate prive di
strumenti telematici e definiti dei Coordinamenti Zonali del PSTD delegati al raccordo tra le scuole di una determinata area.
La prima tornata di finanziamenti era stata già effettuata nel Giugno del 1997 e il piano è giunto al suo dispiegamento nel 2000. Presso la Biblioteca di documentazione Pedagogica di Firenze (URL http://www.bdp.it) è stata allestita una Home Page del Nucleo Operativo nazionale, mentre sullo stesso sito Internet, al link con il M.P.I. sono reperibili tutte le informazioni disponibili sul PSTD. Ecco un quadro completo dei risultati del PSTD fino al 2000:
www.istruzione.it/innovazione _scuola
Con il completamento del programma nel 2000 è stata raggiunta una situazione che, estrapolando i dati di monitoraggio e la loro evoluzione nel tempo, può essere riassunta come segue:
Stazioni di lavoro multimediali:
· nelle scuole meno dotate (elementari, medie e licei) un rapporto minimo di computer/studenti di circa 1 a 50 e un rapporto medio di circa 1 a 30;
· nelle scuole più dotate (tecnici e professionali) un rapporto computer/studenti di circa 1 a 10;
· un parco macchine nazionale di circa 250.000 stazioni di lavoro multimediali.
Collegamenti in Internet:
· Istituti Tecnici e Professionali la quasi totalità;
· Licei circa 90%;
· Scuole medie ed elementari circa 75%;
Formazione dei docenti:
· corsi di alfabetizzazione organizzati in oltre 13.000 scuole;
· altri corsi organizzati grazie a iniziative autonome delle scuole e dei provveditorati e di enti esterni;
· raggiunti circa 450.000 insegnanti.
Con questo provvedimento il Ministero ha individuato un’area di potenziale sviluppo che può diventare trainante rispetto alle trasformazioni globali in atto, con speciale riferimento all’introduzione delle nuove tecnologie nella pratica didattica diretta.
La Circolare Ministeriale 282 dell’Aprile 1997, che ha fissato i criteri dell’intervento e le modalità di accesso delle singole scuole al finanziamento previsto, individua infatti nell’uso delle nuove tecnologie un potente motore di trasformazione della metodologia didattica, definisce alcune modalità possibili di lavoro, consiglia alcuni parametri di configurazione relativi al materiale da acquistare. Essa prevede in totale il finanziamento di più di 13.000 scuole, con contributi sia per l’acquisto di postazioni multimediali dedicate all’aggiornamento dei docenti che di interi laboratori destinati ad un uso didattico curricolare.
Quanto detto sul ruolo delle nuove tecnologie nella didattica, visto nel quadro dell’azione del M.P.I. per una sempre maggiore “informatizzazione” delle scuole, rende palese ancor più perché nella società dei prossimi anni lo stesso concetto di “istituzione scolastica” – per una serie di problemi legati all’esigenza di flessibilità di orario o di accesso a momenti formativi non sempre raggiungibili fisicamente – è destinato a mutare profondamente. Si pensi ad esempio agli esperimenti
di “teledidattica” (al Corso Urbana del Professor Martinetti, o al corso di laurea breve aperto dal Politecnico di Milano, o allo stesso progetto Nettuno) e di formazione a distanza, che in altri paesi europei sono già allo stadio avanzato, al risparmio di tempo e alla possibilità di seguire non sempre “in presenza” corsi che si tengono lontano dal luogo di residenza. Si pensi inoltre allo studio come ‘diritto all’istruzione’, che va esteso a tutti i cittadini e non solo a quelli che logisticamente sono favoriti; si pensi al risparmio economico (spostamenti individuali) ecologico (uso di mezzi di trasporto) e organizzativo (università e corsi sovraffollati). Se si hanno sott’occhio queste trasformazioni si ottiene facilmente l’immagine di una scuola diversa: istituti più piccoli – con un minor numero di studenti – di quelli attuali ma fortemente attrezzati dal punto di vista tecnologico, in grado di garantire sia l’insegnamento e la formazione ‘in presenza’ che la formazione a distanza. Istituti in grado inoltre di diversificare l’offerta formativa, calibrando la propria organizzazione sui mutamenti e sulle esigenze del mondo circostante.
In questo quadro è evidente che le istituzioni che rimangono ancorate – con un frainteso senso della ‘tradizione’ – a logiche metodologiche (peraltro mai perfettamente definite nella loro effettiva efficacia), incapaci di rinnovamento, si misureranno inevitabilmente con gli stessi problemi di oggi (dispersione scolastica, abbandoni, insuccesso formativo, mancata scolarizzazione: tutti parametri a livello altissimo in Italia) ma dovranno fronteggiare anche la concorrenza di istituti meglio attrezzati a rispondere alle esigenze dell’utenza e in fondo meglio attrezzati a garantire un servizio che vuole restare pubblico.
*Docente di Teoria
e tecnica dei nuovi media
presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca
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