Una Storia
E’ un ragazzo molto timido e introverso Adil. Lasciò la scuola alle medie giustificando ai genitori l’allontanamento con il fatto che lo prendevano in giro i compagni di scuola.
“Mi dicevano che ero un terrone perché provenivo da un paesino a 20 Km da Beni Mellal. E poi non ce la facevo più a prendere quel dannato pullman che non era mai puntuale. A dire il vero mi sono stufato di andare a scuola perchè mio cugino, laureato in legge, è da tre anni disoccupato e passa le giornate a fare le parole crociate e fumare le canne.
Io davo una mano alla mia famiglia a procurare acqua dal pozzo, mi ero stufato di fare questa vita e sono andato da un parente a Beni Mellal che mi poteva ospitare, così giravo la città in cerca di lavoro. Non trovai niente e chiesi un prestito allo zio per intraprendere una piccola attività ambulante. Passò un anno e risparmiai un pò di soldi ma non mi bastarono a pagare la traversata Tangeri-Algesiras.
Convinsi i miei del fatto che se fossi riuscito a emigrare in Italia avrei aiutato loro e me stesso. Mi diedero il resto del denaro, sinceramente. Rimasi un pò male quando lasciai il mio paesino. Avevo dentro il mio cuore un miscuglio di gioia e di tristezza.
Rischiammo di naufragare in mezzo allo stretto di Gibilterra ma per fortuna ci salvammo. Allah ci diede una mano a raggiungere l’altra sponda del Mediterraneo. Ero molto emozionato quando misi piede in Spagna. Ebbi la sensazione di essere in un’altra dimensione anche se fu una notte terribile e traumatica e notai subito le differenze. Ci sono tante autostrade. Passai la notte nei pressi della stazione. Ebbi tanta paura in mezzo a tanta gente straniera e spagnola che la occupava. Fece bel tempo il giorno dopo. Decisi di prendere il treno per l’Italia senza nemmeno fare colazione. Per fortuna tutto andò bene perchè al mio arrivo trovai mio zio Ahmed che mi aspettava alla stazione di Milano.
Dopo qualche giorno mi trovai in mezzo alla strada perchè lui non poteva aiutarmi più di tanto, poiché condivideva con altri un piccolo e squallido appartamento di periferia.
Mio zio mi disse: “Devi essere uomo”; io uomo non lo ero perchè i primi giorni che mi trovai da solo non mangiavo e dormivo al freddo. Per sopravvivere mi misi a lavare i vetri delle macchine di Milano. Non fu un’esperienza gradevole perchè la gente ti guarda male o perchè io mi impongo e quindi do fastidio. Qualche soldo lo guadagnavo ma non mi bastava mai. Ero disperato perchè ero sempre solo, gli unici amici che potevo avere erano “spacciatori connazionali”. Questo lo dico non per giustificarmi ma era il mio destino. Cominciai a spacciare piccole dosi di eroina e devo dire che guadagnavo tanto denaro. Mi permise di mandare un po’ di soldi alla mia famiglia, comprai dei vestiti nuovi ma comunque avevo sempre il cuore che batteva forte per paura di essere arrestato. Infatti venni arrestato dopo nemmeno quindici giorni. Mi resi conto dopo il colloquio con il mediatore culturale che la mia situazione giuridica era grave”.
Devo definire “drammatica” l’immigrazione di un minore straniero magrebino in Italia perchè comporta grossi rischi di lacerazione della propria personalità ed identità, nel seno di una società post-industriale apparentemente affascinante e ricca, contrapposta al suo paese d’origine povero e sottosviluppato, specialmente se questo minore non è accompagnato dai genitori, oppure usufruisce di una procedura normativa di ricongiungimento familiare. Un minore che attraversa le frontiere clandestinamente per recarsi in ltalia e dopo qualche giorno comincia a rendersi conto che qualcosa non va, che lui è un pò diverso “nel modo di rapportarsi, di camminare, di parlare” perchè parla una lingua diversa, il primo sentimento che avverte è “gli italiani sono razzisti “. E’ prematuro dare un giudizio per un ragazzino della sua età al quale sicuramente mancheranno gli strumenti culturali e linguistici necessari per poter formulare un pregiudizio così grave ed incivile. Nel momento in cui questo minore si trova ad alloggiare in un “buco” degradato nella periferia
di Milano, su un materasso bagnato di umidità, in condizioni igieniche pietose o in una casa o fabbrica abbandonata con connazionali adulti malfamati, comincia a sentire fortemente l’esclusione, la solitudine, da un contesto sociale dove ha uno status giuridico molto diverso perchè non rientra nei parametri della cittadinanza, perchè è nessuno, ma forse fa numero con il dato statistico che ritiene che ci siano 120.000 clandestini in Italia.
Ne consegue quindi che questo soggetto vada per le spicce per una strada che, inevitabilmenle, lo porta alla devianza in quanto si trova in terra di nessuno.
Comincia col commettere reati di sopravvivenza (piccolo spaccio, furti) e, paradossalmente, se non incontra nel suo percorso deviante l’istituzione (Polizia, Giudice, Carcere, Servizi Sociali) persevera nelle sue azioni di espedienti ed illeciti.
E’ chiaro che il carattere di emergenza e di ritardo legislativo con cui è stato finora affrontato il fenomeno stranieri rischia di frantumare il giusto rapporto che deve esistere tra uguaglianza e diversità, trasformando ciò che potrebbe essere un arricchimento, umano e culturale, in una giustificazione per far valere una nuova stratificazione sociale in cui gli stranieri, per il solo fatto di non essere autoctoni, sono destinati ad occupare le posizioni più marginali. Tuttavia, noi operatori sappiamo a priori che le politiche sociali in questo campo sono incongruenti e le indicazioni ambigue e che le disposizioni della legge del marzo ?98 non sembrano averle sostanzialmente modificate.