Una vita di riti
Di se stesso padrone lietamente
vivrà colui che ogni giorno possa
dire: “Ho vissuto. Offenda pur domani
Giove di nere nubi il cielo o brilli
il sole, non potrà rendere vano
il passato, né sperdere o mutare
quel che mi ha dato l’ora fuggitiva?.
(Orazio, Carmi III, 29, 41-48)
I riti iniziatici non finiscono mai, sembra un ossimoro, ma non è così; essi fanno parte della vita stessa. Come ben ci ricorda Dante nel Canto 1, 17 dell?Inferno
“Nel mezzo del cammin di nostra vita , mi ritrovai per una
selva oscura, ché la diritta via era smarrita, Ahi quanto a dir qual era
è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinnova
la paura! Tant’è amara che poco più è morte…“
Lo smarrimento, il dolore della perdita di parte di noi accompagna ogni nostro ciclo biologico ed ogni nostra fase di crescita e rinascita perché sappiamo che per ritrovarci dobbiamo prima perderci.
L’aver imparato a padroneggiare con più sicurezza e più destrezza gli eventi della vita in ragione dell’età che avanza, non mette al riparo da cadute e ricadute dalle quali occorre poi riprendersi, per continuare a vivere. Vivere con coraggio è vivere tenendo conto sempre dell’incertezza, del perimetro, del limite, del bordo, del baratro dentro il quale è possibile cadere. Allora per scongiurare tali pericoli così temuti, ma talora necessari per vivere, ci rivolgiamo a rituali e riti propiziatori che ci accompagnano quasi nella quotidianità. Credo che per poter cominciare a comprendere qualcosa di quello che costituiscono i riti iniziatici degli adolescenti nella nostra società occidentale, potrebbe rivelarsi cosa buona riflettere sulla nostra condizione di adulti. Del resto con il rischio di vivere per davvero conviviamo nel quotidiano: “Ricordati, uomo, polvere sei e polvere diventerai” . Eppure siamo e restiamo vivi! E non siamo certo eroi noi che, sedotti dalla forza del male, (La forza del male, senso e valore del mito di Faust, Aldo Carotenuto) ci dibattiamo nell’accettazione di questo connaturato elemento dell’umano, dal quale ‘stupidamente’ vogliamo prendere le distanze ma che non possiamo trascurare, pena l’incapacità di dare senso alla vita ed alla sua parabola esistenziale.
Conoscere il male, scovarlo e riconoscerlo in se stessi e, in qualche modo, viverlo sembra essere l’unico modo per neutralizzarlo, metabolizzarlo e contenerlo: fronteggiarlo per superarlo, sembra l’unica via, e nei riti iniziatici esso è spesso invocato e presente anche nel dolore fisico. L’accettazione del dolore, la separazione, la solitudine , le prove di coraggio costellano il passaggio da una fascia d’età all’altra e da uno status all’altro. In ogni fase della nostra vita l’individuazione di se stessi passa attraverso il superamento delle prove che ognuno di noi sostiene, prove che a volte si “passano” e a volte no. Se c’è una storia nella vita di ogni uomo, in questa storia c’è un susseguirsi di scelte di vita, dove la morte e le separazioni diventano l’humus per la nascita. La sfida che la vita ci sferra oggi come ieri è quella,che per divenire persona l’individuo deve, anche da grande, confrontarsi con l’angoscia di morte: “le grandi trasformazioni individuali e generazionali implicano la necessità di rischiare l’immane pericolo di perdizione e di morte affinché si raggiunga la libertà e si avveri la signoria della mente…” (La via nella Selva, Davide Lopez).
Credo che noi adulti, per aiutare i nostri ragazzi a divenire adulti coraggiosi non possiamo sottrarci a quella prova di testimonianza che ci deve trovare presenti in carne ed ossa, capaci di rinunciare a quei pezzi di noi, anche a quell’istintivo urlo che ci verrebbe voglia di cacciare.